martedì 7 maggio 2013

 LA RIVOLUZIONE D'OTTOBRE

 LA RIVOLUZIONE D'OTTOBRE

Tutto il potere ai soviet


di A. Marceca

Le premesse sociali ed economiche

La Rivoluzione Russa del 1917 costituisce il momento di rottura di un processo di crisi sociale, economica e istituzionale iniziato a metà del XIX secolo nel grande paese a cavallo tra Europa ed Asia. Lo scoppio della guerra imperialista del 1914 porterà a maturazione questa crisi, inserendola prepotentemente nelle contraddizioni inter-imperialistiche mondiali.
La Russia nella seconda metà del ‘600 e poi nella seconda metà del ‘700 aveva conosciuto le jacqueries contadine prima di Razin e poi di Pugacev all’insegna dello “zar buono” che avrebbe ucciso i nobili e dato la terra e la libertà ai contadini.
Lo spettro di Pugacev porterà nel 1861 all’abrogazione del servaggio da parte dello zar Alessandro II. Questi dichiarò ad una assemblea di nobili che era meglio abolire il servaggio dall’alto piuttosto che vederlo abolito dal basso, come era successo nei grandi paesi dell’Europa occidentale con le rivoluzioni borghesi.
A seguito della riforma i contadini ricevettero, previo pagamento del diritto al riscatto, la terra che coltivavano in proprio durante il periodo del servaggio, quando il contadino lavorava per tre giorni il proprio lotto e per tre giorni il fondo del grande proprietario terriero.
La terra del contadino povero non bastava per il sostentamento della sua famiglia, inoltre si era indebitato per pagare il riscatto e quindi era privo di capitali sufficienti per migliorare la tecnica agricola. Non solo, anche dopo la riforma i contadini rimanevano legati al villaggio, che non potevano abbandonare senza permesso. Questo sia per motivi fiscali che di controllo politico.
Intanto lo sviluppo capitalistico determinava la crisi dell’organizzazione comunitaria del villaggio, mentre la questione agraria rimaneva irrisolta e le masse contadine continuavano a vivere in una condizione di miseria.
I contadini costituivano la maggioranza della popolazione dell’Impero russo. Nella Russia europea, all’inizio del ‘900, la popolazione contadina era costituita per un quarto da contadini poveri e per un altro 6-7% da lavoratori senza terra, questi aumenteranno dopo il 1907 a seguito della riforma di Stolypin mirante a smantellare le terre comunitarie.
Nel corso della seconda metà dell’ottocento la Russia aveva visto l’accrescimento dell’industria, del commercio e delle comunicazioni ferroviarie. Nel settore industriale si erano particolarmente sviluppate le industrie tessili, metallurgiche e minerarie. La ricchezza di risorse del territorio e il basso costo della forza lavoro aveva richiamato gli investimenti di capitale europeo prevalentemente nei settori del ferro, dell’acciaio e delle linee ferroviarie.
La giovane classe operaia industriale, in forte crescita sul piano numerico, viveva una condizione di estrema precarietà per i bassi salari, i lunghi orari di lavoro, le cattive condizioni igienico sanitarie dei luoghi di lavoro e delle abitazioni.
Nel 1913 le industrie russe impiegavano circa tre milioni di operai e i trasporti un milione, una piccola percentuale rispetto ad un impero che aveva 180 milioni di abitanti.
Accanto alle piccole industrie sorgevano grandi complessi industriali con decine di migliaia di operai. L’officina Putilov di Pietrogrado contava fino a 35 mila operai.
La giornata di lavoro oscillava dalle 10 ore alle 11 ore e mezzo, i salari erano miseri, gli alloggi fatiscenti, a Mosca spesso costituite da baracche affollate. I sindacati, a parte quelli controllati dalla polizia, erano semilegali.
Il capitale straniero aveva un peso considerevole nello sviluppo dell’industria in Russia, nel 1914 almeno un terzo del capitale investito in imprese industriali russe era di origine straniera. Il capitale francese aveva investito nelle industrie minerarie e metallurgiche (almeno il 60% del ferro grezzo e circa il 50% del carbone prodotto in Russia alla vigilia della guerra imperialista proveniva da imprese controllate da capitale francese). Il capitale inglese controllava prevalentemente i pozzi petroliferi del Caucaso, e in minore misura le industrie tessili della Russia settentrionale, le imprese minerarie della Siberia e degli Urali. Accanto ai capitali francesi e inglesi erano presenti capitali belgi e tedeschi. Si calcola che il 32,6% del capitale straniero investito in Russia fosse francese, il 22,6% inglese, il 19,7% tedesco e il 14,3% belga. Questi dati indicano la debolezza della grande borghesia russa.
Lo Stato russo poggiava sulla grande proprietà terriera, nobiliare e borghese. La borghesia nazionale non era competitiva nei mercati mondiali e il mercato nazionale non era sufficiente ad assicurare l’assorbimento delle merci proprio per la miseria degli operai e dei contadini poveri, pertanto l’industria nazionale poteva sopravvivere solo attraverso una politica protezionistica e di espansione coloniale verso l’Est e il Sud-Est.
La sconfitta nella guerra russo-giapponese del 1904-1905 porrà un serio ostacolo a questa politica espansiva. Lo Stato zarista assorbiva oltre l’80% delle spese di bilancio per l’esercito e l’apparato poliziesco, il resto era destinato in gran parte all’apparato burocratico.
I popoli dell’impero russo soggiacevano all’arbitrio burocratico e all’oppressione militare, nella totale assenza di diritti e libertà democratiche. Alle rivendicazioni nazionali e democratiche lo Stato zarista rispondeva con il divieto delle lingue locali e con la russificazione.
Lo scontro militare con le due nazioni economicamente più sviluppate e istituzionalmente più efficienti, il Giappone negli anni 1904-1905 e la Germania nel 1914-1917, innalzarono alle estreme conseguenze le contraddizioni della Russia.

Il 1905, la “prova generale”.

Alla crescita industriale dell’ultimo decennio del ‘800 fece seguito un periodo di crisi nei primi anni del ‘900. La lotta di classe si fece più aspra e il movimento operaio crebbe in ampiezza e intensità. Nel 1903 scesero in lotta gli operai della zona petrolifera di Bakù, le agitazioni si estesero a Tiflis, a Bantum e in altri centri del Caucaso.
Altri scioperi e mobilitazioni si verificarono a Odessa, Kiev e in altre città della Russia meridionale.
Le piattaforme comprendevano rivendicazioni immediate a carattere sindacale (le otto ore di lavoro, ecc) ma anche rivendicazioni politiche come la richiesta della Costituzione democratica.
Anche le campagne, proprio per la persistenza della questione agraria, all’inizio del secolo erano interessate da movimenti contadini. Nel 1902 nelle province di Charkov e Poltava i contadini occuparono le terre dei grandi proprietari terrieri.
Non mancarono in quegli anni manifestazioni degli studenti e richieste di riforme liberali da parte di settori della borghesia.
Nel febbraio 1904, il governo russo, il ministro dell’interno, von Pleve, lo zar pensarono di superare la crisi sociale e politica con l’aggressione al Giappone. Doveva essere nelle intenzioni una “piccola guerra vittoriosa” che risolvesse la questione del controllo della Manciuria.
Ma la piccola guerra vittoriosa si trasformò in una disfatta per l’esercito e la marina russa. La guerra si concluse il 5 settembre 1905 con la pace di Portsmouth, la Russia cedeva al Giappone il controllo sulla Manciuria meridionale e sulla parte meridionale dell’isola di Sachalin.
La crisi del regime, successiva alla disfatta, accelera la mobilitazione rivoluzionaria delle masse.
Dopo le prime disfatte dell’esercito russo, tra agosto e settembre del 1904 a Liao-Yang, lo zar aveva sostituito il ministro dell’interno e intendeva concedere delle riforme liberali, in particolare la concessione di una Assemblea rappresentativa con funzioni legislative come richiesto dal primo congresso degli Zemstvo di tutta la Russia.
Ma la domenica di sangue del 9 (22) gennaio 19051 chiariva come la soluzione delle contraddizioni non avrebbe seguito la via delle riforme.
Un prete, Georgij Gapòn, in linea con il tradizionale controllo della classe operaia da parte della polizia, aveva costruito una associazione di lavoratori di Pietrogrado.
Il pope Papòn assieme ad intellettuali liberali aveva steso una petizione allo zar e organizzato una enorme processione di lavoratori con icone e canti religiosi indirizzata verso il Palazzo d’Inverno. I lavoratori furono accolti dalle scariche della fucileria e dalle cariche dei cosacchi.
Quella giornata di sangue segnerà la fine della visione dello zar come “padre del suo popolo”, mostrandone la reale natura reazionaria.
Gli scioperi e le mobilitazioni operaie si moltiplicarono, le rivendicazioni sempre più si fecero politiche. L’agitazione coinvolse la marina dove lavoravano diversi operai specializzati. A giugno si verifica l’ammutinamento della corazzata Potemkin, una delle navi più potenti del mar nero. Innalzata la bandiera rossa, la corazzata fece rotta verso Odessa dove c’erano gli operai in sciopero. Altri ammutinamenti seguirono nel porto di Kronstadt, presso Pietrogrado, e a Sebastopoli, in Crimea.
La Rivoluzione del 1905, prima e dopo la concessione della costituzione del 30 ottobre, vedrà la scesa in campo non solo degli operai e dei marinai, ma anche degli studenti e degli intellettuali. La mobilitazione si estese nella provincia: i braccianti agricoli scioperavano, i contadini nella provincia di Saratov, del Volga, di parte dell’Ucraina, di Kiev bruciavano le case signorili e chiedevano la distribuzione della terra, a metà agosto delegati contadini si riunirono a Mosca e costituirono l’Assemblea panrussa dei contadini. Ampi settori della borghesia chiedevano riforme liberali. Le popolazioni oppresse (Polonia, Caucaso) entrarono in lotta per l’indipendenza. L’esercito battuto dai giapponesi non era in grado di reprimere la rivolta in atto, la macchina statale era paralizzata.
Lo sciopero dei ferrovieri iniziato il 20 ottobre, assunse ben presto un carattere politico generale contro il governo con richieste di libere elezioni, Assemblea costituente e amnistia per i detenuti politici. Il 23 ottobre si estendeva a tutta la nazione e assumeva i caratteri dello sciopero generale. Lo zar, nel tentativo di controllare la situazione, nomina primo ministro il conte Vitte e pubblica un decreto (il Manifesto d’ottobre) che allagava i diritti civili ed elettorali per la nomina della Duma (parlamento), ma i ministri dovevano continuare ad essere responsabili verso lo zar.
Il 26 ottobre circa quaranta delegati, alcuni di essi operai delle fabbriche di Pietrogrado, altri esponenti dei partiti che parteciparono alla rivoluzione, si riunirono nella sala dell’Istituto tecnologico di Pietrogrado dando vita al Soviet dei deputati dei lavoratori. Il primo soviet (in russo consiglio), la forma politica di democrazia proletaria che avrà un peso decisivo nella rivoluzione del 1917, era nato nella città industriale di Ivanovo-Voznessek, anche sé a Pietrogrado raggiunse una grande autorità. Il Soviet divenne ben presto un centro di organizzazione e un potere riconosciuto da parte del movimento operaio e rivoluzionario. La rappresentanza nel soviet era data da un delegato ogni cinquecento lavoratori, vi erano rappresentati anche i partiti che parteciparono alle lotte rivoluzionarie: bolscevichi, menscevichi e socialisti rivoluzionari.
Dopo l’arresto del primo presidente, l’avvocato Chrustalev-Nosar, vicino ai menscevichi, il soviet fu diretto da un comitato di tre persone, tra cui Lev Trotsky, fino al loro arresto avvenuto il 16 dicembre.
Il soviet esercitava un potere alternativo e riconosciuto, stabiliva la data di inizio e cessazione degli scioperi generali, pubblicava appelli e manifesti, gestiva le comunicazioni. Il Soviet di Novorossijnsk si spinse ancora più avanti fino a destituire il governatore locale, nominare funzionari propri e istituire propri tribunali.
Questa “organizzazione del potere, malgrado tutti gli elementi embrionali, disorganizzati e dispersi con i quali essi si costituiscono e funzionano”, come dirà Lenin nel 1906, si diffuse in tutta la Russia: Pietrogrado, Mosca, Rostov, Bakù, Ekaterinoslav, Krostoma, Saratov, Novorossijsk, Samara, Tver, Odessa, Kiev, Krasnojarsk, Irkutsk, Vladivostock e in altre località e centri industriali. Nei soviet della Siberia furono inclusi anche rappresentanti dei soldati.
Dopo la concessione della Costituzione, il 30 ottobre, la borghesia liberale volta le spalle alla rivoluzione e costruisce le sue organizzazioni. L’alta borghesia e settori di aristocrazia si organizza nel Partito ottobrista, che si rifaceva al Manifesto dello zar; la borghesia liberale nel Partito costituzional-democratico (Partito cadetto dalle iniziali KD); viene fiondato anche il partito zarista, Unione del popolo russo. Il governo e l’aristocrazia, sostenute dalle forze liberali, riprendono l’iniziativa. I pogrom, sostenuti dalla polizia, contro gli ebrei e gli operai rivoluzionari riprendono in tutto il paese al canto di inni nazionali, ritratti dello zar e icone.
Il 19 novembre un secondo congresso contadino si riunisce a Mosca, nel programma agrario si chiede la nazionalizzazione della terra e la distribuzione della terra a chi la lavora, la rivendicazione dell’Assemblea costituente e il boicottaggio della Duma. Il movimento agrario era largamente disorganizzato, mentre il destino della rivoluzione si decideva nelle città, Mosca e Pietrogrado. Il movimento operaio espresse il massimo delle sue potenzialità nello sciopero generale di ottobre. Il Comitato esecutivo del soviet di Pietrogrado, il 16 dicembre, mentre discuteva di un altro sciopero generale e della rivolta armata fu preso in arresto e recluso nella sua totalità. Il 19 dicembre lo sciopero proclamato dal soviet di Mosca, dove erano in maggioranza i bolscevichi, evolve rapidamente in insurrezione. Ma a fine dicembre 1905, dopo che il governo schiaccia l’insurrezione di Mosca, il Soviet cessa di esistere in Russia.
Alla sconfitta della Rivoluzione del 1905 seguì un’ondata reazionaria, gli scioperi e le lotte diminuirono, la necessità di difendere il posto di lavoro contro lo spettro della disoccupazione divenne la preoccupazione prevalente degli operai.
Le sollevazioni agrarie del 1905-1906 posero al governo la necessità di intervenire in questo campo, se né occuperà il primo ministro Stolypin. Tra il 1907 e il 1915 venne spezzata la vita comunitaria del villaggio russo, le proprietà comuni vennero divise in proprietà individuale. Il risultato è stato un leggero aumento del numero dei contadini ricchi a fronte di una massa di contadini poveri e senza terra, molti divennero braccianti agricoli altri dovettero emigrare nelle città.
Dopo il 1910 le condizioni dell’industria migliorarono, l’ennesima strage di operai nell’aprile del 1912 ad opera dell’esercito, nella regione della Lena in Siberia, diede vita ad una ondata di scioperi e alla ripresa del movimento operaio.
Nell’agosto del 1914, alla vigilia della guerra imperialista, scioperi di grandi proporzioni scoppiarono a Bakù e a Pietrogrado.
Lenin definì la Rivoluzione del 1905 “la prova generale”. Quello che era successo nel 1905 si sarebbe ripresentato, moltiplicato, nel 1917: gli ammutinamenti nella marina e nell’esercito, le agitazioni operaie, le lotte agrarie per la terra, il malcontento delle minoranze nazionali, l’incapacità della borghesia a conquistare le libertà politiche, ma soprattutto emergerà con forza la forma di organizzazione e di potere del proletariato: il Soviet dei deputati operai e soldati.
Lev Trotsky negli anni 1904-1905 inizia una riflessione sul processo rivoluzionario in Russia giungendo a queste conclusioni: “la rivoluzione comincerà come rivoluzione borghese in quanto ai suoi primi compiti, genererà ben presto conflitti tra le classi ostili e giungerà alla vittoria solo trasferendo il potere all’unica classe capace di rimanere alla testa delle masse oppresse, cioè il proletariato. Una volta al potere, il proletariato non solo non vorrà ma non potrà limitarsi alla realizzazione di un programma democratico borghese. Esso potrà condurre a termine la rivoluzione soltanto se la rivoluzione russa si trasformerà in rivoluzione del proletariato europeo. Così saranno superati sia il programma democratico borghese della rivoluzione sia la sua cornice nazionale; l’egemonia politica temporanea della classe operaia russa si consoliderà in dittatura socialista stabile”. Queste tesi che sintetizzano le prime elaborazioni della teoria della rivoluzione permanente saranno sviluppate nel testo di Trotsky, Bilanci e Prospettive, del 1906. Essa supera la concezione a tappe della rivoluzione nell’epoca dell’imperialismo e la separazione meccanica del programma minimo dal programma massimo propria dell’elaborazione della Seconda internazionale.
Tale concezione “in permanenza” del processo rivoluzionario si ritrova in alcuni scritti di Marx e Engels, e soprattutto nello scritto dell’aprile 1850 “Indirizzo del Comitato Centrale della Lega dei Comunisti” in riferimento alla rivoluzione in Germania.
Agli inizi del 1912 Lenin e la frazione bolscevica considerarono giunto il momento della separazione netta dai menscevichi. La VI conferenza del POSDR del gennaio 1912, nota come conferenza di Praga, approvò una serie di risoluzioni ispirati al bolscevismo.
Una nuova leva di operai bolscevichi maturati politicamente nel periodo della controrivoluzione, dal 1907 al 1911, furono organizzati nel partito. Nella conferenza di Praga fu proposto di fondare la Pravda, divenuto presto l’organo dei bolscevico-leninisti.
La divisione tra bolscevichi e menscevichi, avvenuta all’inizio del secolo, era nello stesso tempo organizzativa e programmatica: mentre i bolscevichi ritenevano che qualsiasi rivendicazione parziale, in grado di migliorare le condizioni immediate dei lavoratori, doveva “essere accompagnata da una agitazione per le rivendicazioni fondamentali”, i menscevichi proponevano un programma di riforme in cui le rivendicazioni fondamentali erano sostituite da rivendicazioni parziali nel quadro di una rivoluzione borghese. Non c’è dubbio che senza la formazione indipendente del partito bolscevico-leninista la rivoluzione russa non avrebbe potuto avere l’esito dell’ottobre 1917.
Quando lo zar Nicola II firmò l’ordine di mobilitazione dell’esercito nel 1914, inconsapevolmente firmava anche la sua condanna a morte e quello del sistema capitalistico.

La guerra imperialista

L’acutizzazione delle contraddizioni tra gli interessi delle maggiori potenze imperialiste doveva portare alla guerra mondiale.
La guerra del 1914 era stata preceduta dalle guerre di rapina coloniali. La spartizione dell’Africa era stata motivo di forti contrasti tra le potenze europee: Inghilterra, Francia e Germania.
L’Inghilterra e la Germania avevano interessi contrastanti in Africa, in Asia minore e nei Balcani. La Russia zarista entrava in contrasto con l’Inghilterra per il controllo dell’Asia centrale. L’Italia si era scontrata con la Turchia nel 1912 per il controllo della Libia. La Cina era oggetto di spartizione tra le maggiori potenze imperialiste.
L’imperialismo tedesco aveva trovato il suo alleato principale nell’Austria-Ungheria. La Francia, che voleva strappare l’Alsazia-Lorena alla Germania, pensava ad un’alleanza con la Russia per il controllo dei Balcani.
La guerra era stata preceduta dalla stipula di trattati segreti: da un lato l’Inghilterra, la Francia e la Russia, a cui si unirono successivamente l’Italia, gli Usa, la Romania, la Grecia e il Portogallo; dall’altro la Germania, l’Austria-Ungheria, la Turchia e la Bulgaria.
L’imperialismo aveva unificato il mondo ed imposto il modo capitalistico di produzione a tutti i paesi dipendenti e la guerra trascinò nella carneficina tutti i continenti.
L’Inghilterra, la Francia, il Belgio, la Russia, l’Italia, la Germania, l’Austria-Ungheria, la Serbia, la Bulgaria, il Montenegro, la Romania, il Giappone, gli Stati Uniti d’America, la Cina e altri paesi coloniali furono trascinati nel vortice del massacro alimentato dallo scontro tra le potenze imperialiste. Tutte le potenze giustificarono la guerra con la difesa della patria e dei propri interessi vitali. La Seconda Internazionale crollò e i partiti socialdemocratici si divisero per linee nazionali sostenendo, in gran parte, i governi delle rispettive nazioni.
In Russia la guerra fu condannata senza riserve dal Partito bolscevico di Lenin e da Trotsky. Altri, il maggior dirigente dei trudoviki (socialisti popolari), A.F. Kerensky, l’anarchico Kropotkin, il menscevico Plechanov assunsero una netta posizione a favore della guerra.
Mentre i bolscevichi adottarono la parola d’ordine di Lenin, “la guerra imperialista deve essere trasformata in guerra civile”, i menscevichi contrari alla guerra adottarono una posizione pacifista, “pace immediata senza annessioni e senza indennità”.
L’ondata di scioperi che si era verificata in Russia nella prima metà del 1914 reflui rapidamente dopo l’inizio del conflitto.
L’urto con la potente Germania porterà ben presto alla disfatta dell’esercito russo. L’offensiva tedesca della primavera del 1915 diede un colpo tremendo al morale e agli effettivi dell’esercito russo, con milioni di morti, di feriti e prigionieri.
La Russia aveva mobilitato durante la guerra quindici milioni e mezzo di uomini, cercando di compensare con materiale umano la carenza di materiale bellico. In tempo di pace l’esercito russo, con il suo corpo di ufficiali proveniente dalla classe dominante, era un baluardo sicuro per lo Stato e il governo. In tempo di guerra la mobilitazione di milioni di contadini, l’integrazione del corpo ufficiali con personale proveniente dalle classi popolari, le disfatte e il crollo del morale rendevano l’esercito meno sicuro per il regime zarista.
Nell’estate del 1915 iniziarono di nuovo gli scioperi, mentre sommosse per mancanza di viveri si verificarono nelle città, Mosca compresa.
Il Partito cadetto era diretto da Miljukov. Questi era cosciente dell’inefficienza dell’apparato burocratico zarista e temeva ancor di più una possibile rivoluzione ancora più profonda di quella del 1905. Dopo l’offensiva contro gli austriaci del 1916 l’esercito russo sprofondava nel fango delle trincee, gli scioperi si moltiplicarono tra gli operai industriali, i contadini vedevano sottrargli i figli mandati a morire al fronte, assieme ai loro cavalli.
La dinastia dei Romanov, completamente putrefatta dall’interno, si trovava sull’orlo di un precipizio, lo zar era incapace di padroneggiare gli eventi, la zarina associava in una sola persona ignoranza e misticismo, arroganza e fanatismo reazionario creando un fossato tra l’autocrazia e le stesse classi dominanti fedeli allo zar.

La Rivoluzione di febbraio

Dopo tre inverni di guerra il malessere operaio e popolare era fortemente cresciuto. Il costo della vita aumentava e la fila davanti ai negozi alimentari durava ore. In gennaio e febbraio c’erano stati diversi scioperi nelle fabbriche di Pietrogrado, qui gli operai industriali avevano raggiunto la cifra di 400 mila, proprio per l’impianto di molte industrie di guerra.
Come scrive Lenin nella prima lettera da lontano, del 7 (20) marzo 1917 “la prima rivoluzione del 1905 aveva rimosso profondamente il terreno, sradicato i pregiudizi secolari, risvegliato alla vita e alla lotta politica milioni d’operai e decine di milioni di contadini, rivelato alle une e alle altre – e al mondo intero- tutte le classi (e tutti i principali partiti) della società russa nella loro vera natura, nei reali rapporti reciproci dei loro interessi, delle loro forze, delle loro capacità d’azione, dei loro scopi immediati e lontani. La prima rivoluzione e il periodo di controrivoluzione che l’ha seguita (1907-1914) hanno messo a nudo tutta l’essenza della monarchia zarista…Senza la rivoluzione del 1905-1907, senza la controrivoluzione del 1907-1914, un’autodeterminazione così precisa di tutte le classi del popolo russo e di tutti i popoli che abitano la Russia, la determinazione dell’atteggiamento di queste classi le une verso le altre e verso la monarchia zarista, che si è rivelata negli otto giorni della rivoluzione di febbraio-marzo 1917, sarebbe stata impossibile”. L’avanguardia della classe operaia aveva compreso le illusioni costituzionali dei liberali e dei menscevichi e ripensato ai rapporti con l’esercito, costituito dopo la guerra da una nuova generazione di contadini.
Il movimento rivoluzionario che avrebbe portato alla caduta della dinastia dei Romanov, i cui prodromi saranno le manifestazioni per la ricorrenza della “domenica di sangue” del 9 (22) gennaio e lo sciopero del 18 febbraio (3 marzo) degli operai delle officine Putilov, esplose tra il 23 e il 27 febbraio (8-12 marzo).
Proprio nella “Giornata internazionale della donna” le operaie dopo le assemblee nelle fabbriche uscirono nelle strade formando cortei di donne, particolarmente nel quartiere operaio di Vyborg, al grido “Pane!”, a questa parola d’ordine se ne aggiunsero presto altre: “Pace subito!”, “Abbasso lo zar!”, “Abbasso la guerra !”. Alcune delegate delle fabbriche tessili furono inviate alle industrie metallurgiche per invitare gli operai a sostenere lo sciopero.
Nello stesso momento la direzione delle officine metallurgiche Putilov risponde con la serrata alle richieste salariali dei lavoratori: oltre 20 mila operai con una forte tradizione di lotta entrarono in azione. Dal settore tessile lo sciopero si estese a tutte le fabbriche della città, quasi 90 mila operai avevano interrotto il lavoro e oltre 50 fabbriche erano chiuse.
Il giorno dopo il 24 febbraio (9 marzo) il movimento crebbe in estensione e intensità, gli scioperanti raggiunsero la cifra di quasi 240 mila operai, che ben presto ricevettero il sostegno dei lavoratori dei trasporti e del commercio, così come degli studenti.
La polizia controllava i ponti sulla Nevà, che costituiva il confine tra i quartieri operai e i centri del potere politico, ma il fiume ghiacciato si attraversava facilmente e i dimostranti poterono facilmente raggiungere il centro.
A differenza della polizia che si scontrava militarmente con le masse in lotta, le truppe cosacche apparsero subito scarsamente motivate ad attaccare i manifestanti. Gli stessi dirigenti della lotta cercarono subito di conquistare le truppe alla causa dei lavoratori.
Aleksandr Kerensky, esponente del partito dei Trudovichi (socialisti popolari), in quei giorni di ascesa rivoluzionaria chiese al governo un ministero responsabile verso la Duma.
Il 25 febbraio (10 marzo) lo sciopero divenne generale, il generale Chabalov, comandante della guarnigione di Pietrogrado, ricevette un telegramma dallo zar con l’ordine di liquidare i disordini. I manifestanti furono dispersi con le armi.
Nella notte la polizia dava seguito ad una retata, arrestando tra gli altri cinque membri del Partito bolscevico di Pietrogrado.
Il 26 febbraio (11 marzo) il reggimento Volynsky sembrava riportare, con le armi, l’ordine zarista nelle piazze. Il governo, di cui era primo ministro Golicyn, prende la decisione di sospendere la Duma. Il 27 febbraio (12 marzo) proprio i soldati del reggimento Volynsky, utilizzati nella repressione del giorno prima, si ammutinano, a loro si unirono i soldati dei reggimenti Preobranzensky e Litovsky. Raggiunti i lavoratori del quartiere Vyborg congiuntamente attaccano le forze di polizia e fanno irruzione negli arsenali militari.
Mentre gli ufficiali si dileguavano, i sergenti e i caporali assumevano il comando della truppa. Venivano aperte le carceri e i detenuti politici, tra cui i membri del comitato dei bolscevichi di Pietrogrado, guadagnavano la libertà. Il generale Chabalov si rifugiava prima nel Palazzo d’Inverno e poi, assieme alla famiglia reale, nell’Ammiragliato, da dove si dileguarono.
Gli operai e i soldati avevano rovesciato la dinastia dei Romanov che durava da tre secoli, avevano lottato duramente per la pace, la terra, il pane, la libertà, ma il potere era stato preso da un’altra classe: la borghesia, a cui si erano uniti i proprietari fondiari, legata al capitale anglo-francese. Questa classe reggeva economicamente il paese e si era impadronita delle amministrazioni locali e della Duma, crollato lo zarismo ha “facilmente” costituito un governo di coalizione nazionale. Un governo provvisorio che non poteva e non voleva risolvere i problemi che avevano spinto gli operai, i soldati e i contadini alla rivoluzione.
La Duma, dopo essere stata sospesa, esitava sul da farsi, ma temeva soprattutto la rivoluzione. I deputati dettero incarico al consiglio degli anziani di nominare un comitato provvisorio, che includeva tutti i partiti escluso il Partito bolscevico, i cui deputati erano esiliati in Siberia.
Nel contempo gli operai di Pietrogrado non si erano dimenticati di quell’organismo di democrazia proletaria, il Soviet, sorto nel corso della rivoluzione del 1905. Un’altra forza, alternativa alla Duma, sorgeva pertanto nelle fabbriche e nei reparti militari: il Soviet degli operai e dei soldati.
Nel pomeriggio del 27 febbraio (12 marzo) i membri del gruppo operaio del Comitato dell’industria di guerra, liberati dal carcere, si costituirono in Comitato esecutivo provvisorio dei rappresentanti degli operai e indissero una seduta del Soviet nel Palazzo di Tauride, sede della Duma, per quella stessa sera. Circa 250 delegati di fabbrica e di reggimento presenziarono a quella seduta, decidendo di fondere la rappresentanza degli operai e quella dei soldati creando un unico organismo di democrazia proletaria: il Soviet dei deputati operai e soldati.
Esso iniziò ad assumere immediatamente alcune funzioni di potere: è stata costituita una commissione per regolare gli approvvigionamenti, organizzata una milizia operaia in sostituzione della polizia, autorizzata la pubblicazione della stampa e l’organizzazione dei sindacati.
Le sale del Palazzo di Tauride vedevano nel contempo riuniti due poteri, da un lato il governo provvisorio e la Duma borghese e dall’altro il potenziale governo del Soviet dei deputati operai e soldati: era l’inizio della fase del dualismo dei poteri.
Il Comitato esecutivo del soviet era costituito all’inizio da 15 membri, a questi si aggiungeranno nove rappresentanti dei soldati e successivamente i rappresentanti dei partiti usciti dalle prigioni, oppure ritornati dall’esilio.
Le figure dominanti del Soviet all’inizio furono esponenti radicali tra cui l’avvocato Sokolov, i giornalisti Steklov e Suchanov, il presidente Ceidze era un deputato del Partito menscevico e maestro di scuola.
Si distinguevano tre componenti nel comitato esecutivo: gli esponenti bolscevichi, che raggruppavano una esigua minoranza e proponevano un governo provvisorio rivoluzionario fino all’elezione di una Assemblea costituente; un’altra componente, anch’essa minoritaria che proponeva un governo di coalizione con rappresentanti dei partiti borghesi (cadetti); la componente maggioritaria era costituita dai partiti riformisti del movimento operaio espressione della maggioranza della II Internazionale (menscevichi, socialisti rivoluzionari), questi ritenevano che la rivoluzione era borghese e che pertanto i socialisti non dovevano partecipare al governo provvisorio né il Soviet doveva prendere il potere, ma doveva dare un appoggio critico al governo.
Il 28 febbraio (13 marzo) la rivoluzione scoppia a Mosca con esiti analoghi di quelli di Pietrogrado, quindi si affermava in tutto il paese senza incidenti di rilievo a parte nei centri navali di Kronstadt e Helsingfors. I diversi tentativi di inviare truppe dal fronte a Pietrogrado si risolveva con l’ammutinamento dei soldati e il loro passaggio nel campo della rivoluzione.
Il comitato provvisorio della Duma a partire dal 2 marzo (15 marzo) si struttura costituendo il primo governo provvisorio, presieduto dal liberale conte Lvov, gran parte dei ministri sono esponenti della grande proprietà terriera e della grande borghesia appartenenti al Partito cadetto. Il giorno prima il Soviet aveva emesso l’ordine n° 1 che avrebbe avuto un effetto decisivo nell’indebolire la catena di comando dell’esercito: veniva sancita l’elezione dei comitati in tutte le compagnie, battaglioni e altre unità navali e militari; il soviet aveva il controllo di tutte le armi; gli ordini della commissione militare della Duma dovevano essere sottoposti al soviet. Quando l’ordine n° 1 fu pubblicato nell’organo del soviet, Izvestya (notizie), il prestigio del soviet si accrebbe enormemente tra i soldati.
Intanto la trattativa tra la Duma, rappresentata da Miljukov, dirigente del Partito cadetto che era divenuto il maggior partito della borghesia, e il Comitato esecutivo del soviet perveniva ad un accordo di massima sul terreno delle liberta democratiche e per la preparazione, mediante elezioni generali, dell’Assemblea costituente. Questa avrebbe stabilito la forma del governo e promulgata la Costituzione. Mancava ogni riferimento preciso rispetto alla data delle elezioni così come rispetto alla questione agraria e alla guerra.
Nel contempo i più alti comandanti militari e i massimi esponenti del Partito cadetto, divenuto nel frattempo repubblicano, facevano sforzi disperati per salvare la monarchia anche in senso parlamentare e costituzionale. Lo zar veniva indotto all’abdicazione a favore del fratello Michail. Ma questi temendo per la sua vita non accettò.
Il governo provvisorio otterrà il sostegno critico del Soviet, d’altra parte i partiti borghesi erano coscienti del ruolo avuto dagli operai e dai soldati nella rivoluzione e per assicurarsi il loro controllo vollero inserire alcuni esponenti del Soviet nel governo. Pertanto offrirono il posto di ministro del lavoro a Ceidze e di ministro della giustizia a Kerensky, ma il Comitato esecutivo del soviet a maggioranza (tredici a otto) vota contro la partecipazione al governo. Ceidze ha accettato questa decisione, mentre Kerensky, vicepresidente del soviet di Pietrogrado, accettò l’incarico. Veniva inoltre istituita da parte della maggioranza del soviet, socialisti rivoluzionari e menscevichi, una commissione di contatto per assicurare il collegamento con il governo.
La Rivoluzione di febbraio, scrive Trotsky nella Storia della Rivoluzione russa, è stata guidata dagli “operai coscienti, temprati ed educati principalmente dal partito di Lenin. Ma subito dopo dobbiamo aggiungere: questa guida apparve sufficiente per assicurare la vittoria dell’insurrezione, ma non bastò per assicurare all’avanguardia proletaria la parte direttiva della rivoluzione”. La verifica storica aveva ancora una volta dimostrato come “senza una organizzazione direttiva l’energia delle masse si disperderebbe come il vapore”, infatti proprio per la debolezza del Partito bolscevico, i cui maggiori dirigenti erano in esilio o in galera, l’insufficiente coscienza e la debole organizzazione del proletariato e dei contadini, il processo rivoluzionario è stato interrotto dalla borghesia.

Il dualismo del potere


Come scrive Lenin sulla Pravda il 9 (22) aprile 1917 “Il problema fondamentale di tutte le rivoluzioni è quello del potere dello Stato…. L’originalità più rimarchevole della nostra rivoluzione consiste nel fatto che essa ha creato un dualismo del potere..”. Una situazione che nel progetto di piattaforma del Partito del proletariato del 10 (23) aprile 1917 “I compiti del proletariato nella nostra rivoluzione” è da Lenin così descritta: “Questo dualismo del potere si manifesta nell’esistenza di due governi: l’uno è il governo principale, il vero effettivo governo della borghesia, il governo provvisorio, di Lvov e consorti, che tiene nelle sue mani tutti gli organi del potere; l’altro, è il governo supplementare, collaterale, di controllo, rappresentato dal Soviet dei deputati operai e soldati di Pietrogrado, che non ha nelle sue mani gli organi del potere statale, ma che s’appoggia direttamente sulla maggioranza incontestabile del popolo, sugli operai in armi e i soldati….Un’altra particolarità importantissima della rivoluzione russa è che il Soviet dei deputati operai e soldati di Pietrogrado, che gode, secondo tutti gli indizi, la fiducia della maggioranza dei Soviet locali, cede volontariamente il potere statale alla borghesia e al suo governo provvisorio, cede volontariamente a quest’ultimo la priorità, concludendo con esso un accordo per sostenerlo, limitandosi ad una funzione di osservazione e di controllo sulla convocazione della Costituente….Non c’è il minimo dubbio che questa combinazione non può durare lungamente. Non vi possono essere due poteri in uno stato. L’uno dei due deve cadere nel nulla, e tutta la borghesia della Russia lavora già, con tutte le sue forze, con tutti i mezzi, e ovunque, per mettere da parte, indebolire, e ridurre al nulla i Soviet dei deputati operai e soldati, per creare il suo proprio unico potere. Il dualismo del potere non riflette che il periodo transitorio dello sviluppo della rivoluzione, in cui essa ha oltrepassato lo stadio democratico borghese ordinario, ma non è ancora sino alla pura dittatura del proletariato e dei contadini”.
Il governo provvisorio, diretto dal principe Lvov, poteva contare sulla polizia, ma questa era fortemente screditata per il ruolo avuto durante il regime zarista, sull’apparato burocratico statuale, sulla gerarchia militare, ma non poteva contare interamente sulla truppa, in particolare la guarnigione di Pietrogrado, che aveva partecipato all’insurrezione e soprattutto non voleva continuare la guerra.
Dal punto di vista del governo provvisorio la continuazione della guerra, al fianco degli alleati, era necessaria sia in quanto fattore di arricchimento per la borghesia sia per realizzare le mire di conquista territoriali stabilite dai trattati segreti con gli alleati.
Il Soviet dei deputati operai e soldati controllava le ferrovie, i servizi postali, il telegrafo. Sotto la spinta propulsiva della Rivoluzione di febbraio si costituirono Soviet degli operai, dei soldati e dei contadini in tutto il paese. La strutturazione dei Soviet provinciali segue il modello del Soviet di Pietrogrado, benché la composizione politica variasse territorialmente, la maggioranza era detenuta dai partiti riformisti (menscevichi, socialisti rivoluzionari), solo a settembre 1917 il Partito bolscevico conquisterà la maggioranza nei soviet.
Il processo di strutturazione del soviet di Pietrogrado, dopo la fase convulsa delle giornate di febbraio-marzo, si perfeziona stabilendo la regola di nominare un rappresentante per ogni duemila elettori, costituiti da operai e soldati. A fine marzo oltre al Comitato esecutivo venne nominato un Ufficio di presidenza costituito da ventiquattro membri. Gli operai, i soldati e i contadini vedevano nel Soviet il proprio organo istituzionale a cui indirizzavano le loro richieste.
Agli inizi di aprile alla Conferenza panrussa dei soviet dei deputati operai e soldati partecipano 480 delegati, 138 dei consigli locali e 46 dell’esercito. La Conferenza delibera l’appoggio al governo e alla guerra, seppur secondo la tesi “difensista” di Cereteli. Al ritorno dall’esilio Irakly Cereteli, deputato menscevico della seconda Duma, assume la presidenza del Comitato esecutivo del soviet dandogli un indirizzo preciso: continuare la guerra con l’obiettivo di raggiungere “una pace democratica” e appoggio condizionato al governo provvisorio.
Kamenev, a nome del Partito bolscevico, si espresse contro la continuazione della guerra imperialista. L’ordine del giorno sulla guerra di Cereteli ottenne 325 voti, quello di Kamenev 57 voti e 20 furono le astensioni. Sulla questione del governo i bolscevichi, guidati da Kamenev, sostennero l’ordine del giorno di Steklov di sostegno critico al governo. La Conferenza decise anche l’integrazione di rappresentanti dei Soviet provinciali, divenendo sempre più un organo panrusso. I menscevichi e i socialisti rivoluzionari, maggioritari nei soviet, ben presto passarono dal sostegno critico al governo alla partecipazione diretta, a partire dal maggio 1917.
Nel contempo altri Soviet, tra cui quelli di Kronstadt, di Krasnojarsk, di Caricyn, di Ivanovo-voznasensk assumevano posizioni più avanzate sul terreno del potere dei lavoratori.

Cresce la coscienza e l’organizzazione delle masse

Il movimento operaio tra il febbraio e l’ottobre attraversa diverse fasi di mobilitazione, dalle rivendicazioni immediate a quelle transitorie: dalla richiesta di aumenti salariali, falciati dall’inflazione, alla rivendicazione della riduzione dell’orario di lavoro; dalla richiesta delle ferie pagate alla rivendicazione della licenza per la maternità delle operaie; dalla rivendicazione del controllo sulle assunzioni e sui licenziamenti si passa alla rivendicazione del controllo operaio sulle fabbriche, per porre infine la questione della loro espropriazione e la questione del potere ai soviet.
Dopo la Rivoluzione di febbraio, il movimento sindacale si diffuse in tutto il paese. Un congresso sindacale pan-russo tenuto a Pietrogrado nel luglio dichiara 1.475.429 iscritti, che salgono a 2.252.600 a fine anno. A Pietrogrado si passa da 200 mila a 450 mila iscritti a ottobre. Nessun partito domina in quel congresso, il Consiglio pan-russo dei sindacati comprendeva bolscevichi, menscevichi e socialisti rivoluzionari. Il punto di forza del Partito bolscevico erano i consigli di fabbrica eletti direttamente dai lavoratori, il primo congresso dei consigli di fabbrica, tenuto a Pietrogrado nel giugno 1917 assunse il programma del Partito bolscevico. La Rivoluzione del 1905 era stata segnata sul terreno politico sindacale dalla sconfitta della richiesta delle otto ore di lavoro, nella primavera del 1917 le otto ore furono imposte agli industriali. In agosto, dopo le giornate di luglio, nel corso del tentativo di colpo di stato da parte del generale Kornilov i sindacati, dai ferrovieri ai telegrafisti, dagli autisti ai tipografi, contribuirono con il sabotaggio alla sconfitta del pronunciamento militare. Ad ottobre più della metà dei sindacati passarono con i bolscevichi e collaborarono all’insurrezione. La sede dei sindacati di Pietrogrado è stato il quartiere generale del Comitato militare rivoluzionario che guidò l’insurrezione, lo stesso avvenne a Mosca. Nel complesso solo il sindacato dei tipografi si mantenne stabilmente nel corso dell’anno sotto l’influenza dei menscevichi.
Durante la guerra erano stati chiamati alle armi circa 15 milioni e mezzo di persone, in gran parte contadini. Dopo la Rivoluzione di febbraio fino all’autunno, come conseguenza delle diserzioni, le forze armate mobilitavano appena sei milioni di uomini. Questa massa di contadini soldato disertando ritornavano nei villaggi dando un formidabile impulso alla rivoluzione agraria.
L’ammutinamento dell’esercito e la rivolta con occupazione della proprietà terriera da parte dei contadini seguiva, pur all’interno di fasi diverse, un andamento cronologico parallelo.
Nel momento in cui il soldato rifiuta il saluto al suo capitano e disubbidisce agli ordini, il contadino povero nei villaggi si rifiuta di pagare i canoni, taglia la legna e pascola il bestiame nei campi del padrone senza permesso, quando il soldato uccide l’ufficiale e deserta, i contadini poveri ammazzano i proprietari terrieri e saccheggiano le case padronali.
Dopo la Rivoluzione di febbraio si costituì una estesa rete di comitati (di compagnia, di reggimento, di armata, di fronte) legittimati dall’ordine n°1 del Soviet e la Dichiarazione dei diritti dei soldati. In alcuni casi i comitati comprendevano soldati e ufficiali, in altri erano separati. Il potere degli ufficiali nell’esercito era fortemente limitato da un lato dai comitati eletti dei soldati e dall’altro dai commissari nominati dal governo provvisorio, in collaborazione con il Vcik (Comitato esecutivo centrale panrusso dei soviet). La maggioranza politica all’interno dei comitati dei soldati era in gran parte in mano ai socialisti rivoluzionari. La guarnigione di Pietrogrado aveva ottenuto l’esenzione dal servizio al fronte. I soldati non solo non volevano andare al fronte, ma volevano ritornare nelle loro case ad occupare le terre. L’esercito russo subirà nel corso dell’anno una erosione crescente, non solo dalla richiesta di “pace e terra” da parte dei contadini soldato, ma anche per la forza centrifuga esercitata dalle nazionalità oppresse (polacchi, ucraini, armeni, georgiani) che rivendicavano un esercito nazionale. Il Partito bolscevico darà una grande importanza alla questione della conquista dei soldati, in quanto fattore decisivo per la vittoria della rivoluzione socialista. L’incarico della propaganda nell’esercito, finalizzata alla conquista dell’egemonia tra i soldati, era affidato all’Organizzazione militare del Partito bolscevico, questa pubblicava anche un giornale “la verità del soldato”. Nel mese di luglio l’Organizzazione militare contava 26 mila membri, divisi in 43 al fronte e 17 in zona territoriale, essa svolse un ruolo fondamentale nella rivoluzione. Dopo il tentativo di colpo di stato di Kornilov l’autorità degli ufficiali fu distrutta. I primi a passare sotto l’influenza bolscevica furono i marinai della flotta del Baltico e poi del Mar Nero
Nel contempo e sempre più il vento rivoluzionario spazzava le campagne, i contadini poveri e i braccianti occupavano le terre dei grandi proprietari terrieri, i commissari nominati dal governo, in sostituzione dei governatori zaristi, dovevano fare i conti con soviet delle borgate e dei villaggi.
Al Congresso panrusso dei soviet dei deputati contadini, riunito a Pietrogrado nel mese di maggio, il Partito socialista rivoluzionario risultava essere l’organizzazione dominante. Su 1115 delegati, i socialisti rivoluzionari contavano 537 delegati, mentre i bolscevichi erano 14, e pertanto predominavano anche nel Comitato esecutivo. Al congresso venne votato un mandato ai comitati agricoli, stabilito in base ai 242 mandati dei soviet locali dei deputati contadini. Questo documento, dei socialisti rivoluzionari, sarà alla base del Decreto sulla terra approvato al II Congresso panrusso dei Soviet dei deputati operai e soldati del 25-26 ottobre (7-8 novembre) 1917, dopo la vittoria dell’insurrezione. Il testo propone l’esproprio, senza indennità, e l’abolizione della proprietà privata della terra che viene affidata in uso a chi la lavora, vietando nel contempo il lavoro salariato. Il Comitato esecutivo, uscito dal Congresso panrusso dei soviet dei deputati contadini, sosterrà il governo provvisorio, ma proprio i ministri socialisti rivoluzionari proponevano di aspettare la convocazione dell’Assemblea costituente per risolvere la questione agraria, mentre il Partito dei cadetti, espressione della borghesia e dei proprietari terrieri, era assolutamente contrario ad ogni ipotesi di riforma agraria.
Dopo i fatti di luglio il governo provvisorio reprimerà i moti contadini, il menscevico Cereteli, ministro degli Interni, invierà una circolare alle autorità provinciali in cui chiede di “reprimere con la massima risolutezza….occupazioni arbitrarie di dimore e fondi rurali”.
Nell’autunno l’onda della rivoluzione agraria sarà irresistibile, travolgendo la borghesia terriera, la nobiltà terriera e il clero. I soldati ritornati nei villaggi partecipavano al movimento e vi portavano le parole d’ordine bolsceviche. Nel solo mese di ottobre si verifica il 42% di occupazioni di terre e saccheggi di case padronali registrate negli otto mesi che seguirono la caduta dello zar.
Le nazionalità oppresse erano attraversate da correnti che rivendicavano una ampia autonomia, se non la secessione.

La lotta contro il governo e per l’egemonia nel proletariato

Prima dell’arrivo di Lenin dall’esilio, la direzione del Partito bolscevico era stata assunta da Lev Kamenev, della direzione del giornale, da Josef Stalin, del Comitato centrale, da Muranov, deputato della Duma. La loro posizione era di sostegno critico al governo provvisorio, sotto molti aspetti una posizione simile ai menscevichi, con cui Stalin ipotizzava una possibile fusione.
Lenin, assieme alla moglie Krupskaja e a Zinov’ev, raggiungerà la Russia in un carro piombato il 3 (16) aprile. Appena sceso alla stazione di Pietrogrado viene salutato, a nome del Soviet, da Ceidze che rivolgendosi a Lenin le propone una unione tra le forze democratiche. Lenin dall’alto di un carro armato davanti ad un uditorio di marinai, soldati e operai nega ogni sostegno al governo provvisorio e indica la strada dell’opposizione e della rivoluzione socialista. Ecco in sintesi le sue parole: “Sono lieto di salutare in voi la rivoluzione russa…La guerra imperialista dei briganti è l’inizio della guerra civile in tutta Europa…Da un giorno all’altro l’imperialismo europeo può crollare. La rivoluzione russa che voi avete effettuato ha messo le basi per raggiungere questo scopo ed ha aperto una nuova epoca. Evviva la rivoluzione socialista mondiale!”.
Dalla stazione egli si reca al quartiere generale dei bolscevichi ed inizia la lotta contro la politica oscillatoria ed opportunista di Kamenev e Stalin, propone il cambio del nome del partito in quello di comunista; lancia la rivendicazione di tutto il potere ai Soviet; propone di lottare per la rivoluzione socialista mondiale. Il giorno dopo ripropose queste indicazioni ad una assemblea di delegati bolscevichi e menscevichi al palazzo di Teuride, sede del Soviet. Queste proposte trovano una precisa forma nel testo “Sui compiti del proletariato nella rivoluzione attuale”, noto come le “Tesi di aprile”, scritto tra il 3 e 4 aprile, e pubblicato sulla Pravda il 7 (20) aprile, dove Lenin riposiziona il Partito bolscevico in netta opposizione al governo di collaborazione di classe; contrappone alla repubblica borghese l’alternativa della repubblica dei Soviet degli operai, dei soldati, dei contadini poveri; pone con forza la necessità di fermare la guerra imperialista attraverso la conquista del potere da parte dei soviet; chiede la confisca dei beni e della terra dei grandi proprietari terrieri; propone la costituzione di un'unica banca nazionale; di pagare i funzionari in misura non superiore ad un operaio specializzato; sostiene il diritto all’autodeterminazione dei popoli; pone la questione della fondazione dell’Internazionale rivoluzionaria, la III Internazionale. Nella Conferenza del Partito bolscevico, previsto per il 20 aprile (3 maggio) a Pietrogrado, Lenin ribadìsce questi principi e nega ogni ipotesi di unificazione con i menscevichi. Le tesi di Lenin prevalgono nel Partito bolscevico dopo una dura battaglia, poteva quindi iniziare la lotta per il potere proletario in Russia e per la rivoluzione socialista mondiale.
La prima crisi del governo provvisorio si verifica proprio sul terreno della continuazione della guerra imperialista. Il 17 aprile (primo maggio) il ministro degli Esteri Miljukov aveva inviato ai governi delle potenze alleate una nota in cui assicurava la determinazione della Russia a continuare la guerra in pieno accordo con gli alleati.
Appena diffusasi la notizia, un’ondata di disapprovazione si estese tra gli operai e tra i soldati. Il pomeriggio del 20 aprile (3 maggio) il reggimento Finljandsky si mosse verso il palazzo Mariinsky, sede del governo, per arrestare i ministri, nel contempo manifestazioni di operai, soldati e marinai chiedevano le dimissioni di Miljukov. I dirigenti dei partiti menscevico e socialista rivoluzionario, maggioritari nel soviet, operarono perché una nuova nota, all’insegna del difensivismo, fosse inviata dal ministro degli Esteri ai governi alleati e nel contempo continuarono ad assicurare il loro sostegno al governo.
Il 21 aprile (4 maggio) si verificarono scontri armati tra operai e sostenitori del Partito cadetto. Il generale Kornilov, avuto notizia che colonne operaie marciavano verso il centro della città di Pietrogrado con scritte “Abbasso il governo provvisorio”, “Abbasso la guerra” dette ordine ad alcuni reparti militari di prendere posizione davanti il Palazzo d’Inverno. Ma, a dimostrazione del dualismo dei poteri, i soldati chiesero istruzioni al Soviet. Questo emanò un ordine secondo il quale nessun reparto poteva uscire dalle caserme, fuori dalle ordinarie sfilate, senza istruzioni firmate. Kornilov fu costretto a ritirare la disposizione militare e chiese di essere esonerato dal comando, ottenendo un nuovo incarico di comandante di una delle armate nel fronte sudoccidentale.
La crisi evidenziava la crescente disillusione degli operai e dei soldati rispetto al governo provvisorio. Ne seguì un rimpasto di governo, Miljukov usciva dal governo ed entravano sei ministri socialisti, due socialisti rivoluzionari, oltre a Kerensky passato al Partito socialista rivoluzionario, e tre menscevichi. Accanto ad essi dieci ministri cadetti. Kerensky assumeva l’incarico di ministro della Guerra e sempre più la figura politica dominante nel governo.
Sempre più il governo provvisorio assumeva i caratteri del governo di collaborazione di classe mirante a bloccare la crisi pre-rivoluzionaria. I ministri socialisti e i loro partiti, come si verificherà in seguito in altri Paesi, avevano il compito di frenare le lotte operaie, dei soldati, dei braccianti agricoli e dei contadini poveri, ma il governo provvisorio non poteva risolvere nessuno dei problemi che attanagliavano la vita delle masse, mentre cresceva l’influenza del Partito bolscevico.
La guerra determinava una crescente inflazione mentre i generi di prima necessità scarseggiavano, gli operai chiedevano aumenti salariali coinvolgendo nella lotta strati più arretrati della classe come i portieri, lavandaie e cameriere. Il conflitto si estendeva dalle miniere del bacino del Donec alle ferrovie.
La rivendicazione del “controllo operaio”, avanzata dal Partito bolscevico veniva assunta a giugno da una risoluzione del Soviet che raccomandava agli operai di “creare nelle imprese industriali, commissioni di controllo non solo sullo svolgimento del lavoro nell’impresa, ma su tutto il funzionamento finanziario dell’impresa stessa”. Nel contempo la sinistra di governo, nella persona del ministro del lavoro Skobelev, faceva appello ai lavoratori perché riducessero le loro rivendicazioni salariali e aumentassero la produttività. Dopo il riorientamento, successivo alla venuta di Lenin, il Partito bolscevico aveva fortemente accresciuto la sua influenza nella classe operaia di Pietrogrado. Questa influenza si evidenziava nella risoluzione degli operai metallurgici della fabbrica Parviainen che chiedeva le dimissioni del governo, la cessazione della guerra, l’organizzazione della guardia rossa, la confisca di tutte le terre dai proprietari terrieri da parte dei soviet dei braccianti e dei contadini poveri, la requisizione di tutti i prodotti alimentari per i bisogni delle masse e l’istituzione di prezzi fissi. A fine aprile al Congresso dei comitati di fabbrica di Pietrogrado, i bolscevichi conquistano la maggioranza (421 contro 335 voti) dei delegati operai sulla base delle parole d’ordine “giornata di otto ore senza condizioni” e “controllo operaio”. A giugno la sezione degli operai del soviet di Pietrogrado vota una risoluzione, con 173 voti a favore e 144 contrari, in cui faceva propria la parola d’ordine bolscevica “Tutto il potere ai Soviet”. Poche settimane dopo un’elezione amministrativa nel quartiere operaio di Vyborg dava ai bolscevichi la maggioranza.
Nel contempo i menscevichi e i socialisti rivoluzionari mantenevano la maggioranza tra i soldati, ma anche tra questi era in crescita l’influenza dei bolscevichi.
Le forze bolsceviche si accrebbero notevolmente con il rientro in Russia di Lev Trotsky, il 4 (17) maggio, uno dei massimi dirigenti rivoluzionari del 1905. Trotsky era destinato a rappresentare nella Rivoluzione una parte seconda soltanto a quella di Lenin. I due dirigenti rivoluzionari erano pervenuti alle stesse concezioni politico programmatiche e politico organizzative. Nel suo primo intervento pubblico Trotsky si espresse con queste parole “Tutto il potere ai Soviet; nessun appoggio al governo provvisorio”. Trotsky lavora fin dal rientro con il Partito bolscevico, nel quale a luglio confluisce formalmente con la sua organizzazione Mezrajoncy (Comitati interdistrettuali).
Nel congresso del Partito bolscevico, in agosto dopo l’unificazione, Trotsky ebbe una delle più alte votazioni nella elezione dei candidati al Comitato Centrale.
Nel mese di giugno, il movimento autonomista delle nazioni oppresse si rafforza: la Dieta di Finlandia votava un progetto di legge in cui richiedeva una vasta autonomia, mentre la Rada di Ucraina spingeva verso l’indipendenza.
Il 3 giugno (16 giugno) si riunì il Primo Congresso panrusso dei soviet dei deputati operai e soldati, 1090 delegati, di cui 822 regolarmente eletti e con diritto di voto, rappresentavano circa 20 milioni di persone. I bolscevichi erano ancora in minoranza su 777 che dichiararono la loro appartenenza ad un partito: i socialisti rivoluzionari erano 285, i menscevichi 248, i socialisti senza partito 73, i bolscevichi 105, i menscevichi internazionalisti 32. Il Congresso si pronunciò per la fiducia al governo provvisorio, dopo aver respinto una mozione bolscevica che chiedeva il passaggio del potere ai soviet. Inoltre prese la decisione che le riunioni si sarebbero tenute ogni tre mesi e per l’espletamento dell’ordinaria amministrazione fu creato un organo centrale, il Vcik (Comitato esecutivo centrale panrusso), le cui decisioni erano vincolanti per tutti i soviet.
Il Comitato esecutivo, un vero controgoverno, sarà costituito da 104 menscevichi, 100 socialisti rivoluzionari, 35 bolscevichi e 18 socialisti di altre tendenze. Poco dopo il Congresso panrusso dei contadini, che si era riunito separatamente e dove i socialisti rivoluzionari tenevano una maggioranza schiacciante, si riunisce assieme al Comitato esecutivo (Vcik). Un quadro che dimostra come fuori da Pietrogrado, nelle armate e nelle province, la svolta verso il Partito bolscevico era più lenta a realizzarsi.
Il Comitato esecutivo panrusso dei soviet (Vcik) proprio per mantenere il controllo della classe operaia autorizza una manifestazione per il 18 giugno (1 luglio) a Pietrogrado. Questa si trasforma in una manifestazione contro il governo e contro la guerra, dove la parola d’ordine prevalente è quella bolscevica “Tutto il potere ai Soviet”. Nello steso giorno, il ministro della guerra Kerensky, mandava un telegramma al principe Lvov annunciando che l’esercito aveva iniziato l’offensiva. Questa nelle intenzioni di Kerensky doveva dimostrare agli alleati la volontà russa di continuare la guerra, e nel contempo salvare l’esercito e con esso lo stato borghese dalla catastrofe. Ma l’offensiva era destinata all’insuccesso di fronte alla controffensiva tedesca.

Tra reazione e rivoluzione

Il movimento rivoluzionario nel paese non procedeva in linea retta, presentava un sviluppo diseguale nelle varie province e tra i diversi settori della società benché nel complesso nei primi cinque mesi si era manifestato un costante approfondimento della rivoluzione.
I reparti militari e le fabbriche di Pietrogrado costituivano la parte più avanzata del movimento rivoluzionario russo.
Il primo reggimento mitraglieri riunitosi il 21 giugno (4 luglio) in assemblea decise di lasciare partire per il fronte soltanto dieci distaccamenti a fronte dei trenta richiesti dall’autorità militare, mentre nel contempo metteva in guardia il governo da tentativi di repressione.
Il 23 giugno (6 luglio) i rappresentanti di 73 fabbriche e altre organizzazioni operaie si riunirono nelle officine Putilov e decisero di iniziare una agitazione sulla base di rivendicazioni immediate (aumenti salariali a fronte di una inflazione che falciava il potere d’acquisto) e transitorie (controllo operaio delle fabbriche e passaggio di tutto il potere ai Soviet).
Il malcontento cresceva anche tra i soldati che dopo essere stati mandati in licenza per seminare il grano si vedevano chiamati in trincea per la nuova offensiva.
A fronte della crisi sociale il Partito dei cadetti il 2 luglio (15 luglio) provoca la crisi del governo provvisorio chiedendo di riportare la disciplina tra i soldati e gli operai.
Il 3-4 (16-17) luglio, “le giornate di luglio”, la collera delle masse porta ad imponenti manifestazioni armate. Gli operai e i soldati chiedono al Vcik (Comitato esecutivo panrusso dei soviet) di assumere tutto il potere, di rompere con il governo provvisorio e i partiti borghesi. L’iniziativa della sollevazione veniva presa dal reggimento mitraglieri, l’Organizzazione militare del Partito bolscevico cerca di frenare un movimento insurrezionale prematuro, non sufficientemente preparato ed organizzato nel Paese: senza successo.
Ai mitraglieri si unisce il reggimento Moskovsky, i granatieri e il 180° fanteria, anche gli operai escono dalle fabbriche al grido “tutto il potere ai soviet”.
Il Partito bolscevico partecipa al movimento indirizzandolo verso il Palazzo di Tauride, sede del Vcik e del Comitato esecutivo del soviet di Pietrogrado, dove presentare le loro rivendicazioni. I bolscevichi avevano fatto approvare dalla sezione operaia del soviet di Pietrogrado un ordine del giorno che chiedeva l’assunzione del potere da parte del Vcik, mentre i socialisti rivoluzionari e i menscevichi abbandonavano l’assemblea.
Il Comitato Centrale bolscevico aveva indetto per il 4 luglio (17 luglio) una “pacifica dimostrazione organizzata” per chiedere il potere ai soviet, ma il movimento, supportato anche dall’arrivo dei marinai di Kronstadt, nella sua spontaneità spinge per una manifestazione armata.
Nella seduta congiunta al Palazzo di Tauride, il Vick e il Comitato dei soviet dei contadini, dopo aver ricevuto una delegazione operaia, confermano la fiducia al governo provvisorio.
Il sopraggiungere del reggimento Irmajlovoky, a difesa del Vcik e del governo provvisorio, rafforza il governo che scatena una campagna di calunnie contro Lenin e i bolscevichi accusati di spionaggio a favore della Germania, il reggimento Preobranzensky, prima neutrale, passa dalla parte del governo provvisorio: segue una feroce repressione.
Il movimento era sostanzialmente limitato a Pietrogrado, poche infatti furono le azioni a sostegno del movimento nelle provincie: il centro tessile di Ivanovo-voznesensk, Nizny-vovogorod, Kiev, Astrachan.
La mattina del 5 luglio (18 luglio) era ormai chiaro che le giornate di luglio di Pietrogrado, definite da Lenin “qualche cosa di più di una manifestazione e di meno che una rivoluzione”, si chiudevano con la disfatta del movimento rivoluzionario.
Il 6 luglio (19 luglio) fu emesso l’ordine di arresto di Lenin, Zinovev e Kamenev.
Lenin aveva previsto la reazione, “ora ci prendono a fucilate, disse a Trotsky, è per loro il momento più favorevole”, quindi si dette in clandestinità, raggiungendo la Finlandia.
Lenin, dopo la sconfitta di luglio, ritiene non più proponibile la parola d’ordine “tutto il potere ai soviet” proprio perché questi, sotto l’influenza dei partiti riformisti, hanno mantenuto l’alleanza con la borghesia contro il Partito bolscevico e il movimento operaio, e propone pertanto di orientare il Partito bolscevico verso i comitati di fabbrica nella prospettiva di una insurrezione meglio preparata e organizzata.
Dopo le dimissioni del principe Lvov, l’8 (21) luglio Kerensky diventa primo ministro. La sede del Partito bolscevico e della Pravda sono devastati, i dirigenti Kamenev, Kollontaj, Lunacansky, Trotsky sono imprigionati. Il 12 luglio (25 luglio) il governo ripristina la pena di morte in zona di guerra, i reggimenti meno controllabili sono dispersi, le azioni del movimento contadino duramente represse, viene attuata una stretta alla richiesta di autonomia delle nazionalità, la Dieta di Finlandia viene sciolta. L’attività bolscevica in quei giorni difficili si mantiene nelle fabbriche e nei sindacati.
La combinazione tra esito disastroso dell’offensiva militare sul fronte di guerra e l’ondata reazionaria porteranno ad un mutamento negli alti comandi dell’esercito, il generale Kornilov, considerato dalla borghesia e dai proprietari terrieri l’uomo d’ordine necessario alla Russia, il 18 luglio (31 luglio) veniva nominato dal governo comandante supremo dell’esercito.
Kornilov pretese prima l’autonomia nelle operazioni militari e nella nomina degli alti comandi, ripristino della disciplina nell’esercito attraverso la pena di morte, per poi proporre l’eliminazione del soviet e dei bolscevichi, per “ripulire e rafforzare” il governo.
Nel mese di agosto si riunisce, in segreto a Pietrogrado, il sesto congresso del Partito bolscevico, Lenin partecipa ai lavori e alla stesura del documento finale del congresso dal suo nascondiglio.
La forza militante del Partito bolscevico, radicata nella classe operaia industriale, era fortemente cresciuta: da 80 mila militanti raccolti in 78 organizzazioni in aprile, a 200 mila in 162 organizzazioni in agosto. A Pietrogrado in quattro mesi il Partito era cresciuto da 16 mila a 36 mila militanti. La discussione del congresso prese in esame i fatti di luglio e pervenne alla conclusione, visti i rapporti di forza nei soviet, di sospendere la parola d’ordine “tutto il potere ai soviet” per il prossimo periodo, mantenendo l’indicazione programmatica della dittatura del proletariato e dei contadini poveri e indirizzando l’azione del partito verso i consigli di fabbrica.
In attesa dell’Assemblea costituente, sempre rinviata, il governo riuniva dal 12 al 15 agosto (25-28 agosto) a Mosca la Conferenza di Stato, un’adunata di forze nazionali, più della metà dei presenti erano grandi proprietari terrieri, industriali, commercianti e banchieri. I bolscevichi giudicano la conferenza un’adunata controrivoluzionaria e non partecipano, ma si impegnano nello sciopero generale proprio a Mosca, pienamente riuscito. La Conferenza di Stato si divide in due campi, i sostenitori di Kornilov e i sostenitori di Kerensky. Kornilov incoraggiato dalle forze più reazionarie, da avvio alla stavka, quartier generale dell’esercito a Mogilev, ad un piano militare finalizzato ad un colpo di stato. Pietrogrado doveva essere accerchiata e occupata da sud e da nord, il fiume Neva costituiva il confine di competenza dei reparti militari. Nella città il colpo di stato sarebbe stato sostenuto dall’Unione del dovere militare e dal Centro repubblicano e avrebbe portato all’arresto del governo provvisorio e dei membri più autorevoli del soviet. Il piano doveva scattare in risposta ai seguenti eventi: dopo eventuali disordini bolscevichi in occasione dei sei mesi della Rivoluzione di febbraio; in risposta all’eventuale opposizione al ripristino della disciplina nell’esercito. In mancanza di eventi sarebbero stati predisposte azioni provocatorie.
Dopo la caduta di Riga, Kornilov chiese che le truppe della circoscrizione di Pietrogrado passassero sotto il suo comando (era comandata da un ufficiale alle dipendenze del governo).
Avuta conoscenza del piano di Kornilov, Kerensky convoca il 27 agosto (9 settembre) un consiglio dei ministri assumendo poteri illimitati, mentre i ministri cadetti si dimettevano. I comandanti militari consideravano il colpo di stato una semplice campagna militare, non facendo i conti con la scesa in campo delle masse: i ferrovieri, i telegrafisti, gli operai, i soldati.
A questo punto i capi menscevichi e socialisti rivoluzionari compresero che la cavalleria caucasica e cosacca di Kornilov non avrebbe distinto quando fossero iniziate le impiccagioni tra riformisti e rivoluzionari. Il menscevico Vajnstejn nella seduta del Vcik del 27 agosto (9 settembre) propose la formale cooperazione con i bolscevichi. I bolscevichi accettarono la proposta e fu costituito un “Comitato per la lotta alla controrivoluzione” composto da tre bolscevichi, tre menscevichi, tre socialisti rivoluzionari, cinque rappresentanti del Vcik e del Comitato esecutivo del soviet dei contadini, due rappresentanti dei sindacati operai e due del soviet di Pietrogrado. Il Comitato approva la proposta bolscevica di costituzione di una milizia armata di operai, la Guardia rossa. Questa inquadrava circa 25 mila membri degli stabilimenti industriali.
La tattica bolscevica fu riassunta da Lenin “noi combatteremo Kornilov, ma non sosterremo kerensky”. La congiura di Kornilov fallì, mentre i bolscevichi conquistarono la maggioranza nei due più importanti soviet del paese, Mosca e Pietrogrado.
L’ascesa rivoluzionaria

Fallito il colpo di stato di Kornilov, Kerensky cercò di continuare la vecchia politica oscillando tra destra e sinistra, nomina nuovi ministri della guerra e della marina, propone di allargare la coalizione di governo oltre che ai cadetti anche ad esponenti dell’industria e della finanza, riunisce la Conferenza democratica, che darà vita al Consiglio della repubblica. I bolscevichi parteciparono alla Conferenza democratica, ma abbandonarono la prima seduta del Consiglio della repubblica dopo una dichiarazione di Trotsky contro il governo e per il passaggio di tutto il potere ai soviet, per assicurare la pace, la terra e il pane ai lavoratori e alle masse contadine.
Lenin intravedeva in questi organismi consultivi una tattica di temporeggiamento da parte del governo provvisorio e della borghesia per paralizzare l’azione delle masse rivoluzionarie.
Il 31 agosto (13 settembre) il Soviet di Pietrogrado con 279 voti contro 115 e 51 astenuti accoglie un ordine del giorno bolscevico contenente le richieste di pace immediata, confisca delle grandi proprietà e controllo operaio delle fabbriche. Nove giorni dopo di fronte alle dimissioni dalla presidenza del soviet dei rappresentanti dei menscevichi e dei socialisti rivoluzionari, Trotsky fà presente che Kerensky era ancora formalmente membro del comitato di presidenza è chiede ai delegati di esprimersi sulla sua figura ottenendo una nuova e decisiva vittoria, 519 voti contro 414 e 67 astensioni. Anche il soviet di Mosca passa in mano ai bolscevichi, ma è un processo che si estende ai soviet di tutto il paese: dal centro siberiano di Krasnojarsk, ad Ekaternburg, importante centro industriale e minerario degli Urali, ad Ekaterinoslav in Ucraina, nelle città del Volga, nel bacino di Donec, in Finlandia, alla flotta del Baltico.
L’influenza bolscevica cresceva dai soviet ai sindacati, registrando anche un successo alle elezioni amministrative locali di Mosca dove vigeva il suffragio universale.
Il 10-14 (23-27) settembre Lenin scrive il testo “La catastrofe imminente e come lottare contro di essa”, un programma transitorio per la presa del potere. Il 23 settembre (6 ottobre) Trotsky viene eletto presidente del soviet di Pietrogrado.
I socialisti rivoluzionari e i menscevichi hanno difficoltà crescenti a mantenere la maggioranza nel Soviet, nel contempo inizia la loro disgregazione: nel Partito socialista rivoluzionario si delineava una sinistra che vota e agisce in un fronte unico con i bolscevichi, mentre il partito menscevico era totalmente paralizzato. In questo quadro il 25 settembre (8 ottobre) si forma un nuovo governo di coalizione presieduto da Kerensky.
I bolscevichi usciti dal Consiglio della repubblica si predisponevano alla presa del potere per via rivoluzionaria. L’insurrezione fu preceduta da una vasta propaganda e agitazione con lo scopo di spingere le masse fino alla rottura rivoluzionaria. Nelle grandi sale di riunione i più grandi oratori bolscevichi tenevano le assemblee: Trotsky, Lunacarsky, Kollontaj. Nelle fabbriche e nelle caserme i militanti del partito svolgevano la stessa azione concentrata sulle seguenti parole d’ordine: Pace, terra ai contadini, controllo operaio nelle industrie, tutto il potere ai soviet.
Il ruolo di Lenin, ancora in clandestinità, nelle settimane che precedettero l’insurrezione fu centrale. Egli espresse la necessità politica della conquista per via rivoluzionaria del potere in diverse lettere ed opuscoli inviati al Comitato Centrale del Partito bolscevico e ai membri dei comitati di partito di Pietrogrado e Mosca. Il Comitato Centrale del 28 settembre (11 ottobre) accolse le indicazioni di Lenin con sei voti a favore, due contro e sei astensioni. Il 29 settembre (12 ottobre) Lenin ribadì la necessità di preparare l’insurrezione nello scritto “la crisi è matura” dove analizzava i diversi elementi di un quadro di grave crisi sociale, istituzionale e politica: la rivolta agraria che divampava nelle campagne, la defezione delle truppe finlandesi e della flotta del Baltico, il rifiuto dei soldati a combattere, i risultati elettorali alle elezioni municipali di Mosca con il successo bolscevico, l’incerto quadro internazionale relativo alla fine della guerra.
Il 10 (23) ottobre Lenin rientra a Pietrogrado e la stessa sera fu presa la decisione definitiva sull’insurrezione in una storica seduta del Comitato Centrale bolscevico. Dodici membri si riunirono, tra cui Lenin e Zinovev sotto mandato di cattura, in una casa privata. L’ordine del giorno che stabiliva la linea del partito durante l’insurrezione armata fu approvato con 10 voti a favore e 2 contrari, quelli di Zinovev e Kamenev. Questi furono comunque eletti tra i sette membri dell’Ufficio politico del partito (gli altri furono: Lenin, Trotsky, Bubnov, Stalin e Sokolnikov). Contro questa decisione Zinovev e Kamenev continuarono la loro battaglia, inviarono un appello alle principali organizzazioni del partito in cui proponevano di aspettare la convocazione dell’Assemblea costituente, prevista dopo numerosi rinvii per il 18 (25) novembre. A loro parere il Partito bolscevico, per non rimanere isolato, doveva lottare per “l’Assemblea costituente più i soviet”.
I bolscevichi proprio per verificare le loro forze convocarono un Congresso dei soviet delle province del Nord che si tenne a Pietrogrado l’11-13 (24-27) ottobre: in quella sede un ordine del giorno di Trotsky fu approvato con solo tre astensioni, mentre il delegato lettone, Peterson, promise 40 mila tiratori scelti per difendere il Congresso panrusso dei soviet. In tutto il paese -Bakù, Kazan, Nicolaev, ecc- i soviet votavano risoluzioni contro il governo e per l’assunzione di tutto il potere ai soviet. Il 12 (25) ottobre i bolscevichi, torcendo a loro favore una proposta dei menscevichi di creazione di un organo di collegamento tra il soviet e il comando militare della circoscrizione di Pietrogrado, proposero la costituzione di un Comitato militare rivoluzionario, di fatto lo stato maggiore della rivoluzione, con sede all’istituto Smolnyi e presieduto da Trotsky. L’abbandono del Comitato militare rivoluzionario da parte dei socialisti riformisti facilita il compito dei bolscevichi.
Il 16 (29) ottobre Zinovev, con il sostegno di Kamenev, ripropose i suoi argomenti contro l’insurrezione in una riunione congiunta del Comitato Centrale, del Comitato di Pietrogrado, dell’Organizzazione militare, dei comitati di fabbrica e dei sindacati aderenti al Partito bolscevico. Quando l’assemblea vota una risoluzione presentata da Lenin che chiede “la intensificata preparazione di una rivolta armata” approvandola con 19 voti a favore, 2 contro e 4 astenuti, Kamenev presenta le dimissioni dal Comitato Centrale del partito. L’opposizione all’insurrezione non era limitata ai due membri del Comitato Centrale, anche Rykov e Nogin dell’organizzazione di Mosca erano della stessa opinione, mentre un’area più vasta era indecisa.
Un avvenimento di notevole importanza pesò sulla scelta definitiva: la convocazione del Secondo Congresso panrusso dei soviet, che il Vcik allora in carica aveva fatto di tutto per posticipare. Il 21 ottobre (3 novembre) i comitati dei reggimenti di Pietrogrado, su incitamento di Trotsky, votarono due ordini del giorno: uno di sostegno completo al Comitato militare rivoluzionario, l’altro l’invito al Congresso panrusso dei soviet a prendere il potere per assicurare al popolo pace, terra e pane. La sera stessa ottenuto il sostegno della guarnigione, il Comitato militare rivoluzionario invia propri commissari a tutte le unità militari con il compito di espellere i commissari governativi e assumere il controllo delle forze armate della capitale, una richiesta che il comando militare della capitale tenta di respingere.
Il 22 ottobre (4 novembre) il Comitato militare rivoluzionario sfida apertamente il governo e il comando militare, rivendica a se la guida della guarnigione di Pietrogrado e da una manifestazione di forza, con migliaia di operai e soldati, nella giornata del soviet di Pietrogrado.

L’insurrezione e la conquista del potere

Il punto strategico della città di Pietrogrado era la fortezza di Pietro e Paolo, costruita su un’isola della Neva. La fortezza era occupata da un corpo di ciclisti e reparti di artiglieria fatti pervenire a Pietrogrado in occasione della repressione di luglio e restii a passare dalla parte del Comitato militare rivoluzionario.
Il 23 ottobre (5 novembre) Trotsky recatosi alla fortezza riesce a convincere i soldati a passare dalla parte della rivoluzione. Questo permise di impossessarsi dell’arsenale della fortezza e armare la Guardia rossa. La Guardia rossa assieme ai marinai di Kronstadt costituiva la parte più attiva delle forze rivoluzionarie.
In ogni fabbrica erano organizzate squadre della Guardia rossa, l’unità minore era costituita da 13 uomini, il battaglione composto da queste unità comprendeva circa 600 uomini, erano previsti anche servizi tecnici e infermieristici. I comandanti erano eletti, e la Guardia rossa era a disposizione del Soviet di Pietrogrado.
Le unità militari della guarnigione di Pietrogrado erano favorevoli o neutrali nei confronti del Comitato militare rivoluzionario.
La sera del 23 ottobre (5 novembre) il governo decise di agire, sopprime i giornali bolscevichi ed emana provvedimenti di arresto dei dirigenti bolscevichi e dei membri del Comitato militare rivoluzionario. Le forze su cui il governo provvisorio poteva contare erano gli allievi ufficiali, alcuni reparti d’assalto, un battaglione femminile e le truppe cosacche.
Il Comitato militare rivoluzionario rispose immediatamente, predispose la difesa delle tipografie rivoluzionarie e ordina ai reparti della guarnigione di mettere i reggimenti in assetto di combattimento in attesa di disposizioni.
Kerensky, a nome del governo, chiede l’appoggio totale del Consiglio della repubblica. Nel Consiglio della repubblica si confrontarono le forze socialiste di governo, profondamente divise e immobilizzate. Un ordine del giorno di Martov, che animava la sinistra dei menscevichi, dopo aver censurato l’imminente insurrezione chiede al governo di predisporre un decreto per il passaggio della terra sotto l’amministrazione dei comitati agrari e di proporre agli alleati che si dichiarassero le condizioni della pace. L’ordine del giorno veniva approvato con 113 voti, contro 102 e 26 astensioni, ma arrivava con estremo ritardo rispetto ai ritmi della rivoluzione. Il Consiglio della repubblica era profondamente diviso: il Partito socialista rivoluzionario e il Partito menscevico tentavano disperatamente di trovare una via d’uscita, mentre Kerensky sentiva che il terreno gli franava sotto i piedi. Il 24 ottobre (6 novembre) il Comitato centrale del Partito bolscevico tenne un’importante seduta per definire, “come un’arte”, i piani dell’insurrezione. I membri del Comitato centrale vennero incaricati di svolgere speciali funzioni di direzione: stabilire i contatti con i ferrovieri; con i poste-telefonici; coordinare il servizio approviggionamento; tenere sotto stretta osservazione i comportamenti del governo; coordinare l’insurrezione con la città di Mosca; formare una base di riserva nella fortezza di Pietro e Paolo; costituire la direzione tecnica militare dell’insurrezione. La Guardia rossa e i marinai di Kronstadt dovevano occupare il Palazzo d’Inverno, per questa operazione potevano contare sull’artiglieria della nave Aurora.
Ai reggimenti della guarnigione era stato affidato il compito relativamente secondario di sorvegliare le scuole degli allievi ufficiali e le caserme dei cosacchi.
Dopo mezzanotte il Vcik, la cui maggioranza era riformista, tenne una riunione. Il menscevico Dan nel suo discorso evidenziava lo stato di confusione e immobilismo in cui si trovava il suo schieramento politico, parlava di forze della destra, i cento neri, egemoni nelle fabbriche e nelle caserme, prevedeva catastrofi nel caso i bolscevichi prendessero il potere, l’immediato taglio da parte delle province dei rifornimenti alimentari alla città e il crollo del governo rivoluzionario.
La rivoluzione socialista in realtà marciava con straordinaria disciplina, il lavoro preliminare del Comitato militare rivoluzionario per assicurasi il sostegno dei soldati e dei marinai aveva determinato una notevole superiorità militare delle forze a sostegno della rivoluzione, una forza che determinava scompiglio e scoraggiamento nelle forze del governo.
Lenin, che era rimasto nascosto, in una casa nel quartiere operaio di Vyborg, il 24 ottobre (6 novembre) si recò all’istituto Smolnyi, sede del Comitato militare rivoluzionario.
La mattina del 25 ottobre (7 novembre), Kerensky fugge verso il fronte con l’intenzione di ritornare a Pietrogrado con truppe fedeli al governo. Lo stesso giorno distaccamenti della Guardia rossa e reparti militari rivoluzionari occupano i punti strategici della capitale, le poste, telegrafi, stazioni ferroviarie, banche e ministeri. Il Comitato militare rivoluzionario pubblicava lo stesso giorno il seguente proclama: “Il governo provvisorio è stato abbattuto. Il potere dello stato è passato nelle mani dell’organo del soviet degli operai e dei rappresentanti dei soldati di Pietrogrado, il Comitato militare rivoluzionario, che è alla testa del proletariato e della guarnigione di Pietrogrado. La causa per cui il popolo ha combattuto – immediate proposte di una pace democratica, abolizione della proprietà privata della terra; controllo operaio sulla produzione; creazione di un governo dei soviet- questa causa è assicurata. Viva la rivoluzione dei lavoratori, dei soldati e dei contadini”.
Il pomeriggio del 25 ottobre (7 novembre) Lenin, in una seduta del Soviet, inizia l’intervento dicendo: “Compagni, la rivoluzione degli operai e dei contadini che i bolscevichi hanno sempre detto che sarebbe avvenuta è un fatto compiuto”, prosegue l’intervento indicando la necessità di spezzare la macchina statale, di liquidare la guerra imperialista, di distruggere la proprietà dei proprietari terrieri, infine evidenzia il significato internazionale della Rivoluzione Russa e termina l’intervento con la frase “Viva la rivoluzione socialista mondiale”.
L’operazione culminante della giornata era stato l’assalto al Palazzo d’Inverno, i caduti furono pochi rispetto alla portata degli eventi e in gran parte nelle fila rivoluzionarie. I ministri furono arrestati e portati nella fortezza di Pietro e Paolo.
La sera del 25 ottobre (7 novembre), all’istituto Smolnyi, il Secondo Congresso panrusso dei Soviet iniziava i suoi lavori, la composizione qualitativa del congresso esprimeva l’approfondimento del processo rivoluzionario intercorso negli ultimi mesi. I delegati provenivano dalle fabbriche, dalle caserme, dalle trincee, dalle navi da guerra. I delegati bolscevichi erano circa 390 su un totale di 650. I partiti socialisti riformisti erano ormai una minoranza, i menscevichi, compreso il Bund2, erano circa 80, i socialisti rivoluzionari circa 60. I centristi erano rappresentati dai socialisti rivoluzionari di sinistra che si erano scissi dai socialisti rivoluzionari ufficiali ed esprimevano le masse contadine radicalizzate, e dai menscevichi internazionalisti diretti da Martov. Mentre i primi sostenevano i bolscevichi, i secondi oscillavano tra i bolscevichi e gli altri partiti socialisti riformisti. La presidenza del Secondo Congresso panrusso dei Soviet, eletta proporzionalmente, fu coordinata da Kamenev. I menscevichi e i socialisti rivoluzionari rifiutarono i posti loro assegnati alla presidenza e abbandonarono il congresso, ritirandosi nella Duma cittadina. Trotsky rispose loro apostrofandoli come “spazzatura che andrà a finire nella pattumiera della storia”.
I socialisti riformisti, congiuntamente a forze borghesi, dopo aver tentato di manifestare, in circa 300-400, verso il Palazzo d’Inverno diedero vita ad un Comitato per la salvezza del paese, presentatosi come legittimo erede del governo provvisorio, con i membri della Duma cittadina di Pietrogrado, con il superato Vcik riformista, con il Consiglio della repubblica. Comitati di salvezza furono costituiti a Mosca e in altre città.
I socialisti rivoluzionari di sinistra parteciparono ai lavori del congresso dei Soviet, i menscevichi internazionalisti entravano e uscivano dal congresso incapaci di prendere una decisione.
Durante lo svolgimento dei lavori veniva annunciata la caduta del Palazzo d’Inverno, tutto il potere a questo punto veniva assunto dal Congresso panrusso dei soviet. I due decreti decisivi sulla pace e sulla guerra sarebbero stati votati il giorno seguente.
Il Comitato militare rivoluzionario invia i suoi commissari ad assicurarsi il controllo della polizia cittadina, dei funzionari statali, dei ferrovieri, dei negozianti perché mantenessero aperte le loro botteghe. La pena di morte al fronte veniva abolita, i membri dei comitati agrari incarcerati furono subito rilasciati.
La sera del 27 ottobre (9 novembre), al congresso dei Soviet, Lenin legge un “proclama ai popoli e ai governi di tutte le nazioni belligeranti” a cui propone “una pace immediata senza annessioni e senza indennità” e la fine alla diplomazia segreta. Quindi si rivolgeva ai lavoratori di Francia, Inghilterra e Germania “per una azione risoluta per la pace e per la liberazione dalla schiavitù e dallo sfruttamento”. Un proclama approvato dall’assemblea all’unanimità al canto dell’Internazionale.
Seguiva la questione della terra, anche su questo tema Lenin lesse un breve decreto, che riprendeva gli assi centrali delle indicazioni date dal soviet dei rappresentanti dei contadini, sulla base delle 242 deliberazioni di assemblee locali di contadini. Il decreto sulla terra già dai primi articoli poneva fine alla grande proprietà terriera: l’articolo n° 1 “La proprietà fondiaria è immediatamente abolita”, l’articolo n° 2 “Le tenute dei proprietari fondiari, come tutte le terre demaniali, dei monasteri, della chiesa, con tutte le loro scorte vive e morte, gli stabili delle masserie, e tutte le suppellettili sono messi a disposizione dei comitati agricoli cantonali e dei Soviet distrettuali dei deputati contadini fino alla convocazione dell’Assemblea costituente”.
Successivamente verranno emanate, dal governo rivoluzionario, le norme per il controllo operaio nell’industria, che “è esercitato da tutti gli operai e impiegati dell’azienda, sia direttamente se l’azienda è abbastanza piccola per permetterlo, sia attraverso i loro rappresentanti elettivi che debbono essere designati immediatamente nelle assemblee generali” e per la nazionalizzazione delle banche.
L’altra importante decisione del congresso dei Soviet è stata l’approvazione della composizione del primo consiglio dei commissari del popolo, il governo rivoluzionario presieduto da Lenin.
I socialisti rivoluzionari di sinistra, che facevano parte del Comitato militare rivoluzionario e avevano partecipato ai lavori del Secondo Congresso panrusso dei Soviet, non vollero entrare nel governo, per cui tutti i commissari del popolo appartennero al Partito bolscevico.
Infine venne eletto un nuovo Vcik di 101 membri, di cui 62 bolscevichi e 29 socialisti rivoluzionari di sinistra. Se la presa del potere a Pietrogrado è stata relativamente incruenta, a Mosca la lotta e lo scontro militare fu senz’altro di maggiore intensità cosi come in gran parte del paese, mentre le forze imperialiste si predisponevano a invadere la Russia dei Soviet e a sostenere militarmente e finanziariamente le truppe bianche della controrivoluzione.

note

1 In Russia era in vigore il calendario Giuliano, indietro di 13 giorni rispetto al calendario Gregoriano in vigore in occidente.
2 Organizzazione socialista riformista dei lavoratori ebraici

Bibliografia

  • Lev Trotsky – Storia della Rivoluzione Russa:
  • I bolscevichi e la rivoluzione d'ottobre – Verbali delle sedute del Comitato centrale del Partito operaio socialdemocratico russo (bolscevico) dall'agosto 1917 al febbraio 1918
  • John Reed – Dieci giorni che sconvolsero il mondo
  • Lenin – La Rivoluzione d'Ottobre
  • Edward Carr – La Rivoluzione Bolscevica
  • W. H. Chamberlin – Storia della Rivoluzione Russa