sabato 10 aprile 2010

PER L’AUTODETERMINAZIONE DELLE DONNE


Respingiamo con forza il rinnovato attacco alla libera scelta delle donne sull’opportunità di usare la RU486, la pillola abortiva.

Si tratta di un farmaco: il Myfegine, distribuito da Nordic Pharma, somministrato in due dosi, a distanza di alcuni giorni, provoca l’interruzione della gravidanza. E’ un sistema che rappresenta una valida alternativa all’aborto chirurgico, è meno invasivo, non necessita di anestesia, presenta meno rischi dell’aspirazione chirurgica perché non provoca traumi dell’utero e del collo dell’utero, rischi di sterilità, di gravidanze extrauterine, infezioni e coaguli vascolari (trombosi). E’ meno doloroso sia fisicamente che psicologicamente perché più simile ad un aborto spontaneo; può essere effettuato durante le prime settimane di gravidanza a differenza dell’aspirazione per cui si deve attendere fino alla 6° settimana; consente l’interruzione volontaria di gravidanza in tutti i casi in cui non può essere praticato l’aborto chirurgico e non necessita di ricovero. La RU486, il cui principio attivo fu scoperto nel 1982 è disponibile in Francia fin dal 1988 dove viene distribuita ambulatorialmente; come pure in altri paesi europei e negli Stati Uniti. In Italia, a causa delle fortissime pressioni del Vaticano, la sperimentazione iniziò in Piemonte e in Toscana solo 5 anni fa, con somministrazione in day hospital cioè con ricovero e dimissione nella stessa giornata. Nel 2009 l’Aifa, l’agenzia italiana del farmaco, diede il consenso per l’uso della RU486 presso le strutture ospedaliere. In questi giorni dovevano essere evasi gli ordini inviati dalle varie strutture sanitarie pubbliche e sarebbe dovuta iniziare la sua normale somministrazione presso gli ospedali di diverse regioni che ne avevano fatto richiesta.

Le scatole di RU486 resteranno nei magazzini”; “Mai in ospedali veneti!”: Queste sono state le dichiarazioni dei neoeletti presidenti delle regioni Piemonte (Roberto Cota), Veneto (Luca Zaia) e del vicepresidente della regione Lombardia (Andrea Gibelli), tutti esponenti della Lega Nord. L’obiettivo dell’attacco è fin troppo chiaro: la legge 194, che regola l’accesso all’interruzione di gravidanza in Italia dal 1978. Certo non è questa la miglior legge possibile sull’interruzione di gravidanza perché in essa sono contenute norme che la rendono ancora oggi in parte inapplicabile e inapplicata (vedi la possibilità dell’obiezione di coscienza da parte dei medici). Inoltre l’insufficiente rete di consultori familiari pubblici (la cui istituzione è espressamente prevista dalla legge) sono la causa principale della carenza di informazione sulla contraccezione, della solitudine a cui sono abbandonate le donne in difficoltà, specialmente le donne straniere la cui presenza è diventata massiccia anche nel nostro paese.

La Lega Nord, appoggiata dal Presidente della Pontificia Accademia per la vita, monsignor Rino Fisichella, che plaude agli atti concreti in difesa della vita compiuti dai neoeletti governatori leghisti, si candida a diventare la principale forza politica schierata in difesa della vita, paladina dei valori fondanti della famiglia borghese. Il silenzio e l’immobilismo della sinistra hanno lasciato campo libero alle forze più retrive e oppressive del panorama politico italiano.

A nulla valgono le dichiarazioni di Umberto Bossi che cerca di richiamare i suoi al rispetto delle leggi dello stato, è solo un gioco delle parti: ciò che è messo in discussione oggi non è solo l’autodeterminazione delle donne ma anche la laicità dello Stato. L’intollerabile ingerenza del Vaticano nella vita politica italiana è oggi il mezzo per sviare l’attenzione dell’opinione pubblica dai crimini atroci commessi contro i minori dalla gerarchia ecclesiastica a tutti i suoi livelli. Mentre montano a livello internazionale le proteste per i ripetuti insabbiamenti di casi di pedofilia a carico della chiesa cattolica questa non trova niente di meglio che indire la sua crociata contro la RU486.

Abortire per una donna è sempre difficile e doloroso. Spesso le condizioni di oppressione sociale in cui le donne vivono, alimentate da millenni anche dalla Chiesa, sono determinanti; spesso le difficoltà economiche, di lavoro e abitative, nonché la violenza sessuale subita porta ad una scelta “obbligata”.

E’ necessario lottare per una liberazione della donna dall’oppressione doppia che vive in questa società capitalista, quella di classe e quella di genere. Una vera emancipazione sociale della donna è l’unica condizione che potrà condurre alla diminuzione del numero di ricorsi all’aborto, che rimarrà sempre e comunque un inalienabile diritto di autodeterminazione sul proprio corpo.

Contro la piaga della clandestinità, difendiamo il diritto all’aborto.
Mobilitiamoci tutte e tutti per:

1. Estendere la rete di consultori familiari pubblici e gratuiti al servizio delle donne, dei giovani, delle immigrate.
2. Introdurre nelle scuole l’educazione sessuale per favorire una sessualità libera, consapevole e sicura.
3. Favorire l’accesso al lavoro a tutte le donne, combattere il precariato e lo sfruttamento: parità di salario a parità di lavoro. Per un’ampia sindacalizzazione delle donne lavoratrici
4. Istituire servizi sociali gratuiti e di qualità: asili nido, mense, lavanderie ecc.
5. Fermare la violenza sulle donne. Istituire centri antiviolenza e case protette per le donne minacciate di violenza.


Per la donna lavoratrice non c'è soluzione nel capitalismo. Non c'è liberazione della donna senza il trionfo della rivoluzione socialista e non ci sarà rivoluzione socialista senza l'inclusione della donna lavoratrice nella lotta. Facciamo appello a tutte le donne lavoratrici a lottare, insieme alla nostra classe, per la nostra liberazione e per una società in cui uomini e donne possano vivere liberi e felici, senza nessun tipo di oppressione, sfruttamento e disuguaglianza: la società socialista.