martedì 21 maggio 2013

LA BATTAGLIA DEL MARXISMO RIVOLUZIONARIO DAL 1848 AL 1923

LA BATTAGLIA DEL MARXISMO RIVOLUZIONARIO DAL 1848 AL 1923 

Relazione di Marco Ferrando al seminario di Grizzana
settembre 2002

Il senso di questa relazione è quello di tracciare una linea storica di sviluppo del pensiero e dell'esperienza del marxismo rivoluzionario dal 1848 sino alla rivoluzione russa e ai primi congressi della III Internazionale, in modo da costruire una continuità con le relazioni successive. Com'è del tutto chiaro in realtà questa relazione avrebbe dovuto essere scomposta in due relazioni distinte: molto schematicamente: l'esperienza del marxismo rivoluzionario in Marx e in Engels in una relazione,in un'altra relazione il bolscevismo, la rivoluzione russa, la nascita della III Internazionale. Per limiti di tempo e organizzazione del nostro lavoro, anche in qualche misura sperimentale, dovrò in vece sovrapporre e intrecciare le due relazioni. Di conseguenza quest'introduzione non sarà breve, e cercherò di tracciare delle linee molto generali cercando di essere il meno approssimativo possibile ma necessariamente anche il più sintetico possibile.


MARX ED ENGELS: IL RIGORE DELLA DEMARCAZIONE TEORICA; STRATEGICA, PROGRAMMATICA DENTRO LA COERENZA DELLA BATTAGLIA POLITICA INTERNAZIONALE

Intanto per quanto riguarda la prima parte, quella che ha un riferimento più preciso, più diretto all'esperienza di Marx ed Engels c'è un punto che va premesso e che credo che sia importante anche al fine di sfatare un luogo comune. Un luogo comune molto diffuso, in definitiva, che ha lasciato tracce anche negli ambienti più impensabili è quello per cui Marx e Engels sono stati fondamentalmente due grandi pensatori, i due filosofi del marxismo, o i due critici brillanti dell'economia borghese, che avrebbero individuato un progetto generale, un programma a maglie larghe del comunismo che è il Manifesto del '48; dopo di che si sarebbero sviluppate nella storia reale le varie scuole politiche, le varie tendenze interpretative di quel testo, quelle rivoluzionarie e quelle riformiste, e così ognuno al buffet della storia può scegliere la sua. interpretazione preferita, per usare una celebre espressione di Rosa Luxemburg. A prescindere da ogni altra considerazione c'è un piede di partenza totalmente falso di questo luogo comune. Marx e Engels hanno costruito un'esperienza politica internazionale che è durata decenni complessivamente. E tutta la loro produzione teorica, strettamente intrecciata con la storia del movimento operaio europeo non è stata una dilettazione intellettuale, ma si è sviluppata in funzione di questa costruzione politico-organizzativa. Del resto, del tutto conformemente alle premesse teoriche del suo pensiero, Marx scriveva nell'ultima tesi su Feuerbach: "Finora i filosofi hanno interpretato il mondo, il nostro compito è quello di trasformarlo". La filosofia della prassi, per citare Gramsci, è un elemento connotativo del marxismo rivoluzionario e quindi connotativo anche della pratica politica di Marx e Engels nel corso della loro vita.

La costanza storica della battaglia per l'egemonia

Com'è del tutto evidente la battaglia di egemonia politico-programmatico-teorica di Marx e di Engels all'interno del movimento operaio è stata tutt'altro che lineare. Se si percorre anche solo la cronologia e la successione delle esperienze politico-organizzative di Marx e di Engels, si ha l'idea di questa dinamica sussultoria: la Lega dei Comunisti fu fondata nel 1847-48, la I Internazionale fu fondata nel 1864, la l Internazionale verrà fondata nel 1889. Tra queste esperienze politico-organizzative tutte internazionali (perché sempre internazionale è stato il lavoro di Marx e di Engels) non c'è un filo di continuità rettilinea. C'è un processo storico convulso: la Lega dei Comunisti fu sciolta fondamentalmente nel 1852-53 dopo il processo di Colonia ai comunisti tedeschi. Seguì un lungo periodo di arretramento del movimento operaio e anche di arretramento delle posizioni del marxismo rivoluzionario fino alla costituzione della I Internazionale. Quest'ultima registrò tale arretramento, e infatti si costituì inizialmente su basi politiche e programmatiche per alcuni aspetti meno chiare e più contraddittorie di quelle che segnavano la Lega dei Comunisti e il Manifesto del 1848, ma lì in quell'ambito più largo riprese controcorrente una battaglia di egemonia strategica e programmatica di Marx e di Engels per riaffermare le loro posizioni generali. La I Internazionale ebbe una vita di nove anni: si sciolse di fatto dopo l'esperienza della Comune parigina attorno al 1872-73. Segui un nuovo periodo di arretramento, ma anche una nuova battaglia politica per ricomporre un quadro più avanzato dell'egemonia marxista-rivoluzionaria sul movimento operaio. Come si vede in questa dinamica molte posizioni politico-organizzative sono state conquistate, poi sono state perse, poi riconquistare, poi riperse e poi riconquistate ancora. La battaglia del marxismo-rivoluzionario è sempre stata una battaglia estremamente tormentata anche per i più grandi dirigenti e fondatori del. marxismo-rivoluzionario. Ma se c'è un punto costante che ha accompagnato questa battaglia di Marx e di Engels nel corso della loro storia è la lotta per l'egemonia delle proprie posizioni e quindi, in definitiva, un elemento forte di demarcazione teorica, strategica e programmatica delle proprie posizioni rispetto ad altre posizioni, concezioni, ideologie anche socialiste o socialisteggianti, ma che non avevano nulla di scientifico ed erano anzi un elemento di ostacolo alla maturazione della prospettiva rivoluzionaria del movimento operaio.

La demarcazione originaria del marxismo

Questo ostinato principio di demarcazione teorica, caratterizza la stessa origine politica e teorica del marxismo-rivoluzionario. Il marxismo-rivoluzionario, filosoficamente parlando, viene da una demarcazione rispetto alla sinistra hegeliana, economicamente parlando da una demarcazione rispetto alla tradizione della teoria economica classica, politicamente parlando da una autonomizzazione e una rottura con la tradizione del radicalismo democratico. Il Manifesto del Partito Comunista del 1848 è un testo di netta demarcazione. Naturalmente in questo testo Marx ed Engels scrivono che il marxismo non ha principi "settari", cui il movimento operaio si dovrebbe conformare; dichiarano che il movimento proletario marxista deve essere disponibile all'unità d'azione con altri partiti proletari; sempre nel Manifesto c'è il riferimento all'esperienza del cartismo inglese, come c'è il riferimento all'esperienza del partito agrario americano, c'è l'affermazione che i marxisti sostengono qualsiasi moto rivoluzionano contro l'ordine esistente: ma tutto questo nel quadro di una demarcazione molto netta del proprio profilo. E infatti

1) Marx ed Engels esprimono una demarcazione e una rottura molto netta rispetto alla tradizione del cosiddetto socialismo utopistico premarxista di Fourier, Owen e Saint Simon, pensatori socialisti non scientifici, che avevano fantasticato sulla futura società comunista, ma non avevano individuato un soggetto sociale di riferimento, non avevano individuato nel movimento reale della lotta di classe la leva della trasformazione, e non avevano una strategia e un programma di trasformazione rivoluzionaria della realtà.
2) Come i compagni ricorderanno, tutta la parte conclusiva del Manifesto rappresenta una demarcazione e una contrapposizione rispetto alle varie scuole, tendenze, ideologie socialiste o socialisteggianti che molto spesso erano espressione, per dirla con Marx, dell'influenza e delle pressioni di altre classi. C'è il paragrafo di denuncia del cosiddetto socialismo feudale, c'è il paragrafo di denuncia del cosiddetto socialismo piccoloborghese, c'è il paragrafo di denuncia del cosiddetto socialismo tedesco o vero socialismo, c'è il paragrafo di denuncia del cosiddetto socialismo borghese, che tra l'altro, a differenza di tutti i riferimenti alle tendenze socialiste o socialisteggianti precedentemente indicati, che sono storicamente superati e datati, è di una attualità straordinaria perfino nei termini formali in cui Marx lo individua e lo denuncia.

Una parte della borghesia -si legge- desidera di portar rimedio ai mali della società per assicurare l'esistenza della società borghese. Questo socialismo ha cercato di distogliere la classe operaia da ogni moto rivoluzionario dimostrando che ciò che le può giovare non è questo o quel cambiamento politico ma soltanto un cambiamento delle condizioni materiali di vita e dei rapporti economici. Questo socialismo però non intende menomamente per cambiamento delle condizioni materiali di vita l'abolizione dei rapporti di produzione borghese, che può conseguire soltanto per via rivoluzionaria, ma dei miglioramenti amministrativi realizzati sul terreno di questi rapporti di produzione, i quali perciò non cambiano affatto il rapporto tra capitale e lavoro salariato, ma nel migliore dei casi diminuiscono alla borghesia le spese del suo dominio e semplifichino l'assetto della sua finanza statale”.

Direi che, più o meno negli stessi termini, potrebbe essere una citazione da usare nella nostra battaglia antiriformista all'interno di Rifondazione Comunista1, per fare un'esemplificazione.

La continuità della battaglia di “raggruppamento rivoluzionario”: dalla Lega dei comunisti alla critica del programma di Gotha

Al tempo stesso questo elemento di demarcazione teorica originaria, questo atto fondativo (un conto è il .socialismo scientifico, un conto gli altri socialismi ideologici, a maggior ragione il socialismo borghese) non fu semplicemente un atto originario depositato li, dopo di che le idee avrebbero viaggiato tranquillamente per conto loro. Al contrario questo patrimonio strategico e programmatico continuò ad essere terreno di demarcazione, di battaglia politica anche all'interno del movimento operaio indipendente e anche all'interno delle espressioni politiche organizzate del marxismo-rivoluzionario, in cui Marx e Engels investivano la propria opera, la propria battaglia. E se seguiamo appunto, a grandissime linee, la vicenda della Lega dei Comunisti del '47-'48, della I Internazionale a partire dal '64, e poi tutto il percorso che va dallo scioglimento della I Internazionale fino alla Il, vediamo che in qualsiasi ambito politico e organizzato Marx ed Engels fecero una battaglia rigorosa di demarcazione teorica, strategica e programmatica. La Lega dei Comunisti nacque attorno al Manifesto, ma non è che a quel punto la battaglia politica fosse chiusa: al contrario, all'interno della Lega dei Comunisti, che pur si era costruita appunto sulle basi avanzatissime di quel testo, Marx ed Engels continuarono a sviluppare una battaglia teorica, strategica, programmatica per consolidare quella posizione di partenza, e lo fecero contro diverse tendenze e posizioni di socialismo cristiano, di socialismo sentimentale, di "islam comunistico" per usare un'espressione che Engels usa nella sua ricostruzione della vicenda storica della Lega dei Comunisti (un pamphlet brevissimo ma interessantissimo e molto formativo rispetto alle origini del movimento marxista). Così come portarono avanti una battaglia assai dura per esempio rispetto al partito e al movimento cartista per cercare di separare la corrente riformista del cartismo inglese, quella che faceva riferimento alla cosiddetta tendenza della "Forza morale", dall'ala rivoluzionaria di quel movimento, che faceva riferimento alla cosiddetta tendenza (l'espressione è significativa) della "Forza fisica". Cercarono di scinderle, di separarle, raggruppando e ricomponendo l'area più radicale attorno a un asse rivoluzionario in contrapposizione alle posizioni riformiste. Lo stesso accadde in relazione all'esperienza della I Internazionale. Marx in una lettera a Bolte del 1871 così riassumerà in termini di bilancio retrospettivo l'esperienza della I Internazionale:

L'Internazionale venne fondata per porre in luogo delle sette socialiste o semisocialiste la vera organizzazione della classe operaia per la lotta e la storia dell'Internazionale è stata una lotta continua del Consiglio Generale, della Struttura dirigente dell'Internazionale medesima contro le sette, gli esperimenti dilettanteschi che cercavano di prevalere sul movimento reale della classe operaia all'interno stesso dell'Internazionale”.

E anzi il grosso della battaglia programmatico-strategica di Marx e di Engels si svolse soprattutto nella I Internazionale, perché la I Internazionale a differenza della Lega dei Comunisti si era costituita su basi relativamente larghe (in quanto registrava l'arretramento precedente del movimento operaio dopo la sconfitta e lo scioglimento della Lega) e in questa I Internazionale entrarono così le più diverse famiglie, a volte del socialismo o addirittura della democrazia piccolo-borghese rivoluzionaria: dalle trade unions inglesi fino a Mazzini, tant'è vero che Marx parlerà anche lì in sede di bilancio di una sorta di “accordo ingenuo fra tutte le frazioni, partiti etc." Ma quanto più era largo l'ambito della battaglia dei marxisti rivoluzionari (l'ampiezza di tale ambito era in qualche modo imposta dall'arretramento precedente del movimento operaio e dalla necessità di rimettere in moto un processo) tanto più ostinata era la battaglia di Marx e di Engels per riconquistare, riconsolidare l'egemonia delle posizioni marxiste rivoluzionarie sul movimento operaio. E infatti, come dice lo stesso Marx, tutta la vita della I Internazionale è stata una vita di lotte interne. E' stata innanzitutto la lotta contro i proudhoniani, seguaci di colui che, per semplificare, fu uno dei padri teorici (anche se eterodosso) dell'anarchismo europeo, con posizioni molto distinte da quelle di Bakunin, e che in buona sostanza teorizzava lo sviluppo delle cooperative come via di accesso a una società alternativa (precorrendo le attuali teorie sul terzo settore) ed escludeva nel modo più totale il tema della politica, della lotta di classe e della conquista del potere. Secondo terreno di battaglia fu la polemica contro Lassalle. Lassalle aveva avuto un grande merito in Germania ed era stato quello di porre le fondamenta del movimento operaio indipendente separandolo dal radicalismo democratico tedesco. Ma al tempo stesso era progressivamente scivolato su posizioni riformiste nazionali fuori da un'ottica di costruzione internazionale del movimento operaio e aveva progressivamente maturato anche delle posizioni obiettivamente equivoche nei confronti di Bismarck e della monarchia prussiana, con cui era stato tentato di addivenire a compromessi opportunistici. Lo scontro con Lassalle e il lassallismo sarà per Marx un terreno centrale di battaglia per l'egemonia nella I Internazionale. Terzo terreno di battaglia interna fu la lotta contro Bakunin, che entrò nella I Internazionale nel 1868 con una frazione organizzata che si chiamava 'Alleanza per la democrazia socialista" e ci entrò esattamente per prendere la testa dell'Internazionale, e per affermarvi una posizione politica che non aveva niente a che vedere col marxismo, secondo la quale il soggetto centrale per la trasformazione della società non era la classe operaia ma il brigante (salvo poi, in seguito alla sua cattura da parte della polizia russa, rivolgersi allo zar dal carcere, nelle sue Confessioni, presentandosi fondamentalmente come un bravo ragazzo con cui, a differenza che con Marx, con Engels e con altri terribili rivoluzionari, era possibile al limite trovare una qualche forma di accordo). La lotta contro il bakunismo, che Marx e Engels condussero fino alla fine, portò, dopo l'esperienza della Comune di Parigi, allo scioglimento di fatto dell'Internazionale. Marx e Engels sapevano che la lotta contro il bakunismo sino all'espulsione di quest'ultimo dall'Internazionale, ne avrebbe in qualche modo comportato, per dinamiche sue proprie, lo scioglimento. Ma era questa una condizione decisiva per evitare che l'Internazionale fosse conquistata da posizioni politiche e programmi che avrebbero segnato una retrocessione storica rispetto alle posizioni che il marxismo rivoluzionario aveva conquistato. E a quelli che dicevano "Ma come facciamo a dividere l'Internazionale, a rischiare di determinarne lo scioglimento?", a quelli che sollecitavano in qualche modo "l'unità e l'unificazione di tutti all'interno dell'Internazionale", così Engels rispondeva:

Non ci si deve lasciar trarre in errore dagli strilli per l'unificazione. Coloro che più hanno in bocca questa parola sono i più grandi seminatori di discordia, come proprio in questo momento i bakunisti svizzeri iniziatori di tutte le scissioni, che non fanno altro che gridare all'unione. Questi fanatici dell'unificazione o sono delle intelligenze limitare che vorrebbero mescolare tutto in una pappa indeterminata, che basterebbe lasciar posare perché le differenze si riproducessero con contrasti ancor più vivaci, oppure sono delle persone che incoscientemente o coscientemente vogliono falsificare il movimento, per ciò i peggior settari e più grandi attaccabrighe canaglie sono in certi momenti quelli che reclamano con più alti strilli l'unificazione. Nella nostra vita (si riferisce a lui e Marx. N.d.A.) nessuno ci ha mai dato più fastidi, nessuno ci ha mai teso più insidie che i rumorosi predicatori dell'unificazione. Naturalmente ogni direzione di partito vuol vedere dei successi e ciò è anche molto bene, ma vi sono delle circostanze in cui bisogna avere il coraggio di sacrificare il successo momentaneo a cose più importanti, specialmente per un partito come il nostro con il suo programma e con i suoi principi”.

Questa battaglia di demarcazione teorica strategica nettissima fu portata avanti da Marx e da Engels anche nel processo di costruzione della II Internazionale dopo lo scioglimento della Prima. E qui vi fu un passaggio, che dà il senso del metodo e del rigore dei principi di Marx e di Engels: quando in Germania, attorno al.1875, dopo una lunga diaspora, le due principali organizzazioni socialiste del movimento operaio indissero un congresso di unificazione attorno ad un programma comune, l'organizzazione di tradizione lassalliana da un lato e l'organizzazione che faceva riferimento ad Eisenach (Più tradizionalmente vicino alle posizioni di Marx e di Engels) dall'altro. Naturalmente gli operai di avanguardia in Germania salutarono molto positivamente questa unificazione. Il piccolo particolare era che questa unificazione fra lassaliani e Eisenach avveniva attorno ad un programma, il cosiddetto Programma di Gotha che segnava una retrocessione verticale di posizioni politiche strategiche già acquisite in particolare da parte del partito di Eisenach: un programma ibrido senza principi, che, per mettere d'accordo la tradizione lassalliana e quella coerentemente marxista faceva, come dice Marx, "traffico dei principi", Marx e Engels presero la penna e scrissero:

Dopo il Congresso di unificazione Engels e io pubblicheremo una breve dichiarazione in cui affermeremo che non condividiamo i principi del suddetto programma e che non abbiamo niente a che fare con esso. Ciò è assolutamente necessario, è un programma che secondo la nostra convinzione deve essere assolutamente respinto e che demoralizza il partito. Ogni passo di movimento reale è più importante di una dozzina di programmi. Se non si poteva andare oltre il programma di Eisenach, si sarebbe dovuto semplicemente concludere un accordo per l'azione contro il nemico comune, ma se si fanno dei programmi di principio invece di rinviarli sino al momento in cui un programma sia stato preparato, da una più lunga attività comune delle due organizzazioni, si elevano al cospetto di tutto il mondo le pietre miliari dalle quali si giudica il livello del movimento di partito. Si sa che il semplice fatto dell'unificazione appaga gli operai, ma si sbaglia pensando che questo successo momentaneo non sia stato comprato a un prezzo troppo caro”.

Il paradosso di questa citazione è che solitamente i riformisti, a partire da Fausto Bertinotti, ne estrapolano solo una frase, quella che dice "ogni passo di movimento reale è più importante di una dozzina di programmi" per dire che per Marx e Engels i programmi erano sostanzialmente irrilevanti. Il piccolo particolare è che tutto il contesto dell'argomentazione dice non solo una cosa diversa ma la cosa esattamente opposta.

La lotta di Marx per l'indipendenza di classe

Ora si tratta di capire, fermo restando questo principio e questa linea di demarcazione generale, quali sono stati i contenuti strategici portanti della battaglia di Marx e di Engels per l'egemonia nei diversi raggruppamenti organizzati in cui hanno operato e nelle diverse fasi storiche. Anche qui, andando ovviamente per massima approssimazione, vorrei toccare tre punti che mi paiono centrali. Tre terreni: il terreno dell'indipendenza politica del movimento operaio, il terreno e il tema delle rivendicazioni transitorie (chiamiamolo così con un linguaggio che non era ancora proprio di Marx ma che in nuce già si trovava in Marx) e, terzo, il tema dello Stato e quindi della dittatura proletaria. Primo aspetto: indipendenza politica del movimento operaio. Tutto quanto abbiamo detto sin ora è in relazione a questo principio cardine. Quando Marx ed Engels portano avanti la lotta per demarcare teoricamente il marxismo rispetto alle altre tendenze, non fanno semplicemente una battaglia teorica o filosofica fine a se stessa. Cercano di costruire nella classe operaia e innanzitutto nell'avanguardia della classe operaia il senso della propria indipendenza politica nei confronti delle altre classi. Questo è stato un punto centrale di tutta l'opera di Marx e Engels: il rifiuto della collaborazione di classe, il rifiuto della partecipazione dei marxisti, dei comunisti, a governi borghesi "democratici, progressisti, riformatori" che dir si voglia. E' una posizione cardine in qualche modo implicitamente già affermata nel Manifesto del Partito Comunista, perché quando si dice che alla base della storia c'è la lotta di classe, è evidente che in questo principio c'è già il rifiuto della collaborazione delle classi (Trotsky osservò giustamente in un testo di commentario storico del novantesimo del Manifesto che già esso rappresenta la ripulsa anticipata di tutta la predicazione collaborazionista della socialdemocrazia e dello stalinismo dell'epoca dei fronti popolari). Ma, al di là di questo, è nell'esperienza politica e storica del movimento operaio del suo tempo che Marx affermò e sviluppò questo principio. Ci sono due scritti di Marx poco conosciuti in realtà (e non a caso) che sono centrali da questo punto di vista: uno è Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 e l'altro l'Indirizzo alla Lega dei Comunisti del 1850. Nel primo testo Marx si riferisce all'esperienza della rivoluzione in Francia nel febbraio-giugno 1848. Cosa era successo? In due parole era successo che una grande rivoluzione popolare aveva rovesciato la monarchia degli Orléans. In questa rivoluzione popolare la classe operaia aveva avuto un ruolo molto importante, ma il governo che si formò a febbraio a ridosso di questa rivoluzione subiva un'egemonia sostanzialmente borghese. All'interno di questo governo sedevano i rappresentanti di tutte le classi, e in particolare i rappresentanti dell'ala riformista del movimento operaio francese: Blanc e Albert. Questa esperienza si rivelerà un disastro. La borghesia farà una serie di concessioni riformatrici alla pressione rivoluzionaria del movimento operaio, ma in realtà lavorerà dietro le quinte per ribaltare i rapporti di forza e creare le condizioni per annullare tutte queste conquiste. E i rappresentanti del movimento operaio all'interno del governo saranno semplicemente coloro che copriranno, in veste di ostaggi, questa operazione controrivoluzionaria. Marx bollò con parole di fuoco l'esperienza governista di Blanc e Albert. Blanc aveva accettato in buona sostanza, attraverso la cosiddetta "commissione Lussemburgo", il Ministero del lavoro. E Marx scrisse:

Accanto ai ministeri delle Finanze, del Commercio e dei Lavori pubblici, accanto alla Banca e alla Borsa, sorse una sinagoga socialista cui i sommi sacerdoti Louis Blanc e Albert avevano la missione di scoprire la terra promessa, di annunciare il nuovo vangelo, ma in realtà di intrattenere il proletariato parigino. A differenza di ogni profano potere statale non era a loro disposizione nessun bilancio, nessun potere esecutivo. Con le loro teste si dovevano abbattere i pilastri fondamentali della società borghese. Gli operai avevano fatto insieme alla borghesia la Rivoluzione di Febbraio, accanto alla borghesia cercavano di far valere i loro interessi. Allo stesso modo che nel governo provvisorio stesso avevano installato un operaio accanto alla maggioranza borghese. Organizzazione del lavoro: ma il lavoro salariato è l'attuale organizzazione borghese del lavoro, senza di esso non vi è capitale né società borghese. Un proprio Ministero del Lavoro, ma i ministeri delle Finanze, del Commercio,dei Lavori pubblici non sono i ministeri borghesi del lavoro?Accanto ad essi un ministero proletario del Lavoro, non poteva non essere un ministero dell'impotenza, un ministero dei pii desideri”.

Badate che questa posizione era una posizione assunta nei confronti di un governo riformatore che, per intenderci, aveva datò le dieci ore ai lavoratori parigini, oltre che conquiste democratiche fondamentali (dal suffragio universale alla repubblica); un governo che era il sottoprodotto di un grande rivolgimento di massa. Ciò nonostante la parola d'ordine, il principio, era star fuori da quel governo borghese, opporsi ad esso e denunciare i rappresentanti del movimento operaio che ne facevano parte. L'altro testo, l' Indirizzo alla Lega del 1850 è un testo se possibile ancora meno conosciuto de Le lotte di Classe in Francia, ma ancor più significativo. Più significativo perché in esso paradossalmente (spiegherò poi il senso del paradosso) Marx partiva da una posizione che si è rivelata sbagliata. Nel 1850 Marx non aveva ancora razionalizzato il fatto che la rivoluzione del '48 era rifluita. E pensava, sbagliando, che si fosse, in particolare in Germania, alla vigilia di una nuova rivoluzione popolare di massa, dove, a suo avviso, sarebbe stata non più la borghesia liberale, che aveva già tradito il '48 tedesco, ma la piccola borghesia democratica, il partito piccolo-borghese democratico, la forza egemone, di governo. Ebbene egli scrisse l'Indirizzo alla Lega per mettere in guardia gli operai dal farsi abbindolare dal futuro probabile governo democratico piccolo-borghese:

Il primo problema è quello di mantenere l'autonomia e l'opposizione verso questo governo, il secondo problema è di utilizzare quest'autonomia e quest'indipendenza rivoluzionaria dal governo piccolo-borghese democratico riformatore per far avanzare dentro le sue contraddizioni una prospettiva di rivoluzione proletaria, di rivoluzione socialista”.

Cito queste espressioni perché mi sembrano molto interessanti anche per altre angolazioni del nostro dibattito:

Mentre i piccolo-borghesi democratici vogliono portare al più presto possibile la rivoluzione alla conclusione e realizzando tutt'al più le rivendicazioni di cui sopra (rivendicazioni riformiste) è nostro interesse e nostro compito rendere permanente la rivoluzione sino a che tutte le classi più o meno possidenti non siano scacciate dal potere, sino a che il proletariato non abbia conquistato il potere dello Stato, sino a che l'associazione dei proletari non solo in un paese ma in tutti i paesi dominanti del mondo si sia sviluppata al punto che venga meno la concorrenza tra i proletari di questi paesi e sino a che almeno le forze produttive decisive non siano concentrate nelle mani dei proletari non può trattarsi per noi di una trasformazione della proprietà privata ma della sua distruzione, non del mitigamento dei contrasti di classe ma dell'abolizione delle classi, non del miglioramento della società attuale ma della fondazione di una nuova società”.

Il che significa appunto che l'indipendenza politica della classe operaia non era una pura demarcazione ma era condizione decisiva per la prospettiva di una rivoluzione proletaria e che questa rivoluzione proletaria veniva concepita come rivoluzione in permanenza nel quadro di un processo rivoluzionano internazionale.

La tematica "transitoria” del programma in Marx

Il secondo terreno di battaglia politica e strategica generale è il terreno cosiddetto della tematica transitoria. Ho detto. che in Marx non c'è uno sviluppo compiuto della tematica transitoria, che verrà elaborata in termini compiuti in particolare dal partito bolscevico, dalla III Internazionale e poi dall'Opposizione trotskysta e dalla IV Internazionale, ma nelle sue opere vi sono in nuce tutte le premesse di quella futura elaborazione. Spesso anche i pochi che si occupano del lavoro politico di Marx in relazione alla classe operaia e al movimento operaio reale sottolineano solo un aspetto, che è reale ma molto limitato: l'impegno di Marx e della I Internazionale, come già della Lega dei comunisti, nelle battaglie immediate del movimento operaio dell'epoca. Certo Marx ebbe un ruolo importante da questo punto di vista; polemizzò già nel suo testo Miseria della filosofia (1846) con Proudhon, polemizzò contro gli economisti che volevano demolire il concetto di battaglia per il salario: tutta l'argomentazione di Marx dice quanto fosse importante la battaglia per il salario. Così la battaglia di Marx e di Engels sulla questione della riduzione dell'orario di lavoro internazionale in Europa e nel mondo fece epoca nell'800: e fu un pezzo decisivo dell'impegno di Marx e di Engels contro la tradizione delle sette, cioè di quelle organizzazioni propagandistiche frutto di un approccio astratto, parasocialiste e sostanzialmente premarxiste, che si concepivano a latere del movimento reale delle masse, mentre Marx diceva che bisognava sviluppare tale movimento e che questo sviluppo si costruisce a partire anche da obiettivi di carattere immediato. Ma c'è l'altra faccia della medaglia:se ci fu una posizione che non solo Marx non sostenne mai, ma che Marx combatte sempre fu quella per cui il socialismo poteva essere in qualche modo il punto d'approdo di una graduale espansione di conquiste immediate, di riforme sociali e democratiche strappate magari con dure lotte da parte dei lavoratori e da parte delle organizzazioni dei lavoratori. Prendiamo ad esempio tutto il quadro dei rapporti tra Marx e le trade unions inglesi. Marx incoraggiò lo sviluppo delle trade unions inglesi perché vide nel loro sviluppo un passo avanti del movimento operaio inglese; ma, detto questo, tutta la sua battaglia si sviluppò contro la loro impostazione minimalistica, sindacalistica, economicistica. Marx affermò che la battaglia per il salario era estremamente importante, come anche quella per la riduzione dell'orario di lavoro, ma che non bisognava farsi illusioni: ogni conquista che veniva strappata, in qualche modo, poi, una volta mutato il rapporto di forza, veniva "rimangiata" dalle classi dominanti, dalla società borghese. Ciò significava che non era importante la lotta per le conquiste immediate? Al contrario, ma quella lotta era importante non tanto in relazione alle conquiste immediate in sé, ma perché quello era il terreno più favorevole su cui si poteva sviluppare l'organizzazione indipendente della classe operaia e quindi la coscienza della necessità di una rottura rivoluzionaria con la classe dominante e della conquista del potere politico. Questo concetto è assolutamente centrale in Marx. E in questo quadro è centrale ancora una volta quello che Marx scrisse in relazione al rapporto fra i comunisti e l'ipotetico governo democratico piccolo-borghese tedesco. Marx previde che il governo democratico piccolo-borghese tedesco in quella rivoluzione (che poi non si realizzò, ma qui interessa l'aspetto di metodo) avrebbe offerto ai lavoratori molte riforme, molte concessioni. Per Marx il problema era quello di riuscire a sviluppare, in relazione a queste riforme e a queste concessioni, e a partire da una totale indipendenza politica nei confronti del governo, il movimento rivoluzionario anticapitalistico della classe operaia. Qual è nostro compito -si chiede – una volta che si costituirà questo governo?

I lavoratori devono spingere all'estremo le misure proposte dai democratici, che ad ogni modo non si presenteranno come rivoluzionari ma solo come riformatori, e trasformarli in attacchi diretti alla proprietà privata, così ad esempio quando i piccolo-borghesi proporranno di acquistare le ferrovie e le fabbriche gli operai dovranno reclamare che tali ferrovie e fabbriche siano confiscate dallo Stato puramente e semplicemente senza risarcimento come proprietà dei reazionari. Se i democratici proporranno l'imposta proporzionale, gli operai proporranno l'imposta progressiva, Se i democratici proporranno essi stessi l'imposta progressiva moderata i lavoratori insisteranno per l'imposta così rapidamente progressiva che il grande capitale ne sia rovinato. Se i democratici reclameranno che si regolino i debiti dello Stato i proletari reclameranno che lo Stato faccia bancarotta. Le richieste degli operai dovranno sempre regolarsi sulle concessioni e sulle misure dei democratici. Sebbene gli operai tedeschi non possano giungere al potere e soddisfare i loro interessi di classe senza attraversare un lungo sviluppo rivoluzionario, essi hanno però questa volta per lo meno la coscienza che il primo atto dell'incombente dramma rivoluzionario coinciderà con la vittoria diretta della loro classe in Francia e perciò il processo sarà affrettato, ma essi debbono fare l'essenziale per la loro vittoria finale chiarendo a se stessi i loro propri interessi di classe, assumendo il più presto possibile una posizione indipendente di partito e non lasciando che le frasi ipocrite dei piccoli borghesi democratici li sviino nemmeno per un istante dall'organizzazione indipendente del partito del proletariato. Il loro grido di battaglia deve essere la rivoluzione in permanenza”.

Interessante è proprio l'approccio programmatico, perché la linea di Marx non è quella di dire "gli operai otterranno da questo governo riformatore una posizione più avanzata e poi in una tappa successiva vedremo"; il problema di Marx è costruire una proposta rivendicativa di carattere transitorio che faccia da ponte tra lo stato delle masse, le concessioni loro eventualmente elargite da un governo "democratico" e la necessità decisiva della conquista del potere. Insomma il fine rivoluzionario nell'impostazione del programma è sempre stato centrale in Marx.

La dittatura del proletariato

Il terzo punto, il terzo contenuto caratterizzante della battaglia per l'egemonia, riguarda appunto la questione del fine rivoluzionario. Anche qui è stata usata spesso a sproposito una citazione (in particolare dal gruppo dirigente di Rifondazione, che ne ha fatto anche un'effigie più o meno sistematicamente sulle tessere di partito), la famosa frase tratta dal Marx dell'Ideologia tedesca del 1846, secondo cui il comunismo non è un modello astratto a cui il mondo si deve conformare, ma il "movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti". Qual è il significato reale di questo concetto (non a caso espresso in un testo in cui Marx spiega la sua concezione materialistica della storia)? È la polemica nei confronti delle sette dottrinarie essenzialmente premarxiste che pensavano di poter calzare le proprie brache intellettuali al mondo, a partire da una concezione idealistica dello sviluppo storico. E' chiaro che con queste concezioni e questo comunismo così inteso, Marx non aveva niente a che vedere. Il comunismo è "un movimento reale" -dice Marx - nel senso che è inscritto nella lotta di classe, quella che le sette rifiutavano. Ma questo non ha appunto niente a che vedere con una supposta irrilevanza del programma e del fine rivoluzionari, perché anzi questo movimento reale della classe operaia può giungere alla trasformazione rivoluzionaria proprio e soltanto se incontra un progetto cosciente, un programma, un quadro di principi, una direzione politica, come diremmo noi oggi. Tutta l'opera teorica e politica di Marx e di Engels è esattamente concentrata su questo punto. Sul quadro generale delle posizioni programmatiche in relazione ai fini (credo che fra noi vi sia una larga informazione quindi non entro nei dettagli e non dico cose scontate) un punto volevo sottolinearlo, perché anche questo è stato oggetto di mille mistificazioni dirette e indirette, non solo nel Prc ma in tutta la lunga vicenda del movimento operaio e riguarda la questione dello Stato. Molto spesso si dice che in Marx c'è un'elaborazione compiuta su tante questioni, ma sulla questione dello Stato vi sarebbe un'elaborazione incompiuta per cui alcuni fallimenti e degenerazioni burocratiche del '900 sarebbero attribuibili anche a questo "peccato originario" del marxismo. In realtà (a prescindere dal carattere tutto idealistico di questa impostazione) questa tesi dell'assenza di una compiuta teoria di Marx sullo questione dello Stato è totalmente infondata sia dal punto di vista teorico che dal punto di vista politico. Dal punto di vista teorico chiunque conosca le principali opere di Marx e di Engels sulla concezione materialistica della storia, dall'Ideologia tedesca all'Origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, o all'AntiDuhring sa quanto sia importante in Marx l'analisi delle origini storiche e la demistificazione del feticismo dello Stato (tra l'altro vorrei ricordare il piccolo particolare che il primo momento di rottura di Marx con l'hegelismo riguarda la filosofia del diritto, là dove per Hegel lo Stato era l'oggettivazione dello Spirito nella Storia e quindi la concretizzazione di una ragione trascendente, per Marx invece era l'espressione della classe storicamente dominante). Ma è dal punto di vista politico che è centrale la concezione marxiana dello Stato, dal punto di vista cioè della concezione della prospettiva del potere politico e della lotta per il potere politico. E' vero che su questo terreno abbiamo un'evoluzione storica della posizioni di Marx. Non credo che dobbiamo sostenere la posizione di alcune correnti "invariantiste" del bordighismo secondo cui nel Marx del 1844-48 c'era già tutto Marx, il profeta che ha operato ed elaborato al di fuori della storia. Nel percorso storico indubbiamente Marx sviluppò nel concreto la sua concezione del potere politico e della dittatura proletaria, ma lo fece a partire dalle sue basi. E direi che tre sono le fasi fondamentali di questa elaborazione. Innanzitutto nel Manifesto del Partito Comunista c'è chiaramente il concetto centrale della conquista del potere politico da parte del proletariato, con un'espressione molto significativa: “Il proletariato ha il compito di organizzarsi in classe dominante, esercitare la sua supremazia politica attraverso il potere conquistato e sviluppare interventi dispotici (questa l'espressione di Marx. N.d.A.) nei confronti della proprietà e del diritto borghese di proprietà." Non c'è la dizione formale della dittatura del proletariato, ma è del tutto evidente che il concetto già nel 1848 è quello. Un secondo passaggio è quello del 1848-50, che fu sospinto dall'osservazione dell'esperienza storica, in particolare della Francia dei primi decenni dell'800. In Francia vi era stato un continuo susseguirsi di rivoluzioni e controrivoluzioni e una continua modifica dell'organizzazione dello Stato: dall'assolutismo prerivoluzionario al giacobinismo poi, dal Termidoro al primo Napoleone, dalla restaurazione dei Borboni alla monarchia degli Orléans, dalla Repubblica nata dal febbraio del '48 al Secondo Impero: un concentrato di osservazione storica inestimabile dal punto di vista dell'analisi dello Stato e della sua evoluzione. In tutto questo tumultuoso svilupparsi delle organizzazioni statali quale fu, secondo Marx, la costante, la direzione di marcia, che segnò, pur in modo sussultorio, la linea generale di tendenza? Il rafforzamento della burocrazia dello Stato e il rafforzamento dell'esercito permanente. Burocrazia statale ed esercito permanente vennero individuati da Marx (quali che siano le diverse forme di organizzazione dello Stato) come il baricentro dello Stato borghese, e già nel 1848-50 egli sottolineava la necessità che il movimento operaio concentrasse tutte le sue forze per la distruzione dello Stato borghese, intesa come dissoluzione, innanzitutto, della burocrazia e dell'esercito permanente. Non a caso nel 1848-50 Marx usò per la prima volta esplicitamente il termine "dittatura del proletariato", al punto da individuarla in una nota lettera a Weidmayer del 1852 come l'essenza stessa del comunismo:

Mi hanno detto che io ho scoperto la lotta tra le classi, ma per carità l'avevano già scoperta i liberali, io ho scoperto la dittatura del proletariato, la prospettiva rivoluzionaria vincente per la classe oppressa e le masse oppresse come leva del superamento e dell'abolizione delle classi”.

Ma è soprattutto nella terza fase, con l'esperienza della Comune parigina del 1871 che si completò l'elaborazione marxiana della teoria della dittatura proletaria. Che cosa era accaduto è noto: nel 1871 gli operai parigini avevano conquistato il potere con una magnifica insurrezione sullo sfondo di una guerra, la guerra franco-prussiana; era nata la Comune, un'assemblea di consiglieri municipali eletti a suffragio universale e permanentemente revocabili, unita a un quadro di funzionari permanentemente eleggibili e revocabili da parte della loro base elettiva, pagati con un salario medio da operaio e quindi allo smantellamento di tutti privilegi tradizionali della vecchia burocrazia. La Comune aveva unificato funzioni legislative ed esecutive: era quindi un parlamento e al tempo stesso uno strumento di lavoro. Quest'esperienza si svilupperà sotto la direzione dei blanquisti e dei proudhoniani, in modo tragico. Molto spesso si dice che siano stati i "marxisti" alla testa della Comune, invece alla testa della Comune c'erano i blanquisti (che ereditavano una lunga tradizione babuvista -da Babeuf- radicata nel rivoluzionarismo borghese francese) e i proudhoniani (di cui ho parlato precedentemente) che con la loro impostazione contribuirono obiettivamente alla sconfitta. C'è un testo bellissimo di Trotsky del 1920 che, traendo un bilancio della Comune, afferma che essa fu sconfitta proprio perché mancava il partito, la direzione politica cosciente, etc. Ma al di là della sconfitta, Marx trasse da questa esperienza una lezione fondamentale, di importanza storica universale. Essa dimostrò che gli operai possono conquistare il potere politico ma solo sostituendolo con un proprio potere, che dissolva burocrazia ed esercito permanente, pieghi e sconfigga la resistenza delle classi spodestate, cominci in qualche modo a estinguersi e a dissolversi nell'ambito della società. In altri termini da allora la Comune di Parigi fu assunta da Marx e da Engels come l'esemplificazione della prospettiva della dittatura del proletariato. Ed Engels dirà, rispondendo alla domanda "Che cos'è per voi la dittatura del proletariato?": "La dittatura del proletariato è la Comune". Faccio questo riferimento per dire di passata che nessuna posizione, nessuna interpretazione della dittatura proletaria poteva essere più lontana da Marx che quella che concepisse la dittatura proletaria come dittatura di una burocrazia privilegiata separata dalle masse. Tutta l'elaborazione del marxismo rivoluzionario da questo punto di vista va in direzione esattamente opposta.

LA BATTAGLIA DEL MARXISMO RIVOLUZIONARIO DALLA II ALLA III INTERNAZIONALE

Si chiude una prima parte di questa introduzione e passiamo a una seconda parte che è quella che investe il periodo storico che va dalla fondazione della II Internazionale, attraverso la rivoluzione russa sino alla fondazione della III Internazionale. L'arco storico è evidentemente periodo molto complicato e tumultuoso sia dal punto di vista della storia europea sia dal punto di vista della storia del movimento operaio. Dal punto di vista della storia europea è la fase in cui progressivamente declinò il lungo periodo di sviluppo pacifico e democratico del capitalismo che vi era stato in Europa dopo la sconfitta della Comune a partire sostanzialmente dal 1873, comparve il fenomeno dell'imperialismo, iniziò a scatenarsi la lotta per le colonie, incominciarono a soffiare i venti di guerra che costituirono il preludio alla prima grande guerra imperialista. E al tempo stesso il movimento operaio conobbe glorie e disastri come forse mai era avvenuto nella stagione storica precedente: dal grande successo -come dirò- della costituzione della II Internazionale alla rovina e al crollo di questa sullo sfondo della prima guerra imperialista, sino a quel processo di profonda ricomposizione della rappresentanza politica del movimento operaio mondiale che, passando per la rivoluzione russa, sfocerà nella III Internazionale. Quindi uno sfondo e un affresco storico "terribile". Vediamo, nei limiti anche qui di una ricostruzione necessariamente sintetica, di individuare l'essenziale.

La II Internazionale: dal successo all'inizio della degenerazione

Intanto con la fondazione della II Internazionale nel 1889 si registrava sicuramente un successo del movimento operaio e anche un coronamento e un successo della lunga battaglia di egemonia del marxismo rivoluzionario all'interno del movimento operaio. Il successo era indubbio: la II Internazionale conosce un'estensione mondiale molto più grande e significativa che non la I Internazionale, vede uno sviluppo dei partiti nazionali, delle sezioni nazionali, molto consistente in termini di radicamento operaio e sindacale, di sviluppo di massa (basti pensare che l'organizzazione più importante, cioè il partito socialdemocratico tedesco, che era un po' il suo fiore all'occhiello, dopo il superamento delle leggi antisocialiste imposte da Bismark, conterà centinaia di migliaia di iscritti, milioni e milioni di voti, ottanta organi di stampa). Inoltre la II Internazionale fu un successo dal punto di vista della battaglia per l'egemonia del marxismo rivoluzionano perché le posizioni generali per cui Marx e Engels si erano battuti lungo tutto il corso storico precedente contro i proudhoniani, contro i bakunisti, contro i lassalliani etc., sembravano aver consolidato un'egemonia nel movimento internazionale della classe operaia. Questo non significa che la II Internazionale nascesse con un quadro totalmente omogeneo neanche dal punto di vista teorico: per esempio erano presenti in misura non irrilevante nei primi congressi forze e tendenze di derivazione sindacalista o anarcosindacalista. Ma il grosso delle sue forze era formalmente attestato sulle posizioni del marxismo: la classe operaia come soggetto della trasformazione, la lotta di classe come leva della storia, la centralità della conquista del potere politico e della dittatura del proletariato, il quadro internazionale del programma, tutti principi centrali in qualche modo attestati formalmente anche nei programmi delle sezioni e negli statuti. E indubbiamente la II Internazionale ha avuto anche un ruolo storico positivo nel diffondere e propagandare questi principi presso milioni di lavoratori e più generazioni. Il problema è che la vita di un'organizzazione, di un partito non è semplicemente la vita delle sue idee, ma si fonda sulla relazione tra quelle idee, la storia della lotta politica, la storia della lotta di classe, la storia in generale. Ed è in questo quadro che in realtà la vita della II Internazionale sarà una parabola di progressivo, lento, graduale allontanamento dalle premesse originarie su cui formalmente era stata fondata. La chiave di volta fu indubbiamente (vado per massime semplificazioni) la vita e la storia del partito tedesco. Sino a che esso dovette fronteggiare le leggi di Bismark, che l'avevano messo nella semi illegalità, aveva tenuto dal punto di vista delle posizioni generali del marxismo rivoluzionario. Quando cadde la barriera delle leggi antisocialiste (e cadde anche come esito di una battaglia vincente contro corrente di resistenza di tutta l'Internazionale e della sezione tedesca in particolare) si dispiegò una stagione interamente nuova. Il partito sviluppò la sua dimensione legale, conobbe un enorme sviluppo della sua rappresentanza parlamentare, allargò enormemente il suo apparato di funzionari, moltiplicò i propri legami con gli apparati delle organizzazioni sindacali, che a loro volta conobbero in Germania un impetuoso sviluppo sull'onda della seconda rivoluzione industriale e col sistema cooperativo, che in Germania era particolarmente sviluppato; tutto questo sullo sfondo storico di una relativa prosperità economica e di espansione progressiva della democrazia. Ecco che in questo quadro e su questo sfondo le pressioni della classe dominante, le pressioni dello Stato, la tentazione dell'adattamento alla routine, al sistema parlamentare, al potere governativo in qualche modo aprirono una breccia (molto lentamente all'inizio) all'interno del partito. Non che si mettessero in discussione i principi, il programma, le idealità, le prospettive, anzi erano difese come poi dirò nel modo anche più brillante dall'ortodossia dirigente di quel partito e dell'Internazionale. Ma la pratica politica tendeva sempre più a separarsi, ad adattarsi alla routine della vita parlamentare, della vita sindacale, al programma minimo per intenderci, che sempre più si divaricava dal programma massimo. E' molto interessante notare (purtroppo lo posso fare solo con un breve riferimento) come Engels avesse per primo colto e individuato già all'inizio il germe della futura, ancora soltanto potenziale degenerazione. Lo dico perché anche qui un luogo comune estremamente diffuso è quello per cui Engels, e in particolare l'ultimo Engels, sarebbe quello che avrebbe moderato il marxismo: è la leggenda di un Engels positivista, di un Engels in definitiva un po' "riformista", che avrebbe scritto la famosa Introduzione a Le lotte di classe in Francia del 1848-50 per dire che l'epoca delle rivoluzioni era finita e che si apriva ormai l'epoca della sola lotta legale (poi si è scoperto che questo testo era stato totalmente stravolto e censurato dai dirigenti dell'epoca con tanto di protesta di Engels). Questa è la rappresentazione: Engels sarebbe stato colui che si era accorto che il mondo era un po' più complesso e che di conseguenza avrebbe suggerito un maggiore "realismo" rispetto alle posizioni di Marx. La realtà storica non solo è diversa ma è esattamente capovolta: l'ultima battaglia di Engels, l'ultima grande battaglia di Engels, negli ultimi anni della sua vita sarà rivolta proprio contro i germi ancora potenziali dell'opportunismo e del riformismo all'interno della socialdemocrazia tedesca in funzione dei principi e della tradizione rivoluzionaria. Basta fare un esempio, che è la critica di Engels al Programma di Erfurt del1891, non a caso significativamente citata più volte da Lenin. Dice Engels:

Forse è pericoloso toccare questo tasto eppure bisogna in un modo o nell'altro far avanzare le cose. Quanto ciò sia necessario è provato dall'opportunismo che si diffonde precisamente oggi in una gran parte della stampa socialdemocratica. Per paura che si rinnovino le leggi contro i socialisti, e ricordandosi le varie opinioni emesse prematuramente nei tempi in cui queste leggi erano in vigore, si vorrebbe ora che il partito riconosca che l'ordine legale il quale vige oggi in Germania può bastare per far realizzare per via pacifica tutte le rivendicazioni”.

Engels respinge questa illusione. E conclude con questa bellissima frase:

Questa dimenticanza delle grandi questioni di principio di fronte agli interessi passeggeri del giorno, questa corsa ai successi momentanei e la lotta che si svolge attorno ad essi senza preoccuparsi delle conseguenze ulteriori, questo abbandono dell'avvenire del movimento che si sacrifica per il presente possono forse provenire da motivi onesti ma sono e rimangono dell'opportunismo. E l'opportunismo onesto è forse il più pericoloso di tutti”.

Fu l'ultima grande battaglia di Engels.

Le basi del revisionismo

A due anni dalla morte di Engels nel '95 noi abbiamo il primo manifestarsi esplicito e significativo nel campo della teoria e della teoria organica di quel germe che Engels aveva individuato. Compare con Edward Bernstein, uno dei principali dirigenti del partito socialdemocratico dell'epoca, il cosiddetto revisionismo, che si annuncia nei due testi I problemi del socialismo e Presupposti del socialismo, scritti da Bernstein nel '97-98. Contrariamente a quanto si crede Bernstein non rompe formalmente né con Marx né con la prospettiva programmatica della proprietà pubblica dei mezzi di produzione, anzi riverisce, fa omaggio al programma. Semplicemente tutto il quadro della sua argomentazione è totalmente divaricato e contrapposto alla sostanza rivoluzionaria del programma di Marx. Egli esordisce con una frase che scolpisce una intera cultura: "Il fine è nulla, il movimento è tutto". E' esattamente il capovolgimento sostanziale di tutta l'impostazione marxista e tutta la sua analisi va esattamente in questa direzione. Cosa dice in sostanza Bernstein? "Le crisi sono ormai cosa del passato, non vedete che dal 1873 non c'è più una crisi commerciale in Europa? C'è un ingresso sempre più prepotente dello Stato nell'economia inteso come elemento di stabilizzazione della società capitalistica; la lotta di classe non solo non si acuisce, come voleva Marx, ma si appiana perché gli operai stanno sempre meglio." Segue un'analisi molto minuziosa di quello che chiameremo con il linguaggio di oggi il mutamento della composizione sociale della classe operaia. Dice: ''Vedete? Calano gli operai dell'industria dalle mani callose, si sviluppano i ceti impiegatizi, nascono le nuove classi medie, in altri termini: il socialismo è già in fieri nella società capitalistica." E badate è già in fieri non come potenzialità rivoluzionaria, perché questo lo diceva anche Marx sulla base della sua concezione materialistica della storia, ma, come progressivo e graduale divenire, il socialismo si sta già sviluppando oggi. Qual è allora la funzione della socialdemocrazia secondo Bemstein? La funzione della socialdemocrazia è in buona sostanza non quella di contrapporsi a questo processo, che è dato, ma è quello di sospingerlo e incalzarlo attraverso l'azione quotidiana che è il lavoro nelle cooperative, il lavoro sindacale e soprattutto il lavoro parlamentare legale. Quello che accadrà accadrà: l'importante appunto è il movimento presente, questa azione quotidiana e minimale di accompagnamento. Questa teoria revisionistica aveva delle basi di consenso inizialmente molto ridotte anche se particolarmente concentrate (e non a caso) nei settori dell'apparato e in particolare nella frazione parlamentare della socialdemocrazia e segnatamente della socialdemocrazia tedesca. Ma la sua forza, nonostante l'esiguità delle sue basi immediate di consenso, stava nel fatto che portava alle estreme conseguenze una tendenza e una parabola degenerativa che sia pur nascostamente aveva cominciato a erodere le basi della II Internazionale e del suo principale partito. E del resto che la questione fosse seria emerse un anno dopo la pubblicazione delle due opere di Bernstein citate, quando il caso Millerand (1899) scosse l'intera II Internazionale. Che cos'è il caso Millerand? Questi era un dirigente parlamentare del partito socialista francese che era entrato in un governo borghese repubblicano. Naturalmente in seguito l'ingresso dei socialisti nei governi borghesi diventerà uno sport, e uno sport di massa, ma all'epoca non era mai avvenuto e questo suscitò uno scandalo: era in definitiva la prova provata delle potenzialità degenerative del revisionismo non solo dal punto di vista della teoria ma dal punto di vista della prassi politica.

Il Centro di Kautsky: le origini del "centrismo"

Si produsse una reazione al revisionismo nella II Internazionale? Sì, si produsse una reazione e anche relativamente significativa. Il problema è di capire in che termini, su che terreno, con quali contraddizioni. La reazione al revisionismo si sviluppò nei congressi della II Internazionale del primo '900. Non a caso, emblematicamente, dopo la vicenda Millerand. Il tema del revisioniamo emerse come tema centrale di confronto e di scontro nei congressi dell'Internazionale non solo in Germania.
E ad assumere la prima linea formalmente nella critica e nella contrapposizione al revisionismo fu il cosiddetto "Centro" dell'Internazionale che poi era il Centro, la direzione della sezione tedesca dell'Internazionale e aveva due nomi di riferimento: Bebel, ma soprattutto Kautsky. Costui veniva definito all'epoca, con un'espressione un po' dispregiativa ma significativa dalla stampa borghese, "il papa rosso", il grande erede di Marx e di Engels, la principale autorità politica e intellettuale del movimento operaio internazionale ed effettivamente era un personaggio di grandissime e brillanti capacità. Kautsky assunse su di sé l'onere di questo scontro con il revisionismo. Dal punto di vista della tempestività della replica, non gli si può muovere alcuna critica in quanto l'anno immediatamente successivo al testo di Bernstein (1897-98) c'è subito il testo di Kautsky, L'antiBernstein, in cui polemizza in modo formalmente ortodosso contro tutte le posizioni del revisionismo. Si scrivono articoli, risoluzioni, mozioni nei congressi nazionali e internazionali, si svolgono brillanti duelli oratori contro i revisionisti anche nei congressi della II Internazionale, uno dei più celebri, che fece letteratura nella politica dell'epoca, fu quello di Bebel contro Jaurès (uno dei sostenitori, anche se tra i più onesti e pur con qualche contraddizione, delle posizioni revisioniste). Quindi il volume di fuoco fu speso, e ciò nonostante fu un volume di fuoco che si sviluppava con mille contraddizioni interne su un terreno accidentato e soprattutto lungo una parabola discendente. Tre furono gli elementi di grande debolezza e contraddizione in questa contrapposizione del Centro kautskyano al revisionismo. Primo: Kautsky voleva l'unità con i revisionisti, Kautsky non voleva rompere con i revisionisti. La sua preoccupazione era che si potesse scindere il gruppo parlamentare in Germania. In una logica in cui il parlamento era il baricentro della vita politica quotidiana della sezione tedesca e dell'Internazionale, quella sarebbe stata in qualche modo la scissione del partito, quindi "non bisognava rompere con i revisionisti" ed è chiaro che partire con questo piede significava già partire da una posizione di infinita debolezza. Secondo: proprio per evitare di rompere con i revisionisti, invece di andare avanti nella battaglia contro il revisionismo, si andava indietro in direzione di un ammorbidimento progressivo degli stessi principi che formalmente si evocavano. Il congresso internazionale di Parigi del 1900 fu da questo punto di vista emblematico. Qual era l'ordine del giorno? Il caso Millerand. La questione era semplice. Ribadire un principio che era dato per scontato in tutta la storia precedente del movimento operaio marxista, secondo cui Millerand aveva tradito perché era entrato in un governo della borghesia e i comunisti dovevano stare all'opposizione dei governi della borghesia quale che fosse la conformazione e il profilo di questi governi. Invece non si fece questo. Si strutturò un ordine del giorno, una risoluzione conclusiva (che non riporto ovviamente per ragioni di tempo), in cui in buona sostanza si diceva: "Millerand ha sbagliato”, ma non perché la questione della non partecipazione ai governi borghesi fosse una questione di principio (E' fondamentalmente una questione tattica -si disse- certo deve essere una tattica applicata solo eccezionalmente, non può essere la regola, perché la regola è un'altra, ma "vi possono essere delle situazioni di emergenza in cui del tutto eccezionalmente i socialisti entrano a far parte del governo.") Il grave errore di Millerand sarebbe stato quello di aver fatto questa scelta da solo: senza avere il mandato del partito del gruppo dirigente, dei gruppi parlamentari. "Disciplina compagni!", questo era il messaggio. Che formalmente si presentava come una censura ma in realtà cedeva esattamente sul terreno centrale del revisionismo: cioè lo sviluppo progressivo di una logica di collaborazione di classe, di collaborazione governativa. Terzo: questo passo indietro da gambero si combinava proprio in Kautsky, nella politica del centro dell'Internazionale, con una divaricazione progressivamente più ampia tra l'ortodossia formale dei principi e la pratica politica reale. Kautsky da questo punto di vista, nel primo decennio del secolo, è un esempio vivente di questa dissociazione progressiva. Negli scritti del 1902 e del 1903, fino al 1909 quando scrive La via al potere (che non a caso è citata a più riprese da Lenin fra l'altro nella polemica con il menscevismo russo), Kautsky appare l'ortodossia vivente della tradizione rivoluzionaria marxista. Infatti La via al potere affermava che l'epoca del riformismo era finita, che si apriva la via della rivoluzione in Europa, che bisognava preparare la prospettiva rivoluzionaria; ma quello stesso Kautsky sul terreno della politica concreta dell'Internazionale e della sezione tedesca in particolare andava esattamente nella direzione opposta: per cui per esempio quando nel 1905 irruppe la prima rivoluzione russa, quando il proletariato russo sperimentò in proporzioni gigantesche lo sciopero generale e quando l'impatto di questo sciopero generale degli operai russi fu enorme in Europa e persino la classe operaia tedesca iniziò a dire quello che si dirà in altre condizioni e in altri tempi, "Facciamo come in Russia!", Kautsky si affrettò a dire che la Russia era un paese arretrato, che lo sciopero generale che c'era stato in Russia era espressione di quest'arretratezza, che in Germania sarebbe stata una follia anche solo pensare allo sciopero generale e che solo in un caso si sarebbe potuto pensare allo sciopero generale, se cioè fossero ritornate le leggi eccezionali antisocialiste. E allora per difendere il partito, per difendere il suo diritto legale e democratico al limite si sarebbe potuto anche pensare a questa forma estrema. Era una divaricazione sempre più clamorosa e sempre più impressionante.

La sinistra marxista rivoluzionaria nella Il Internazionale

E' in contrapposizione al revisionismo e in un processo di differenziazione progressiva dal Centro kautskiano che inizia a svilupparsi all'interno della II Internazionale, inizialmente su basi molto ristrette, una sinistra marxista rivoluzionaria dell'Internazionale. Che porta il nome di Rosa Luxemburg, di Lenin, di Trotsky, e che costituirà storicamente in prospettiva la leva costituente della rottura con l'opportunismo e con il centro e quindi della III Internazionale comunista. In definitiva la storia di questa sinistra marxista internazionale è la storia della sua progressiva autonomizzazione e rottura con il centro, cioè con il centrismo, con la logica politica di cui quel centro era espressione: cioè la divaricazione fra i principi e la politica. Naturalmente, se avessimo tempo, sarebbe molto importante e credo anche molto istruttivo per tutti noi approfondire paese per paese questo processo di autonomizzazione e rottura e magari individuare anche gli elementi di divisione, di polemica, di battaglia politica che a volte sono intercorsi all'interno della sinistra marxista rivoluzionaria tra i suoi esponenti più significativi. E' evidente per esempio che questa rottura col centro è avvenuta in termini disomogenei e con ritmi diseguali da paese a paese. Per intenderci va sfatato il mito delle personalità al di sopra dei loro errori e della loro storia. E' indubbio che Lenin che era stato all'avanguardia nella rottura con il centrismo russo dei menscevichi, fu quello che più tardi comprese e razionalizzò il centrismo di Kautsky e quando gli arrivò la notizia che Kautsky e la socialdemocrazia tedesca avevano votato i crediti di guerra, Lenin era talmente incredulo da pensare che fosse uno scherzo dei servizi segreti dell'epoca. Dopo di che la rottura con il centro internazionale e in particolare con Kautsky fu più determinata in lui che non in altre figure della sinistra marxista internazionale. Così viceversa Rosa Luxemburg fu una figura che per prima (credo che questo sia stato un suo grande merito storico) colse la sostanza del kautskysmo, naturalmente facilitata dall'essere direttamente a contatto con esso. Rosa Luxemburg già nel 1910, nel suo scritto Teoria e prassi, attua una rottura profondissima con il kautskysmo e non a caso Teoria e prassi persino nel titolo sta a indicare la chiave di denuncia del kautskysmo, cioè la divaricazione progressiva tra la teoria e la prassi, i principi e la politica quotidiana. E chi conosce lo stupendo testo di Rosa Luxemburg, l'antiBernstein, Riforma sociale o rivoluzione?, vede che formalmente è un testo tutto contrapposto al revisionismo di Bernstein: ma è contrapposto al revisionismo di Bernstein non in nome di una ortodossia formale di tipo kautskyano, ma in nome di un richiamo sostanziale all'ispirazione di una politica rivoluzionaria. Il concetto fondamentale che sta in Riforma sociale o rivoluzione? è che solo i fini possono ispirare una politica rivoluzionaria, ma che una politica rivoluzionaria è tale solo se traccia un ponte tra gli obiettivi immediati e lo scopo finale. Da questo punto di vista è di fatto un testo antikautskyano, e non solo semplicemente un testo antirevisionista. Così se vogliamo citare Trotsky, è indubbio che Trotsky ebbe per un lungo periodo di tempo incertezze e oscillazioni sul terreno russo nel rapporto tra il bolscevismo e il menscevismo (fu un menscevico per un breve lasso di tempo, per un arco significativo di tempo si illuse -sbagliando- che fosse possibile trovare una forma di riconciliazione e di ricomposizione unitaria tra bolscevismo e menscevismo che invece divaricavano sempre di più). Al tempo stesso era colui che sul terreno delle posizioni politiche internazionali e della stessa concezione della rivoluzione russa non solo non aveva una posizione anche solo vagamente sospettabile di adattamento al centrismo, ma semmai superava in avanti in termini anche di comprensione dello sviluppo dialettico di quella rivoluzione alcuni elementi di limite e di contraddizione che erano presenti nel pensiero di Lenin. Lo dico per dire che lo sport, a lungo praticato, di costruire una specie di rivalità incomponibile tra le diverse figure più rappresentative di questa sinistra marxista internazionale è viziato da una profonda distorsione di metodo. E' chiaro che ci furono delle divergenze tra i marxisti rivoluzionari, e anche diversi tempi di rottura col centro e con il centrismo, ma perché elemento comune di prospettiva non era semplicemente l'ortodossia dei principi ma la reale tensione verso il fine, la reale tensione verso la conquista del potere, tutte queste contraddizioni, che pur vi furono, si risolsero poi, storicamente parlando, attorno al comune processo costituente della nuova internazionale comunista. Ed è importante sottolineare questo perché per noi come sempre l'essenziale non è la personalità, la storia delle personalità e i loro singoli errori, l'essenziale è il programma: e proprio la comunanza del programma fu l'elemento ricompositivo di queste diverse personalità e al limite anche di queste diverse storie.

La battaglia per la III Internazionale: Il metodo del raggruppamento rivoluzionario

Naturalmente fu la guerra l'elemento di precipitazione progressiva sul terreno internazionale della rottura della sinistra marxista rivoluzionaria col centro. Dai primi anni del '900 la guerra incominciava ad essere un tema ricorrente nel dibattito dell'Internazionale per la ragione assai semplice che la guerra si avvicinava sullo sfondo della lotta per le colonie e delle contrapposizioni imperialistiche. I primi congressi della II Internazionale di inizio '900 sono congressi di forte denuncia della guerra che si avvicina. Un po' per pressione della base del movimento operaio, un po' perché in base all'ortodossia formale dei principi spendere risoluzioni contro la guerra non recava gran danno e quindi si potevano fare tutte le dichiarazioni più roboanti del mondo (in alcuni casi anche come sottoprodotto della battaglia della minoranza marxista rivoluzionaria della II Internazionale). Diciamo che il grosso di questi congressi dell'Internazionale si pronunciò contro la guerra che si avvicinava. E forse il congresso che si pronunciò nei termini più coerenti, più radicali fu il congresso di Basilea nel 1912, quello più vicino -storicamente parlando - all'approssimarsi della guerra: là dove è chiara la denuncia della guerra futura come guerra imperialista, la necessità che il movimento operaio si mobiliti contro la guerra, la necessità che il movimento operaio approfitti dell'eventualità della guerra per affondare la borghesia, per conquistare il potere politico e realizzare la rivoluzione. Il problema è che quella era letteratura. Quando scoppiò la guerra quella letteratura si sciolse come neve al sole, e la politica reale dei partiti dell'Internazionale che già da tempo era scissa dalla teoria e dai principi manifestò sino in fondo la propria deriva. La socialdemocrazia tedesca vota i crediti di guerra il 4 agosto del 1914. Pochi giorni dopo il partito socialista belga che è un partito importante guidato da Vandervelde (un'autorità politica nell'Internazionale) spende Vandervelde all'interno del governo di guerra. Inizia a svilupparsi la pratica non solo di sostegno e di voto ai crediti di guerra, ma di collaborazione con il governo di guerra all'interno della cosiddetta Union sacré, Unione sacra della patria contro il comune nemico. E' in questo momento che si sviluppa un salto politico nella battaglia della sinistra marxista rivoluzionaria per lo sviluppo della III Internazionale comunista. E' in questo momento, ed è importante questo fatto perché molto spesso nella vulgata corrente si tende a pensare che la III Internazionale comunista sia stata semplicemente l'espressione della rivoluzione russa, oppure (nelle visioni più volgari) che l'Internazionale comunista sia nata come il braccio esecutivo diplomatico dei vertici del Cremlino per i propri interessi nazionali. In realtà ovviamente la rivoluzione russa avrà un'importanza decisiva per la costruzione e lo sviluppo della III Internazionale, ma la battaglia per la III Internazionale inizia nel 1914 con un articolo di Lenin pubblicato a novembre e poi soprattutto con la conferenza di Zimmerwald del 1915: quando non solo non era prevedibile una rivoluzione russa e tanto meno un governo Lenin nella Russia degli zar, ma anzi tutta l'Europa era attraversata da un'ondata sciovinista e patriottica e quando i rivoluzionari internazionalisti erano talmente pochi che -disse Lenin- potevano "stare tutti in una stessa automobile". Ebbene ciò nonostante in quelle condizioni viene lanciata la battaglia per la III Internazionale. E viene lanciata sulla base di un giudizio storico: il fallimento definitivo della vecchia II Internazionale sia nella sua componente opportunistica di destra socialsciovinista sia nella sua componente storicamente centrista e kautskyana. L'esperienza di Zimmerwald è stata il trampolino di lancio, la fucina politica da cui ebbe origine la prospettiva costituente della III Internazionale. E credo sia stato estremamente indicativo il metodo con cui attraverso Zimmerwald, Lenin, Trotsky e Luxemburg hanno operato in relazione alla prospettiva della nuova internazionale. Cosa fu la conferenza di Zimmerwald? La conferenza di Zimmerwald, nel 1915, è la conferenza convocata da una serie di partiti della vecchia II Internazionale ostili alla guerra, con l'obiettivo fondamentalmente del "no" alla guerra e "sì" alla pace, "la pace senza annessioni" questo era lo slogan prevalente. La maggioranza di Zimmerwald non era rivoluzionaria, era pacifista. Lenin e Trotsky fanno fronte comune contro la guerra e per la pace, e quindi stanno in questo raggruppamento largo di forze che si contrappone alla guerra perché bene o male è un passo in avanti del movimento reale, è un elemento di aggravamento della crisi della II Internazionale. Ma non ci stanno sulla base di una posizione di adattamento al pacifismo, ci stanno con una loro presa di posizione autonoma come minoranza di Zimmerwald, che parla apertamente di contrapposizione alla guerra non in nome della pace, ma di contrapposizione alla guerra nella prospettiva della guerra civile e della rivoluzione. Ed è interessante questo metodo. In astratto si sarebbe potuto dire: "Facciamo la III Internazionale con tutti quelli che sono contrari alla guerra e per la pace". Il ragionamento è opposto: "Unifichiamo tutti quelli che sono contro la guerra e per la pace, e all'interno di questa aggregazione larga di movimento reale contro la guerra sviluppiamo il raggruppamento rivoluzionario per la III Internazionale". Ancora una volta sulla base di una linea di rigore strategico, di rigore programmatico, di demarcazione. E' esattamente la continuità della linea marxista rivoluzionaria.

IL BOLSCEVISMO: LA COSTANZA DELLA DEMARCAZIONE IN RUSSIA E SUL TERRENO INTERNAZIONALE

La seconda parte della relazione (che in realtà -come ho detto - in un'economia normale di formazione dovrebbe costituire una relazione distinta) riguarda l'esperienza del bolscevismo, la rivoluzione russa, la costituzione della III Internazionale, evidentemente a partire dal contesto generale già tratteggiato. Il bolscevismo è la tendenza "vincente" all'interno della sinistra marxista rivoluzionaria internazionale, all'interno della socialdemocrazia russa, sul terreno della rivoluzione russa. Il successo storico fu indubbio dal punto di vista dell'esito della rivoluzione. Ma sarebbe del tutto sbagliato pensare che questo successo si sia realizzato in modo lineare. Spesso la rivoluzione russa nel senso comune di molti compagni è concepita grosso modo così: da un lato c'era la particolare arretratezza della Russia e la debolezza dello Stato zarista, e dall'altro le capacità organizzative-cospirative di Lenin e dei bolscevichi: l'incontro fra i due fattori ha determinato la vittoria rivoluzionaria. Verrebbe da dire "Beati i semplici!": perché in realtà il successo del bolscevismo nella stessa rivoluzione russa è stato l'esito e il prodotto di una lunga storia in cui il bolscevismo si è costruito, radicato, forgiato. E questa storia è stata tutt'altro che una storia lineare. Si è detto dei saliscendi della storia per quanto riguarda l'esperienza politico-organizzativa di Marx e di Engels. Verrebbe da dire che per il bolscevismo e i bolscevichi questi saliscendi sono stati persino più aspri. I bolscevichi hanno vinto tutto più volte e hanno perso tutto più volte nei vent'anni che precedono la vittoria della Rivoluzione d'Ottobre. Questo è accaduto nella socialdemocrazia russa (perché da maggioranza sono diventati minoranza e poi nuova maggioranza, poi nuova minoranza in un processo molto convulso di scissioni, ricomposizioni, nuove scissioni e nuove composizioni), ma anche nel rapporto con il movimento operaio russo. Molto istruttivo è un testo che ho pensato di utilizzare anche come testo di formazione, il testo di Zinoviev La formazione del partito bolscevico, che dà il senso di queste oscillazioni pendolari. Prendiamo solo l'arco di tempo che sta tra il1914 e il 1917. Nel 1914, alle soglie dell'inizio della guerra, dopo un lungo itinerario controcorrente, i bolscevichi finalmente conquistano nei fatti l'egemonia sulla maggioranza della classe operaia. Arriva la guerra che trascina nel suo vortice larga parte di masse lavoratrici attirandole sul terreno del socialsciovinismo e del patriottismo e i bolscevichi perdono larga parte di quello che avevano conquistato mentre i menscevichi riprendono il controllo sulla maggioranza della classe. Poi sopraggiunge la Rivoluzione di Febbraio e questa, come rivoluzione "democratica", indebolisce ulteriormente i bolscevichi e fa sì che i menscevichi, i social-rivoluzionari, la democrazia piccolo borghese russa, di cui parlerò successivamente, diventino il polo di ricomposizione ancor più largo della maggioranza delle masse. Dopo la Rivoluzione di Febbraio, a pochi mesi dalla vittoria
dell'Ottobre, i bolscevichi erano al lumicino in Russia dal punto di vista dell'influenza reale tra le masse. Ma riconquistano la maggioranza della classe nel periodo successivo. Per dare l'idea appunto della complessità dell'itinerario, in tutto questo saliscendi la costante di fondo del bolscevismo è stata esattamente in linea con la tradizione marxista rivoluzionaria di Marx e di Engels: quella del rigore dei principi; della delimitazione teorica, programmatica e strategica. Se c'è un qualcosa che non ha mai influenzato Lenin e i bolscevichi è il concetto astratto e sentimentale dell'unitarismo, della cosiddetta "unità indistinta dei rivoluzionari", e Zinoviev documenta nella sua storia del partito bolscevico quante volte questo concetto ingenuo si fosse affermato, e fosse stato sostenuto contro il bolscevismo in Russia, e quante volte avesse conquistato consenso e influenza anche in settori di classe: "C'è lo zar, uniamoci tutti insieme contro lo zar e non stiamo a disquisire di teoria, di principi; ci sono le lotte economiche per il salario e per la riduzione dell'orario, uniamoci tutti insieme in queste lotte economiche in una stessa organizzazione, poi dei principi discuteremo in seguito" e via di questo passo. I bolscevichi si sono costruiti costantemente contro questo senso comune semplificatore, un senso comune semplificatore che voleva svilire la teoria e i principi in nome della concretezza della politica, ma che in realtà contro la teoria e i principi costruiva un'altra politica e un'altra prospettiva per il movimento operaio. Il concetto centrale che Lenin esprimerà nel Che fare? ("Senza teoria rivoluzionaria, non c'è partito rivoluzionario") può essere considerato come la bandiera e il riassunto di tutto il metodo e la linea che il bolscevismo ha seguito nella sua storia politica. Ed in effetti se uno guarda alla storia del bolscevismo, la storia del bolscevismo è storia di lotta di tendenza contro altre tendenze, nella socialdemocrazia russa e più in generale nel cosiddetto pensiero rivoluzionario o tradizione democratico-rivoluzionaria russa.

La lotta contro il populismo

Vedo di semplificare con pochi riferimenti le tappe principali di questa battaglia di tendenza, di demarcazione teorica e strategica. Prima fase: la lotta contro il populismo. Il populismo aveva una nobile tradizione in Russia, quella della democrazia rivoluzionaria dell'800, terrorista e antizarista. La posizione sostanziale del populismo e poi del partito socialista rivoluzionario, erede del populismo, era quella secondo cui da un lato si poteva arrivare al socialismo senza passare attraverso il capitalismo in Russia, e dall'altro sarebbe stato il popolo come entità onnicomprensiva, come entità indifferenziata, spronato da una buona organizzazione di azioni terroristiche più o meno esemplari a realizzare questa prospettiva. La battaglia contro il populismo è stata la prima battaglia del bolscevismo. Una battaglia difficile perché molto spesso i populisti, gli antesignani del futuro partito socialista rivoluzionario, praticando atti di terrore, apparivano a sinistra dei bolscevichi, che sembravano spesso intellettuali troppo interessati a questioni teoriche. I populisti erano riusciti a costruirsi un alone di suggestione e di influenza non solo in settori di gioventù, ma anche in settori di classe operaia russa. La battaglia del bolscevismo contro il populismo si sviluppò su due terreni: 1) la battaglia di "scoperta" (come disse Zinoviev) della realtà della classe operaia russa; che il populismo voleva nascondere e affogare in un indistinto popolo antizarista; 2) il ruolo della classe operaia come classe egemone nei confronti del resto del popolo. Numerosi sono gli studi e le analisi che Lenin mette in campo per mostrare lo sviluppo della classe operaia come classe distinta dalle altre classi e al tempo stesso come classe capace appunto per la sua particolare e progressiva concentrazione all'interno della Russia di essere un punto di riferimento di masse più larghe. La battaglia contro il populismo fu la battaglia per individuare la classe operaia come classe, ma al tempo stesso per individuare la funzione egemonica della classe operaia russa rispetto alle altre classi oppresse e sfruttate della Russia, a partire dai contadini e dai giovani studenti. Già nella lotta contro il populismo alla fine dell'800, c'è in nuce il concetto di egemonia proletaria rivoluzionaria che sarà una costante delle battaglie successive del bolscevismo.

Il bolscevismo contro l'economicismo operaista

Una seconda battaglia del bolscevismo molto legata alla prima, anch'essa connessa alla questione dell'egemonia e svoltasi negli anni immediatamente successivi (sono i primissimi anni del '900) è la battaglia contro il cosiddetto economismo o economicismo. Si era diffusa in Russia un'ondata di scioperi economici, esattamente perché la classe operaia esisteva e si sviluppava col progredire del capitalismo russo. In tal modo iniziava una conflittualità della classe operaia russa sul terreno economico: sciopero per il salario, per la riduzione d'orario, contro la legislazione zarista in fabbrica etc. Naturalmente tutta la socialdemocrazia rivoluzionaria russa era impegnata giustamente in questo lavoro di sostegno alle lotte economiche e agli scioperi economici (tra i primi scritti di Lenin vi fu la denuncia contro le multe dell'amministrazione zarista nei confronti degli operai che scioperano). Ma una corrente della socialdemocrazia russa trasformava questo giusto sostegno alle lotte economiche dei lavoratori in una specie di ideologia e affermava: "Fino ad ora ci siamo occupati fra quattro intellettuali di questioni teoriche più o meno astratte, della "dottrina". Adesso sorge un movimento reale di lavoratori che si batte non per grandi prospettive rivoluzionarie, grandi principi, ma per obiettivi concreti, obiettivi tangibili, risultati tangibili: identifichiamoci come socialdemocrazia in questo movimento spontaneo delle masse, al più cercando di dare una "coloritura politica alla lotta economica contro i padroni e contro il governo", per usare un'espressione del Raboceie Dielo. Il bolscevismo si sviluppa durante una battaglia politica importantissima contro la posizione economista, in realtà la prima espressione embrionale del futuro menscevismo. Esso afferma che certo lo sviluppo del movimento reale come movimento spontaneo è una grandissima cosa ma a una sola condizione, "che non ci adattiamo alla spontaneità". "E' una grandissima cosa per le prospettive della rivoluzione russa se noi sappiamo intervenire in questo movimento spontaneo senza adattarci alla sua spontaneità e al suo elementare economismo, ma viceversa sviluppando in questo movimento spontaneo di scioperi economici il bacillo della coscienza politica della classe. E quindi se sappiamo portare dentro questo movimento spontaneo la prospettiva rivoluzionaria, della rottura rivoluzionaria, del rovesciamento rivoluzionario dello zarismo." Lenin dirà che il problema fondamentale nei confronti di quei lavoratori che si elevavano spontaneamente all'azione e all'attività non era quello di indurli semplicemente a guardare a se stessi, alla propria specifica condizione (certo anche a quella), ma di riuscire ad educare quella giovane generazione di avanguardia che alzava la testa a guardare all'insieme della realtà sociale della Russia, a comprendere che cosa fosse lo zarismo, a comprendere che cosa fosse l'oppressione da parte dello zarismo, ad esempio l'oppressione degli studenti o di vaste masse di popolazione contadina da parte della burocrazia imperiale, e quindi a costruire nella classe operaia la consapevolezza che la sua funzione non era semplicemente una funzione di rappresentanza e di tutela d'un suo interesse economico, ma di rappresentanza, direzione, riferimento per tutte le masse oppresse e sfruttate. In definitiva si esprime nella battaglia contro l'economismo un pezzo centrale della concezione politica di Lenin e del bolscevismo.

La concezione del partito d'avanguardia: la lotta contro il menscevismo

Il terzo terreno di battaglia, strettamente legato alla lotta contro I'economismo, riguarda la questione del partito. E' il secondo congresso del Posdr, quello che sancisce la famosa divisione fra bolscevichi e menscevichi (anche se, come i fatti della storia documenteranno, era una scissione non ancora completa). Spesso si pensa ricordando il Che fare? (che è il testo di riferimento diretto o indiretto di questo secondo congresso del Posdr) che in definitiva la divisione tra bolscevismo e menscevismo si sia prodotta su questioni essenzialmente organizzative, sulla cosiddetta concezione del partito. E il pomo della discordia era effettivamente in qualche modo questo: nel senso che i menscevichi sostenevano che potesse aderire al Partito qualsiasi scioperante -per usare l'espressione celebre di Martov-, viceversa i bolscevichi proponevano che il primo articolo dello Statuto affermasse che chi aderiva al Partito dovesse fare militanza attiva al suo interno, nelle sue organizzazioni, sotto il suo controllo. Sembrava appunto semplicemente una divaricazione tra due concezioni organizzative. In realtà tale divaricazione rivestiva una contrapposizione di carattere politico generale che aveva una connessione con la divergenza sull'economismo. E' del tutto evidente che -come diceva Lenin- "se per un socialdemocratico il concetto di lotta politica coincide con il concetto di lotta economica contro i padroni e contro il governo, è naturale che per lui l'organizzazione dei rivoluzionari coincida più o meno con l'organizzazione degli operai". Ogni scioperante per scioperi economici può dichiararsi membro della socialdemocrazia. Ma se viceversa la funzione diremmo oggi "dei comunisti" (allora della "socialdemocrazia rivoluzionaria") è quella di entrare sì in rapporto con il movimento spontaneo della classe, ma per costruire dentro quel movimento la coscienza politica rivoluzionaria delle masse e della sua avanguardia in relazione a un progetto, il Partito deve innanzitutto definire il suo confine organizzativo. Cioè deve dire che è suo membro chi condivide l'insieme di quel progetto, chi è disponibile a militare attivamente sotto il suo controllo attorno a quel progetto e che questo partito (per dirla in altri termini anche li mutuati dal Che fare?) non può essere semplicemente il partito dei bravi sindacalisti o agitatori economici, ma il partito dei "tribuni del popolo", che si inseriscono in ogni lotta dei lavoratori, ma anche in ogni lotta di altri strati settori oppressi della popolazione per ricondurre ogni lotta (e anche i più flebili bacilli di coscienza dei lavoratori che si esprimono in essa) ad una conclusione e una prospettiva rivoluzionaria. Il concetto elaborato da Lenin nel famoso testo Un passo avanti e due indietro, è quello del militante socialdemocratico inteso come "giacobino legato all'organizzazione del proletariato". Così facendo egli usa a positivo, rivendicandola, un'espressione -"giacobino"- che solitamente era usata dai menscevichi contro i bolscevichi per accusare questi ultimi di avere una concezione cospirativa dell'organizzazione. In realtà le cose non stavano così: c'era l'aspetto del "giacobino", inteso semplicemente come militante rivoluzionario attivo, ma anche come soggetto legato all'organizzazione e alla vita di massa del proletariato, cioè come rivoluzionario che non si isola rispetto alle masse ma che, a partire da un progetto cosciente, lavora tra le masse e sviluppa il suo lavoro di massa in opposizione a qualsiasi visione elitaria e cospirativa. Le due concezioni organizzative a confronto erano insomma il riflesso di due concezioni politiche obiettivamente distinte.

Il bolscevismo contro ogni blocco con la borghesia liberale

Il quarto terreno di battaglia politica di tendenza, centrale per tutti gli sviluppi futuri, e per gli sviluppi e gli esiti della rivoluzione russa fu il rapporto con la borghesia liberale. Il rapporto tra la socialdemocrazia come partito operaio e la borghesia liberale. Tale questione era già affiorata in qualche modo timidamente al Secondo congresso del 1902, ma divenne primo centrale argomento di divisione e di scontro nel 1905, a partire dai mesi che immediatamente precedono la rivoluzione fino agli anni successivi. Il 1905 vede la prima rivoluzione russa scoppiare con uno sciopero generale di milioni e milioni di operai, la nascita dei Soviet a Pietrogrado, una contrapposizione di poteri, un affresco rivoluzionario nel senso proprio del termine. Lo sviluppo della rivoluzione russa già nei mesi che immediatamente precedono l'emergere di una prospettiva rivoluzionaria diventa terreno di scontro e di confronto fra due posizioni della socialdemocrazia russa che, come disse Zinoviev, definivano ormai già due "partiti", nel senso di due progetti distinti incomponibili quali che fosse il rapporto organizzativo fra i sostenitori del primo e i sostenitori del secondo (cfr. Lenin, Due tattiche della socialdemocrazia). Una è la posizione del menscevismo, molto semplice: "La rivoluzione russa in un paese arretrato in cui c'è lo zar, è per definizione una rivoluzione borghese. Se è una rivoluzione borghese sarà evidentemente la borghesia a dirigerla. E se deve essere la borghesia a dirigerla la socialdemocrazia non si deve contrapporre ad essa, ma deve in qualche modo aiutarla, sospingerla. E soprattutto non spaventarla perché se no rischia di buttarla all'indietro". I menscevichi furono coerenti al punto che nel corso della rivoluzione del 1905 si opposero persino alla parola d'ordine delle otto ore di lavoro. Perché tale rivendicazione, che pure aveva una rilevanza in un certo senso più economica che non politica, diventava un elemento di contrapposizione e di contraddizione con la borghesia liberale russa. La posizione dei bolscevichi e di Lenin in particolare è di tipo esattamente opposto: "Certo la Russia è un paese arretrato, la rivoluzione che si avvicina, considerata dal punto di vista dei principali compiti immediati che deve realizzare, è una rivoluzione borghese (si pensi alla questione della terra, all'assemblea costituente), ma non sarà la borghesia liberale a dirigerla. La borghesia liberale russa esattamente come ha già fatto la borghesia liberale nel corso delle vecchie rivoluzioni europee nel 1848, preferirà fare blocco con lo zar e lo zarismo, contro il movimento operaio e contadino, per paura di questo. E solamente la classe operaia, alleata alle grandi masse contadine, potrà assumersi la responsabilità di portare sino in fondo i compiti democratici della rivoluzione. E potrà farlo alla sola condizione che sappia sostenere la propria autonomia irriducibile, la propria contrapposizione irriducibile alla stessa borghesia liberale russa". Questa è la politica dei bolscevichi. E infatti nel corso del 1905 non solo essi si battono per le otto ore, ma rivendicano la terra, il rovesciamento dello zar, sostengono la parola d'ordine dello sciopero generale, pongono la questione dell'insurrezione, avanzano un'indicazione di prospettiva chiamata "dittatura democratica rivoluzionaria degli operai e dei contadini" (che conteneva in realtà un elemento di algebricità, perché formalmente non si capiva all'interno di questa formula se sarebbero stati gli operai a dirigere i contadini o la democrazia contadina a dirigere gli operai, una contraddizione e un'ambiguità che -come dirò- saranno risolte brillantemente dal bolscevismo durante la rivoluzione del '17, grazie al contributo fondamentale di Lenin) ma che in ogni caso inequivocabilmente si contrappone a qualsiasi ipotesi di coalizione con la borghesia liberale russa. E' importante tenerlo presente perché molto spesso anche li la tradizione corrente vuole interpretare retrospettivamente il leninismo come una concezione di rivoluzione a tappe, secondo cui prima ci sarebbe stata la rivoluzione democratica e poi la rivoluzione socialista, e la prima sarebbe stata concepita da Lenin come risultato di un blocco fra il movimento operaio e la borghesia. Non solo non è stata questa la posizione di Lenin, neppure nella Russia arretrata, ma il bolscevismo si è costruito esattamente contro questa posizione, che era sostenuta classicamente dal menscevismo e che verrà poi ripresa e amplificata a tutte le latitudini del mondo dalla socialdemocrazia e dallo stalinismo.

Lenin contro le tendenze estremistiche nel bolscevismo

Un quinto punto, forse meno conosciuto (ma diverrà celebre nei primi congressi dell'internazionale), su cui Lenin e i bolscevichi sviluppano una fondamentale battaglia di tendenza, riguarda la lotta e la battaglia contro l'estremismo. Una battaglia che si sviluppa in un passaggio successivo della storia (segnatamente della storia della socialdemocrazia) russa. E cioè sostanzialmente tra il 1908 e il 1912 e in particolare tra il 1908 e il 1910. La rivoluzione del 1905 era stata sconfitta, lo zarismo aveva stabilizzato, sia pure provvisoriamente, il proprio potere, si sviluppava una grande ondata di reazione e di controrivoluzione in Russia, la demoralizzazione regnava sovrana fra le masse e fra gli stessi bolscevichi: la documentazione che Zinoviev ci lascia nella sua Formazione del partito bolscevico da questo punto di vista è impressionante. Militanti rivoluzionari di provata fede che avevano fatto battaglie nei decenni precedenti dicevano "Si va a casa. Qui abbiamo sbagliato tutto!", addirittura si diffondevano posizioni religiose e mistiche (il deismo) che prendevano piede in ambienti intellettuali e operai della socialdemocrazia come prodotto e risvolto di questa demoralizzazione. In questo quadro di disorientamento generale il menscevismo tende, attraverso la sua corrente liquidatrice, sempre più a destra: "Altro che rivoluzione! L'epoca delle rivoluzioni è passata: dobbiamo puntare ad una costituzionalizzazione dello zarismo, a farci il nostro partito legale che viva in un quadro relativamente stabile e conviva con una monarchia costituzionale come tante volte è successo in Europa". Nel bolscevismo si sviluppa per reazione una tendenza speculare: alcuni settori che rimangono attivi e dediti alla causa reagiscono al quadro di disfatta reale del movimento operaio rivoluzionario piegando il timone in direzione esattamente opposta e mettendo in discussione principi e pratiche che sembravano acquisiti. Primo: "Dobbiamo uscire dal parlamento. Lo zar convoca la Terza Duma, ma è una Duma reazionaria, c'è una legge elettorale altrettanto reazionaria: cosa andiamo a fare li dentro a sporcarci le mani? Questo è un compromesso". Secondo: ''Via dai sindacati: perché continuiamo a lavorare nei sindacati, che molto spesso sono controllati addirittura da Zubatov? Facciamo la nostra vita clandestina, necessariamente clandestina, e aspettiamo tempi migliori". Tutte queste posizioni estreme in un quadro di confusione e di disorientamento facevano presa tra militanti rivoluzionari d'avanguardia. Lenin sviluppa una battaglia frontale contro queste posizioni. E Zinoviev ne documenta ampiamente il senso. Dice Lenin: "Tanto più in una situazione di arretramento del movimento operaio rivoluzionario, noi dobbiamo mantenere e se possibile sviluppare e ampliare qualsiasi canale di relazione di massa. Quindi non venite a dirmi che bisogna boicottare la Duma così come facemmo nel 1905". E' vero che i bolscevichi nel 1905 avevano boicottato la Duma convocata dallo zar, ma nel 1905 c'era una rivoluzione, e i bolscevichi avevano boicottato la Duma a partire per l'appunto da una prospettiva rivoluzionaria in contrapposizione a quell'organismo. Il quadro attuale era completamente diverso, il movimento operaio era arretrato, bisognava ricostruire dalle rovine utilizzando tutti gli spazi per quanto precari e distorti di legalità, lavorare quindi anche nella Duma, nelle organizzazioni sindacali, anche le più reazionarie, anche le più contaminate. Qualsiasi spiraglio verso un rapporto di massa doveva essere in qualche modo difeso e praticato. E Lenin è inequivocabile: "Noi -diceva secondo il resoconto lasciatoci da Zinoviev- dobbiamo utilizzare tutte le opportunità legali per non staccarci dalle masse operaie, per vivere la loro vita, per non trasformarci in semplici propagandisti limitati a predicare sui luoghi comuni della rivoluzione. Gli operai non amano i chiacchieroni, vogliono che il Partito si fonda in un certo senso con loro, che sia al loro fianco nei momenti difficili, che si occupi delle questioni della loro vita quotidiana, che resti nei sindacati e nelle cooperative, nei circoli, ovunque vi siano degli operai organizzati". Zinoviev conclude: "La storia della lotta contro queste tendenze è importante per quanti vogliano conoscere le basi teoriche del bolscevismo. Non abbiamo mai preteso di essere i più a "sinistra" nel senso del termine. Abbiamo sempre respinto e combattuto risolutamente il "sinistrismo” che arriva al deismo al futurismo ecc., e nel corso di questa lotta i bolscevichi ortodossi si sono temprati tanto contro il riformismo disgregatore, quando contro il cosiddetto otzovismo" (nome della tendenza che sosteneva quelle posizioni estremiste).

Lenin nella rivoluzione russa: la lotta interna al bolscevismo

Come si vede tutto si può dire della lunga vicenda del bolscevismo prima della Rivoluzione d'Ottobre, tranne che sia stata espressione di una impostazione ecumenica e di indifferenziata fratellanza rivoluzionaria. E' stata una battaglia di tendenza, di rigore, di lotta che ha forgiato il Partito. La rivoluzione d'ottobre ha rappresentato la cartina di tornasole, il momento storico di verifica del partito che per vent'anni, navigando contro i mari e contro i venti, si era cercato di costruire. Ed è per questo che ha vinto. In realtà, com'è del tutto evidente da un'analisi intellettualmente onesta degli avvenimenti del '17, la dinamica spontanea di quella rivoluzione, pur a fronte della debolezza dello zarismo, non poteva costituire la dinamica della vittoria, ma al contrario la dinamica della sconfitta, come in tante altre rivoluzioni precedenti o addirittura concomitanti nella vicenda europea. Quello che ha fatto la differenza, che ha trasformato la potenzialità in successo è stato il fattore cosciente. Esso si è espresso nel Partito, e all'interno di questo nel ruolo storicamente indiscutibile della figura di Lenin e della maggioranza del gruppo dirigente bolscevico. Vediamo di spiegare in breve il senso di un'affermazione così impegnativa: nel febbraio del '17, una grande rivoluzione popolare rovescia lo zar, i soviet si diffondono in tutta la Russia, i partiti menscevico e socialista rivoluzionario, quelli della democrazia piccolo borghese, che sono maggioritari all'interno dei soviet, sostengono il nuovo governo ottobrista cadetto, che è espressione della Rivoluzione di Febbraio: un governo a egemonia borghese liberale. E subordinano i soviet, attraverso la cosiddetta "Commissione di contatto", a questo governo borghese postrivoluzionario. All'interno del partito bolscevico si apre una discussione: "Cosa dobbiamo fare rispetto a questo nuovo governo? Siamo pochi, siamo in minoranza, le masse seguono i menscevichi e i socialisti rivoluzionari". Una parte della direzione del partito bolscevico, inizialmente una parte maggioritaria, sostiene una posizione di adattamento, non di identificazione col Governo, ma in buona sostanza di adattamento critico al Governo. "Il Governo è questo: cosa dobbiamo fare? Dobbiamo premere criticamente su di esso perché risponda alle rivendicazioni dei lavoratori, dei contadini". Lenin sviluppa contro questa posizione una battaglia decisiva che segnerà il destino della rivoluzione russa: con le Tesi di aprile (1917) si contrappone apertamente a quella posizione e la rovescia di 180 gradi.

No -dice- questo governo è un governo che continua la guerra, che difende gli interessi della borghesia liberale russa e quindi gli interessi di guerra; è un governo che in nome della difesa di tali interessi stringe un compromesso con la stessa vecchia proprietà fondiaria feudale, e quindi non solo non darà la pace, ma non darà neanche la terra ai contadini. In realtà tutte le rivendicazioni portanti della Rivoluzione di Febbraio, se vogliono avere una prospettiva, l'avranno non al fianco di questo governo ma contro questo governo: non sarà la borghesia liberale a realizzare la rivoluzione democratica e le aspirazioni della Rivoluzione di Febbraio, ma potranno essere solo gli operai e i contadini”.

Qui riprende un concetto a lungo sostenuto dal bolscevismo, aggiungendovi un elemento di precisazione fondamentale, cioè sciogliendo a positivo la vecchia ambiguità della formula "dittatura democratica degli operai e dei contadini":

Cari compagni -dice- questo problema ormai è risolto dalla storia: la democrazia piccolo-borghese dei socialisti rivoluzionari e dei menscevichi, che oggi ha un controllo maggioritario dei contadini, sostiene la borghesia liberale, si subordina ad essa, si contrappone agli stessi compiti e alle stesse aspirazioni di larga parte della sua base sociale: solo una repubblica proletaria sostenuta dagli operai agricoli e dalla parte più povera dei contadini e della popolazione urbana può garantire la pace, il pane e la libertà”.

E a quella parte di gruppo dirigente bolscevico che obietta: "Ma come, tu allora proponi la rivoluzione socialista ... Allora significa che questa non è più la rivoluzione democratica", Lenin risponde:

La rivoluzione borghese e democratico-borghese è già terminata in Russia. Sentiamo levarsi le proteste dei contraddittori ai quali piace definirsi vecchi bolscevichi: non abbiamo sempre detto che la rivoluzione democratico-borghese può essere portata a termine soltanto dalla dittatura democratica rivoluzionaria del proletariato e dei contadini? La rivoluzione agraria, che è anch'essa democratico-borghese, è forse terminata? Non è invece un fatto che essa non è ancora cominciata?”

Le idee e le parole d'ordine dei bolscevichi -aggiunge- sono state interamente confermate dalla storia nel loro insieme, ma in concreto, le cose sono andate in maniera diversa da quanto io o qualunque altro poteva prevedere: si sono cioè svolte in modo più originale, più peculiare e vario. Ignorare e dimenticare questo fatto significa porsi sul piano di quei vecchi bolscevichi che più di una volta hanno avuto una triste funzione nella storia del nostro partito ripetendo formule imparate a memoria, invece di studiare quanto vi era di originale nella nuova evidente realtà. Il marxista deve aver conto della vita concreta dei fatti precisi della realtà e non abbarbicarsi alla teoria di ieri che come ogni teoria indica nel migliore dei casi il fondamentale e il generale e si approssima soltanto a cogliere la complessità della vita. Grigia è la teoria amico mio, ma verde l'albero eterno vita”.

Un discorso che non sta evidentemente a significare una svalutazione della teoria rivoluzionaria da parte di Lenin (perché tutta l'opera di Lenin come abbiamo visto andava in senso esattamente opposto) ma va in direzione del rifiuto di trasformare la teoria rivoluzionaria in una operazione puramente mnemonica, di ripetizione di formula astratte; va in direzione della necessità della concretizzazione dialettica di una parola d'ordine, di un'idea, in relazione allo sviluppo della realtà. E proprio in questa combinazione trae il massimo rigore della teoria e la grande capacità di saperla innovare e sviluppare in relazione allo sviluppo dell'esperienza -è uno dei segreti dell'arte di Lenin e del bolscevismo. Conclude Lenin:

Il proletariato ha due alleati nella nostra rivoluzione, uno è la grande massa dei semiproletari e in parte dei piccoli contadini, il secondo alleato del proletariato russo è il proletariato di tutti i paesi belligeranti e di tutti i paesi in generale. Esso è oggi in gran parte schiacciato sotto il peso della guerra e troppo spesso parlano in suo nome i socialsciovinisti che sono passati dalla parte della borghesia, ma ogni mese di guerra imperialista è venuto emancipando il proletariato dalla loro influenza, e la rivoluzione russa accelererà inevitabilmente e su larga scala tale processo”.

E' importante questo riferimento perché disegna il quadro internazionale all'interno del quale Lenin concepisce la rivoluzione russa. Ed è un triplice riferimento: 1) la rivoluzione russa è espressione non semplicemente dell'arretratezza della Russia, ma anche delle contraddizioni dell'imperialismo internazionale, cioè dalla guerra, che è il riflesso di queste contraddizioni. In un certo senso è un'espressione di modernità, non di arretratezza, è un'espressione delle contraddizioni mondiali; 2) la rivoluzione Russa, la conquista da parte del proletariato del potere in Russia, può dare una spinta decisiva allo sviluppo della rivoluzione internazionale in Europa; 3) lo sviluppo della rivoluzione internazionale rappresenta il quadro decisivo per il consolidamento e lo sviluppo della rivoluzione russa entro la trasformazione in senso socialista di quella rivoluzione.

Rigore dei principi e duttilità della tattica: la combinazione vincente della rivoluzione russa

In questo complesso di posizioni e di inquadramento strategico generale sta il successo della politica rivoluzionaria nel corso del '17, un successo fondato su questo equilibrio: come sempre rigore dei principi da un lato e articolazione tattica dall'altro. I principi: la difesa e l'affermazione, a partire dalle Tesi di aprile prima ricordate, di una posizione di autonomia e di opposizione dei bolscevichi nei confronti dei governi provvisori scaturiti dalla Rivoluzione di Febbraio, sia il primo governo Miliukov, sia il governo Kerensky che vedrà la luce dopo il 6 maggio del 1917, con l'ingresso diretto nel governo dei rappresentanti menscevichi e socialisti rivoluzionari. Questa linea di opposizione intransigente al Governo era per Lenin una questione di principio. Lo era a tal punto da essere riaffermata contro le pressioni di un'altra area del partito bolscevico in un passaggio cruciale della rivoluzione, cioè nell'agosto del '17. Cosa accade nell'agosto del '17?Accade che un generale reazionario zarista (Kornilov) cerca di rovesciare da destra il governo Kerensky. E a questo punto un bel po' di dirigenti bolscevichi, specie quelli che avevano qualche tentennamento rispetto al posizionamento verso il Governo dicono: ''Adesso c'è l'aggressione della destra: come facciamo a rimanere all'opposizione del governo Kerensky? Dovremmo in qualche modo far blocco con lui contro la destra". La posizione di Lenin è ben diversa e viene così argomentata:

La rivolta di Kornilov è giunta improvvisa. Al pari di ogni svolta repentina essa esige una revisione, un cambiamento della tattica e come in ogni revisione bisogna essere più che prudenti per non venir meno ai principi. Secondo la mia convinzione vengono meno ai principi coloro i quali, come Volodarsky, scivolano fino al difensismo o coloro i quali scivolano fino al blocco con i socialisti rivoluzionari, fino all'appoggio del governo provvisorio. Questa è una posizione arci sbagliata, questa è mancanza di principi”.

E in realtà aver tenuto quella posizione di rigorosa opposizione (che non significava disimpegno nella battaglia contro la destra, significava partecipare in prima fila, anzi, nella battaglia contro Kornilov e contro lo zarismo, ma da una posizione politicamente autonoma, distinta, non corresponsabilizzata al governo borghese riformista) è stato decisivo per salvaguardare la prospettiva della Rivoluzione d'Ottobre e del suo successo. E al tempo stesso si rivela l'altra faccia della medaglia: "Questa opposizione verso il Governo non ha significato in alcun modo autoisolamento dalle masse, e relegamento ad una azione di pura propaganda astratta". Nel mentre si autonomizzavano ed erano all'opposizione del Governo anche quando esso era insidiato da Kornilov, i bolscevichi da un lato sviluppavano una proposta politico-rivendicativa di tipo transitorio che cercava di legare le rivendicazioni delle masse e le stesse rivendicazioni della Rivoluzione di Febbraio alla prospettiva della conquista del potere (e una larga parte dell'elaborazione di Lenin a riguardo è proprio un'articolazione viva, nel contesto dello sviluppo della rivoluzione russa, del concetto transitorio del programma), dall'altro lato incalzavano con un'abile tattica le vecchie direzioni del movimento operaio e contadino, quelle che avevano ancora la maggioranza nei soviet. La parola d'ordine "Tutto il potere ai soviet!" aveva anche questa valenza. Significava due cose: che i soviet in quanto organismi della "Comune" dovevano realizzare la dittatura del proletariato, rovesciando il governo borghese e concentrando tutto il potere nelle proprie mani, ma significava anche una sfida ai dirigenti social-rivoluzionari e menscevichi che avevano ancora la maggioranza nei Soviet: ''Assumetevi le vostre responsabilità: avete ancora un consenso maggioritario fra le masse, fra i contadini e gli operai. I contadini vi chiedono la terra, gli operai vi chiedono il pane, i soldati vi chiedono la pace, tutti vi dicono di finirla con la guerra, vi chiedono l'assemblea costituente, vi chiedono la riforma agraria. Per tutte queste ragioni prendete il potere! Avete la maggioranza nei soviet. Concentrate il potere nelle vostre mani e rompete con la borghesia liberale". Questo concetto -"Rompete con la borghesia. Prendete il potere su questo programma"- fu in qualche modo un'incursione profonda e abile nella contraddizione fra i vertici di quei partiti e la classe operaia, la base popolare di quei partiti. E preparò la strada alla conquista della maggioranza: i bolscevichi che nel luglio del '17 nei soviet avevano ancora il 13%, prenderanno il 51% nell'ottobre, costruendo così le premesse della rivoluzione. Tralascio tutta la descrizione delle divergenze nel Partito bolscevico attorno al nodo dell'insurrezione (Kamenev e Zinoviev si pronunciarono contro, ci fu una battaglia durissima -per dire appunto del carattere tutt'altro che mummificato del bolscevismo, della sua vita, del suo dibattito). E invece voglio razionalizzare un concetto di fondo. Certo il ruolo di Lenin è stato -come si vede- assolutamente decisivo nell'orientare il partito verso la conquista del potere e quindi il ruolo della personalità è fuori discussione. Ma se Lenin è riuscito a riorientare il partito in quella direzione è avvenuto per due ragioni generali che vanno ben al di là della sua persona: 1) c'era un partito libero in cui si discuteva, ci si contrapponeva, si lottava su posizioni anche diverse tra rivoluzionari, ma un dibattito vivo in cui la maggioranza non era sempre la maggioranza e la minoranza sempre la minoranza (Lenin andò in minoranza numerose volte all'interno del partito bolscevico e del suo gruppo dirigente, eppure era Lenin con tutta l'autorevolezza politica e anche i successi prima descritti); 2) il rigore dei principi cui il quadro militante bolscevico era stato educato nel corso dei vent'anni precedenti, aveva creato l'humus naturale perché quella battaglia di rigore dei principi, che è stata determinante per il successo della rivoluzione, potesse attecchire. Quindi Lenin è stato decisivo, ma è stato decisivo in relazione al partito di cui è stato il principale dirigente, e non al di fuori del partito o aggirando il problema del partito e della sua costruzione preventiva.

La III Internazionale come direzione rivoluzionaria

Concludo con alcuni brevi riferimenti (pochi rispetto alle necessità) alla III Internazionale comunista fondata a Mosca nel1919. Ho già detto delle premesse della sua costruzione (la guerra, Zimmerwald etc.). Interessante è vedere, come i bolscevichi hanno cercato, e in primo luogo Lenin e Trotsky (riunificatisi nel corso del '17 proprio a partire da una comunanza politica e programmatica rivoluzionaria), di trasferire il bilancio della rivoluzione russa e del bolscevismo nella costruzione dell'Internazionale comunista. Lo scenario era molto difficile e problematico. Ho detto prima che la battaglia per la III Internazionale inizia quando la stessa ipotesi di una rivoluzione russa appariva inverosimile. Ma è indubbio che una volta che la rivoluzione russa vince si accelera il processo di costruzione dell'Internazionale e questa III Internazionale e i suoi partiti vengono costruiti non semplicemente con una finalità astratta di continuità del marxismo rivoluzionario rispetto al fallimento della II Internazionale, ma in relazione ad una situazione rivoluzionaria che va montando in Europa, che la rivoluzione russa e la stessa rivoluzione bolscevica hanno in qualche modo contribuito ad approfondire e ad ampliare: e quindi come un'Internazionale che ha come suo fine quello di dirigere le masse verso la rivoluzione e la conquista del potere, che ha come fine quello della rivoluzione proletaria internazionale tanto più concepita come condizione decisiva per il successo e il consolidamento della stessa rivoluzione russa. La costruzione dell'Internazionale e dei suoi partiti, intesi come direzione del movimento rivoluzionario, era resa necessaria dagli avvenimenti che facevano da sfondo: la sconfitta della rivoluzione in Germania nel1918, prima grande rivoluzione tedesca, che culminò con l'uccisione tragica di Rosa Luxemburg e di Karl Liebkneckt, dovuta al fatto che non c'era un partito sperimentato a capo delle masse; la sconfitta del grande biennio rosso in Italia (1919-1920), che maturerà da lì a poco (anche lì grande lotta, l'occupazione delle fabbriche, una precipitazione rivoluzionaria, ma anche lì l'assenza del partito); infine la sconfitta della rivoluzione ungherese, dove il Partito aveva preso il potere, ma poi si era fuso con il partito socialdemocratico condannandosi alla rovina. Tutti questi elementi dimostravano che occorreva costruire un'Internazionale comunista formata da partiti rivoluzionari -di partiti bolscevichi- che sapessero esercitare un ruolo determinante della direzione politica delle masse.

La battaglia internazionale contro il centrismo

E' questa la battaglia che viene combattuta nel corso della costruzione della III Internazionale lungo i primi quattro congressi (1919, 1920, 1921, 1922). Si tratta di una battaglia che -per semplificare- viene condotta su due terreni, da sempre complementari nella storia del marxismo rivoluzionario, in Marx, in Engels, in Lenin e nel bolscevismo: da un lato il terreno della lotta e della rottura col centrismo, dall'alto il terreno della lotta contro posizioni e umori di carattere estremistico e ultrasinistro. I primi due congressi dell'Internazionale riguardarono soprattutto il primo versante: la lotta al centrismo. In particolare al secondo congresso (1920), che per molti aspetti è il vero congresso fondativo, un congresso che radunava forze relativamente consistenti che si erano andate liberando dal controllo del socialsciovinismo e dell'opportunismo, Lenin disse che la rivoluzione russa e l'Internazionale comunista erano diventati di moda, ed era veramente così. La II Internazionale attraversava una crisi molto profonda e in virtù di questa crisi settori relativamente consistenti andavano a bussare alla porta della III Internazionale per aderirvi. Spesso però si trattava di forze, raggruppamenti tendenze o addirittura partiti che giuravano sulla rivoluzione russa, declamavano ''Viva la rivoluzione russa", ''Viva Lenin", ''Viva il bolscevismo", ''Viva la III Internazionale"; dopo di che nella loro politica reale riproducevano la scissione tra politica quotidiana e principi che caratterizzava la disastrosa esperienza del centro tedesco e più in generale del centrismo e per questo continuavano a coabitare con settori apertamente riformisti. Lenin esprime un'idea centrale: non si può ricreare un equivoco, non si può semplicemente seguire il criterio "più si è meglio è". Tutto voleva fare Lenin tranne che riproporre l'equivoco di un partito unico di tutta la classe assieme a riformisti e centristi di ogni sorta. Il problema era di costruire partiti rivoluzionari, marxisti rivoluzionari, realmente comunisti, totalmente alternativi sia alle forze della destra sciovinista sia alle forze del centro. E l'operazione che sviluppa con il secondo congresso è quella cosiddetta delle 21 condizioni: cosa significa? Significa che si stendono 21 condizioni di ammissione all'Internazionale comunista; tutte attengono a questioni strategiche di programma e di principio, ma con una clausola di coerenza: chi è d'accordo con tutti questi principi rivoluzionari del bolscevismo deve fare una cosa molto semplice e cioè cacciare i riformisti delle proprie fila, rompere con il riformismo, uniformarsi nei fatti e non solo a parole con i principi che formalmente si sottoscrivono. Questa è la condizione per l'ammissione. "Avete quattro mesi di tempo -si disse- per affrontare la questione in congressi straordinari convocati ad hoc. Se aderite alle 21 condizioni non ci sono problemi rispetto anche al vostro passato e a divergenze superate, perché il problema non è avere un'uniformità di tradizioni e provenienze, è un problema di coerenza politico-programmatica. Se viceversa non aderite a questo quadro di condizioni vuol dire che c'è una divergenza strategica nei fatti, e allora a questo punto è meglio che ci separiamo perché vuol dire che non abbiamo un progetto comune". Sottolineo questo perché molto spesso la cosiddetta questione delle 21 condizioni fu assunta e rappresentata in particolare dai centristi come l'espressione del burocratismo bolscevico: "Pongono gli ultimatum", In realtà non si trattava di un ultimatum amministrativo ma di un elemento decisivo di chiarificazione politica. Un elemento decisivo di chiarificazione politica sul terreno del raggruppamento rivoluzionano, che ha dato in alcuni casi risultati positivi, in altri negativi, ma che ha dato un contributo fondamentale alla costruzione dei partiti comunisti in Europa. In Italia, per usare un riferimento che i compagni conoscono, i centristi del partito socialista preferirono rimanere uniti alla minoranza riformista piuttosto che accettare le 21 condizioni: da qui nacque la scissione di Livorno da parte dei comunisti. In altri casi la tattica delle 21 condizioni fu decisiva per conquistare significativi settori di sinistra di forza centriste che si contrapponevano all'egemonia dei loro vecchi capi e che a questo punto rompevano con questi e si univano ai bolscevichi. L'esempio del congresso dl Halle in Germania (1920) è indicativo: un grande partito, l'Uspd tedesco, un partito centrista guidato da Kautsky e dai suoi eredi, vede la sua maggioranza passare direttamente al bolscevismo sulla base dell'adesione alle 21 condizioni contro la minoranza costituita dalla vecchia burocrazia centrista. Tutto questo per dire che fu efficace, non solo giusta questa politica rigorosa sul terreno del raggruppamento.

La battaglia internazionale contro l'estremismo

L'altro aspetto, complementare, è quello della lotta all'estremismo. Ed è un aspetto su cui si concentra l'impegno espresso nel periodo successivo, dal '20 al '22, e che i compagni conoscono in particolare attraverso il famoso testo di Lenin, L'estremismo malattia infantile del comunismo, citato a più riprese dai riformisti staliniani per mezzo secolo, ma che in realtà sta a indicare una sostanza politica del tutto opposta e alternativa alle loro posizioni. Che cosa era accaduto? Era accaduto che una volta formatisi i partiti comunisti, realmente comunisti, separatisi dal riformismo e dal centrismo secondo le 21 condizioni, si trattava di mettere questi partiti nelle condizioni di realizzare un'iniziativa politica di massa. Perché dicendo semplicemente "Abbiamo rotto con il centro e adesso facciamo propaganda al comunismo", ma con una logica di autocentratura e di ripiegamento su se stessi, non si poteva pensare di conquistare le masse e dirigere i processi rivoluzionari. Allora il problema centrale consisteva in una battaglia politica contro tendenze estremiste che erano ancora diffuse nei giovani partiti dell'Internazionale, che a volte erano l'espressione residuale di posizioni precedenti, a volte erano l'espressione di un eccesso di contrapposizione al centro, altre volte ancora il riflesso del lungo odio e rigetto nei confronti della vecchia burocrazia del movimento operaio (con modalità anche molto diverse, il Kpd ha una posizione, il bordighismo italiano un'altra, il tribunismo olandese un'altra ancora) ma nell'insieme somma posizioni propagandistiche pure o "radical avventuriste", che in un modo o nell'altro ignoravano la questione decisiva, cioè la conquista delle masse. Lenin diceva che i rivoluzionari si dimostrano rivoluzionari in termini pratici, non solo teorici, se tengono fermi i principi -certo-, ma soprattutto se coniugano la difesa dei principi con una proiezione attiva verso la conquista della maggioranza. E Trotsky aggiungeva: "Un piccolo partito rivoluzionario può anche conquistare in breve tempo le masse, ma a una sola condizione, che consideri la sua piccolezza non come una virtù, ma come una disgrazia". La battaglia contro l'estremismo viene condotta in due modi. Da un lato attraverso il recupero e la valorizzazione della lunga tradizione rivoluzionaria del bolscevismo in particolare nella battaglia contro I'otzovismo dal 1908 al 1910; dall'altro cercando di sviluppare una tattica e una articolazione politica che educasse i nuovi partiti alla complessità della politica rivoluzionaria. Il terzo e il quarto congresso dell'Internazionale comunista si concentrano sulle questioni della tattica del fronte unico e del governo operaio: in qualche modo cercano di portare nell'Internazionale le lezioni dell'approccio tattico che i bolscevichi avevano sostenuto in Russia nei confronti dei social-rivoluzionari e dei menscevichi: 'Rompete con la borghesia!". E al tempo stesso pongono il tema delle rivendicazioni transitorie. Ogni sezione dell'Internazionale doveva articolare un programma di rivendicazioni transitorie, non poteva limitarsi a gridare "Viva la rivoluzione" e poi gestire la routine quotidiana: doveva piuttosto avanzare una proposta programmatica, ovviamente articolata in base alle condizioni del paese di riferimento, ma che in qualche modo cercasse di creare un ponte tra l'azione quotidiana e il fine rivoluzionario. Ci fu una ricchissima elaborazione su questo versante: la risoluzione presentata al terzo congresso sulle rivendicazioni parziali è interessantissima, l'impostazione dell'Internazionale sindacale rossa sul tema dell'articolazione transitoria è importantissima. Lenin diceva che chi pensava che quello fosse riformismo semplicemente perché si avanzavano delle rivendicazioni ponte tra gli obiettivi immediati e il potere, era gente che -magari inconsapevolmente- non voleva conquistare il potere. Per Lenin il problema non è semplicemente battere numericamente l'estremismo nei congressi. Perché se il problema fosse stato semplicemente quello era di facile soluzione, visto che i rapporti di forza erano largamente a suo favore. Invece la battaglia contro l'estremismo (combinata con la battaglia preventiva e prioritaria di rottura con il centrismo) era centrale per "educare i giovani inesperti partiti comunisti che nascevano allora dal disastro terribile della II Internazionale, alla complessità della politica rivoluzionaria.

Conclusione

Nel 1923 la sconfitta dell'ultimo conato rivoluzionario in Germania chiude il ciclo storico del processo rivoluzionario europeo. Trotsky scrive un testo, Le lezioni dell'ottobre, per trarre un bilancio di quanto avvenuto. Il bilancio è sintetizzato in una formula:

"Tutta l'esperienza rivoluzionaria del '18, '19, '20, '21, '22 e '23 ci dice che le più grandi rivoluzioni di massa con le più grandi potenzialità non possono vincere in assenza di un partito bolscevico, aggirando un partito bolscevico, con surrogati di un partito bolscevico".

Il grande limite riconosciuto da Trotsky, universalmente considerato insieme a Lenin il principale dirigente dell'Internazionale, il limite dimostrato nei tempi messi a disposizione dalla storia è quello di non essere riusciti a bolscevizzare sufficientemente i nuovi partiti che si erano giustamente costruiti. Naturalmente quello era un testo che investiva nel futuro, nella necessità di "forgiare partiti costruiti sulla base della prospettiva e delle proposte della rivoluzione internazionale. Ma il ripiegamento della rivoluzione in Europa, e l'affermarsi dello stalinismo in Russia purtroppo apriranno una pagina nuova e terribile nella storia accidentata del movimento operaio e del marxismo rivoluzionario.


Seminario di Grizzana
Settembre 2002

NOTA

1Nel 2002, quando si è tenuto il seminario la frazione AMR Progetto Comunista di Ferrando era ancora interna al PRC