lunedì 11 aprile 2011

Il lavoro a Venezia


La situazione dei lavoratori Vinyls è emblematica riguardo allo stato di salute del lavoro in tutto il territorio veneziano. Il palleggiamento di responsabilità degli enti preposti, azienda, ministero e di alcune parti sindacali, è il risultato dell’assenza di una vera e propria strategia politica che miri all’obiettivo di far rimanere (oltreché rilanciare) il lavoro a Marghera. Tutto questo è evidente. Nonostante le promesse di Orsoni e le rassicurazioni delle controparti sociali, l’economia di scala subisce un profondo cambiamento ed i lavoratori chimici ne pagano il prezzo. La cosa non appare circoscritta: per ogni settore industriale che chiude i battenti si hanno centinaia di disoccupati portatori di una manodopera professionale che sparisce per sempre, non essendo più recuperabile attraverso il “magico” mondo delle opportunità logistiche (le promesse di Costa su Montefibre sono eloquenti).
Ma a Venezia tutto si ricollega; i lavoratori senza più alcuna speranza di Vinyls sono solo l’ultimo anello di una catena sociale bistrattata che, oggi, non sembra avere tregua nel subire colpi durissimi. I lavoratori dei trasporti(ACTV), della sanità legata al welfare assistenziale (Coop Elleuno), della cultura (Musei), dei servizi e dell’artigianato locale (vetro) non stanno subendo sorte diversa. Di fronte a tutto questo, non serve lanciare “proclami” continui di salvataggio attraverso le voci delle figure dei commissari preposti via via nominati. Essi stessi, al contrario, sono stati gli artefici indiretti di profondi peggioramenti delle varie situazioni in essere e abili registi verso una degenerazione ancora più speculativa del diverso problema posto. La verità non è la mancanza di una strategia generale di reindustrializzazione del territorio o di un rilancio seppur parziale dell’economia produttivo-manifatturiera veneziana. L’amara realtà è la cosciente e consapevole volontà politica della giunta insieme all'autorità portuale e diverse categorie economiche (Confcommercio in primis con AVA e AEPE) di totale abbandono delle suddette leve economiche. Questa è una netta ed incontestabile evidenza. Il cambio di destinazione d’uso di diverse aree industriali dimesse lo comprova chiaramente. I lavoratori ne prendano atto; solo per mezzo di un piano generale di ripristino del loro protagonismo sociale può passare un vero rilancio di tutto il valore del lavoro sul territorio. Un protagonismo legato a dei bisogni sociali specifici, distante dai piani speculativi in atto, che si attrezzi con una piattaforma generale che unifichi tutte (e sottolineo tutte) le categorie, che segni una nuova necessaria fase nella quale arrestare la continua emorragia dei posti di lavoro e che, in ultima istanza, metta finalmente in discussione i rapporti di produzione (di proprietà) azienda per azienda allo scopo di arginare decisioni che colpiscono duramente migliaia di famiglie. Che siano i lavoratori a decidere di sé stessi. Altre ipotetiche soluzioni portano alle solite illusioni sul “buon samaritano” di turno a caccia del facile business. Come si è visto con Sartor, per esempio, osannato da Cacciari all’inizio per poi esser annoverato tra i “cattivi”, reo, tra i tanti, di aver cercato a Venezia solo ciò che ha sempre rincorso come ragione di vita imprenditoriale: il profitto.