LANDINI E L'”OCCUPAZIONE DELLE FABBRICHE”.
“Non firmeremo più accordi per la chiusura delle aziende. Le contrasteremo in ogni modo. Anche, se necessario, con l'occupazione della fabbrica”. Così ha dichiarato ieri Landini, nell'intervento pubblico all'Assemblea di Roma.
“Non firmeremo più accordi per la chiusura delle aziende. Le contrasteremo in ogni modo. Anche, se necessario, con l'occupazione della fabbrica”. Così ha dichiarato ieri Landini, nell'intervento pubblico all'Assemblea di Roma.
Verrebbe da dire “meglio tardi che mai”. L'occupazione delle fabbriche che
chiudono o licenziano, è stata ed è una proposta centrale del Partito Comunista
dei Lavoratori (PCL), soprattutto in questi anni di crisi capitalista. Tutte le
direzioni sindacali e politiche della sinistra ( Landini incluso) l'hanno
regolarmente respinta o ignorata perchè ”avventurosa”, “poco realista”,
“pericolosa”, “ideologica”, e chi ne ha più ne metta. I risultati del
“realismo” sono sotto gli occhi di tutti, a partire dalla FIAT.
Ora, non un dirigente qualsiasi, ma il segretario del principale sindacato
della classe operaia industriale, riprende improvvisamente l'”occupazione della
fabbrica” come mezzo di lotta contro lo smantellamento dell'industria e dei
posti di lavoro.
Bene. Per essere credibili si tratta allora di passare dalle parole ai
fatti. Nell'unico modo possibile: riorganizzando l'azione generale della FIOM
attorno a una svolta radicale di indirizzo. Preparando concretamente le
occupazioni di fabbrica, in caso di licenziamenti. Coordinandole nazionalmente.
Avanzando questa proposta di lotta a tutti i settori in crisi. Preparando una
cassa nazionale di resistenza a sostegno delle occupazioni. Combinando
l'occupazione delle fabbriche che licenziano con la rivendicazione della loro
nazionalizzazione, senza indennizzo e sotto controllo dei lavoratori.
Se Landini prendesse sul serio se stesso, il PCL sarebbe senza riserve al
suo fianco: magari chiedendogli di ritirare, in nome della “svolta”, il
gravissimo sostegno accordato all'”esigibilità dei contratti”, a copertura
della burocrazia CGIL (e del fallimento della propria linea).
Se invece si trattasse di una semplice battuta radicale da assemblea per
strappare un applauso, ne prenderemo atto, senza sorpresa. Ma sarà più
difficile per tutti i burocrati, d'ora in avanti, liquidare l'”occupazione
delle fabbriche” con parole di sufficienza. E la nostra lotta per una svolta
radicale del movimento operaio sarà, in ogni caso, più determinata di prima.
Tra i lavoratori. E in ogni sindacato.
9 settembre 2013
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI