LOTTA DI CLASSE E BORGHESIA MAFIOSA
IL CAPITALISMO E IL SUO
STATO PORTANO IN GREMBO LA BORGHESIA MAFIOSA
La lotta del
proletariato e della sue organizzazioni contro un nemico mortale
di
Antonino Marceca
In questo mese di luglio due
avvenimenti marcano la calda estate siciliana: la richiesta di rinvio a
giudizio avanzata dalla Procura di Palermo nei confronti di 12 imputati (i capi
mafia della frazione dei corleonesi, due generali e un colonnello dei
carabinieri, i due ex ministri Calogero Mannino e Nicola Mancino, il fondatore
di Forza Italia e dirigente del PDL senatore Marcello Dell’Utri, il figlio
Massimo del Sindaco di Palermo Vito Ciancimino) nell’ambito della trattativa
Stato-mafia degli anni 1992-1994 volta a ridefinire un nuovo equilibrio di
rapporti e di poteri al passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica; le
dimissioni del Presidente della Regione siciliana, il sicilianista Raffaele
Lombardo (MPA), conseguente alle inchieste giudiziarie che lo coinvolgono per
voto di scambio e concorso esterno in associazione mafiosa e alla grave crisi
finanziaria della Regione, esito congiunto dell’impatto della crisi
capitalistica in una economia debole e di un’irresponsabile politica di
sperpero clientelare del denaro pubblico. Da ricordare d’altra parte che anche
il precedente Presidente della Regione siciliana, Salvatore Cuffaro (UDC),
rassegnava le dimissioni a seguito di indagini della magistratura per concorso
esterno in associazione mafiosa.
LE CONTRASTANTI ANALISI DEL FENOMENO
MAFIOSO
Non c’è ragione di ritenere che vi sia
una specificità strutturale della Sicilia rispetto al Mezzogiorno. D’altronde
mafia, camorra e ‘ndrangheta sono fenomeni similari, anche se con specifiche
caratteristiche.
La pubblicistica borghese sulla mafia
è dominata da luoghi comuni e paradigmi che tendono a considerare il fenomeno
mafioso come corpo estraneo al sistema capitalistico, spesso descritta come
un’emergenza congiunturale legata ad omicidi eclatanti, oppure un antistato in
lotta contro le istituzioni. La letteratura idealistica spazia dalla concezione
della mafia come subcultura (violenta, intimidatrice, prepotente, omertosa,
familistica) condivisa da larga parte della popolazione siciliana (Hess),
all’individuazione della mancanza di strutture della società civile
(arretratezza) come causa del fenomeno. Negli ultimi decenni ha prevalso una
concezione piccolo borghese che utilizzando nell’analisi criteri
etico-giustizialisti distingue due blocchi entrambi interclassisti nella
società: una attraversata da comportamenti amorali e disonesti (mafiosa), comprendente
larga parte del sottoproletariato, l’altra costituita da cittadini onesti e
soprattutto disponibili a collaborare con la magistratura.
Nella sinistra politica siciliana
l’analisi del fenomeno ha visto un duro confronto di analisi e di proposte tra
le forze del movimento operaio, che dalla fine dell’800 si sono cimentate in
Sicilia nel difficile scontro sociale e politico contro la classe dominante.
La sinistra riformista tendeva e tende
a cercare un settore di borghesia progressiva con cui allearsi per uno sviluppo
onesto del capitalismo e per questa via superare il problema della mafia. Da
qui le proposte di patto tra produttori in ambito sindacale e governi di fronte
popolare in ambito politico. La sinistra rivoluzionaria, a partire da Giovanni
Orcel e Nicola Alongi, entrambi assassinati per mano mafiosa nel 1920,
svilupperà una linea classista e rivoluzionaria centrata sull’indipendenza di
classe. Il maggiore contributo da parte marxista di inquadramento teorico della
questione si deve a Mario Mineo che il 15 luglio 1983 scrive: “Affermando che
prima e più che un fenomeno criminale la mafia è un fenomeno sociale, si dice
una pura banalità. Che però acquista senso e contenuto quando si precisa che
essa costituisce la specifica modalità di emergenza della classe borghese in
Sicilia”. Una borghesia che in oltre un secolo di storia ha conosciuto
continuità e trasformazione ed elaborato una sua ideologia: il sicilianismo.
Una frazione della classe dominante che ha goduto e gode di un largo consenso
sociale. Il che non significa che larga parte dei siciliani sia mafiosa o
complice della mafia.
ORIGINE E SVILUPPO DELLA BORGHESIA
MAFIOSA
L’origine della borghesia mafiosa come
classe parassitaria ed intermediaria va individuata nella figura del gabbelloto
di metà dell’800, quando l’aristocrazia della Sicilia occidentale tende a
trasferire la propria residenza nella città di Palermo e cede le terre
dell’interno, dietro pagamento di una gabella, all’organizzazione mafiosa.
Questa era diretta dai gabbelloti, coadiuvati dai sovrastanti (uomini di
fiducia dei gabbelloti) e dai campieri (polizia privata del feudo). Quindi
proprietari terrieri da una parte, contadini poveri e braccianti dall’altra. In
mezzo la classe dei gabbelloti che valorizza il proprio capitale mediante lo
sfruttamento dei contadini poveri e dei braccianti agricoli. Lo stesso vale per
il gabbelloto delle miniere di zolfo, mentre nelle zone costiere a favore dei
proprietari terrieri l’organizzazione mafiosa svolge il servizio di guardiania.
Quando gli operai, i braccianti, i contadini poveri cercano di organizzarsi per
migliorare la loro situazione contrattuale e per rivendicare la riforma agraria
si trovano la strada sbarrata dalla repressione congiunta dello Stato borghese
e della borghesia mafiosa. Nel corso degli anni ’50 del ‘900 parallelamente
alla crisi delle strutture agrarie e alla scomparsa dell’aristocrazia
fondiaria, vediamo la costruzione autonomista della Regione siciliana e
l’ascesa di una nuova borghesia capitalistico-mafiosa pronta a cogliere nuovi
occasioni di profitto: sia illegale (traffici di sigarette, dell’eroina, dei
rifiuti, delle armi, della prostituzione, racket, sofisticazioni, speculazione
edilizia) sia legali (appalti pubblici, imprese di movimento terra, imprese
edili, imprese finanziarie, imprese commerciali e turistico-alberghiere,
subappalti e indotto per grandi imprese e nelle basi militari USA e NATO). La
conquista dell’istituto regionale e l’autonomia hanno permesso alla borghesia
mafiosa di estendere il suo dominio alla Sicilia orientale. I grandi proventi
del traffico della droga le permette di estendere i suoi interessi sul terreno
nazionale e internazionale. Va da sé che non tutta la borghesia in Sicilia è
mafiosa, ma ne rappresenta una ampia componente. L’agire delle cosche mafiose
si concreta nel controllo del territorio, con una stretta delimitazione delle
zone di influenza politica, di investimento economico e di riscossione del
pizzo; nel negare il monopolio statale della violenza e per questo costruisce
le proprie forze paramilitari; nell’ostacolare con ogni mezzo ogni forma di
organizzazione operaia e sindacale indipendente all’interno delle sue imprese e
nei territori. Il rapporto con lo Stato borghese e i suoi governi nazionali
sono complessi. Accanto a lunghi periodi di collaborazione (tra organizzazioni
mafiose ed apparati dello Stato, soprattutto in tema di repressione del
movimento operaio), vi sono stati brevi periodi di scontro e contrattazione,
mediati da parte mafiosa dall’ideologia sicilianista, per poi raggiungere nuovi
equilibri di collaborazione e di potere.
PER UN MOVIMENTO ANTIMAFIA E
ANTICAPITALISTICO
L’analisi del fenomeno mafioso non può
prescindere, come fanno gli studiosi borghesi, dall’analisi della struttura
economica: la storia della lotta contro
la mafia è una storia di lotta di classe. La prima fase è caratterizzata dalla
centralità del movimento bracciantile, dei contadini poveri e di quei nuclei
operai delle grandi città, soprattutto Palermo, dove i Florio avevano
impiantato attività industriali (Fonderia Oretea, Cantiere Navale) e Giovanni
Orcel aveva costruito e dirigeva la FIOM. Essa inizia con la fondazione dei
Fasci dei lavoratori, aderenti al Partito socialista, negli anni 1891-1894 e si
prolunga fino al secondo dopoguerra (1940-1950). Dopo la sconfitta del
movimento bracciantile, la seconda fase comprende gli anni ’60 e ’70 e vede
protagonisti soprattutto le forze politiche della sinistra riformista di
opposizione (PCI) e le piccole organizzazioni della sinistra centrista di quegli
anni. Queste ultime in parte recupereranno una dimensione classista nella lotta
contro la mafia con l’impegno nel sindacato e la costruzione nei territori di
comitati di lotta per il lavoro, per il diritto alla casa, il diritto allo
studio e ai servizi pubblici. E’ di questo periodo l’impegno di Giuseppe
Impastato. Dopo il riflusso del movimento contro i missili a Comiso, il
movimento contro la mafia, sviluppatosi negli anni ’80 in risposta ai grandi
delitti e alle stragi, assume un terreno soprattutto etico-sociale ed
interclassista con una forte egemonia di settori cattolici e giustizialisti.
Questa egemonia borghese deve essere contrastata dai comunisti sul terreno
teorico e della lotta di classe. Non c’è dubbio che una prospettiva reale di
lotta anticapitalista che coinvolga operai, braccianti, studenti, immigrati,
masse popolari su una piattaforma unificante contro la borghesia, i potentati
mafiosi e i suoi governi è più che mai attuale. La mafia crollerà assieme al
sistema capitalistico, solo il governo dei lavoratori e la rivoluzione
socialista possono darci questa garanzia. Questa prospettiva presuppone il
rafforzamento e il radicamento del Partito Comunista dei Lavoratori.