TRANVIERI O FORCONI, RIVOLUZIONE O REAZIONE
10 Dicembre 2013
“Vi
sarà un periodo transitorio in cui lo Stato sarà guidato da una
commissione retta dalle forze dell'ordine, trascorso il quale si
procederà a nuove votazioni”. A rivendicare un governo militare,
come sbocco del blocco in atto, non è un dirigente di Forza nuova o
Casa Pound. E' il capo dei Comitati Riuniti Agricoli, Danilo Calvani,
uno dei
massimi coordinatori nazionali del cosiddetto “Movimento 9
Dicembre”. Un personaggio già candidatosi a sindaco di Latina
attorno alla sigla Dignità Sociale, fondata nel Gennaio 2012 assieme
all'ex generale dei carabinieri Antonio Pappalardo. Qual'era il
progetto di Dignità sociale? Una santa alleanza tra “contadini e
carabinieri” per la “salvezza della patria”.
Questo
dato naturalmente non è sufficiente a inquadrare la natura sociale e
politica del Movimento 9 Dicembre. Ma non è irrilevante se si vuole
capire la sua dinamica.
LA
CRISI DELLA PICCOLA BORGHESIA E LA CRISI DEL MOVIMENTO OPERAIO
La
crisi capitalista e le politiche dominanti non colpiscono solo la
classe operaia, ma anche larghi settori delle “classi medie”
(padroncini del trasporto, dell'agricoltura, del commercio,
dell'artigianato), a loro volta socialmente differenziate al proprio
interno. La crisi del mercato, l'usura delle banche, l'aumento delle
tasse per finanziare il debito pubblico a vantaggio del capitale
finanziario, producono nel loro insieme un impoverimento di questi
strati sociali.
Qui
sta il bivio. O il movimento operaio sviluppa una propria alternativa
alla società capitalista e alla sua crisi, sulla base di un
programma di lotta anticapitalista che dia la vera risposta alla
sofferenza sociale degli strati inferiori delle classi medie. O
l'insofferenza sociale di queste classi rischia di essere
capitalizzata da ambienti sociali e politici reazionari contro il
movimento operaio. Gli avvenimenti in corso sono al riguardo
indicativi.
Il
movimento operaio italiano conosce una grave crisi sociale e
politica, per responsabilità delle sue direzioni politiche e
sindacali. Non sono mancate e non mancano lotte operaie importanti di
resistenza all'aggressione capitalista e alle politiche di austerità.
Ma le sinistre politiche e sindacali non solo rifiutano di unificarle
sul terreno di una programma generale di mobilitazione contro la
dittatura del capitale, ma si adoperano per frammentarle, contenerle,
disperderle. Emblematico il caso recentissimo dei tranvieri. La loro
rivolta ha bloccato Genova per cinque giorni, è passata per Firenze,
minacciava di propagarsi nell'intera Italia. Poteva realmente
innescarsi un movimento radicale di massa contro le privatizzazioni e
le politiche di austerità e sacrifici, capace di porsi come
riferimento egemone di classe di tutte le sofferenze delle masse
oppresse e di ampi strati della stessa piccola borghesia. Ma proprio
per questo le burocrazie sindacali si sono affrettate a spegnere la
miccia di Genova, a garanzia della borghesia italiana.
A
questo punto lo scenario della mobilitazione cambia volto sociale e
protagonisti politici. Un insieme eterogeneo di piccole
organizzazioni padronali e dei loro capi si prende la scena, e si
presenta come bandiera di una “rivoluzione”.
Il
programma della .. “rivoluzione” non porta nulla di buono per i
lavoratori, i precari, i disoccupati. Sul piano sociale coltiva un
immaginario mitologico che unisce “abolizione di Equitalia”,
“ritorno alla lira”, “sovranità nazionale”: che in un quadro
capitalista significherebbe solamente un nuovo saccheggio di salari e
piccoli risparmi, e una nuova aggressione a welfare e servizi sociali
(in un paese in cui oltretutto è il lavoro dipendente a reggere
sulle proprie spalle il grosso delle tasse) in perfetta continuità
col presente. E ciò senza nessun reale cambiamento per la stessa
piccola borghesia: che forse otterrebbe più mano libera
nell'evasione di contributi e sfruttamento in nero, ma continuerebbe
ad essere strozzata dal potere immutato di capitalisti e banchieri. I
veri detentori della “sovranità”: altro che sventolio del
tricolore.
Sul
piano politico questa miscela sociale e ideologica è il naturale
brodo di coltura di forze reazionarie. L'anatomia dei gruppi
dirigenti della..”rivoluzione”, parla chiaro. Capi di
organizzazioni padronali che vengono dal bacino della Lega Nord (in
particolare dell'indipendentismo veneto), dall'ambiente fascistoide
laziale (in particolare a Latina), dall'autonomismo siciliano
(benedetto dal capitalista Zamparini, supersfruttatore di lavoratori
precari nei suoi supermercati). Un personale di avventurieri che,
nella crisi delle vecchie organizzazioni di categoria e della
politica borghese, cercano di coltivare i propri sogni di gloria (al
più......elettorali, come già i Forconi in Sicilia). Chi può
meravigliarsi se in questo movimento si gettano a piene mani Forza
Nuova, Casa Pound, Movimento Sociale Europeo, Militia? Non hanno ad
oggi l'egemonia. Ma quello è il terreno naturale su cui possono
piazzare la propria bandiera. Nè è ragione di meraviglia se il
sindacato di polizia UGL, fiero difensore dei torturatori della Diaz
al G8, solidarizza pubblicamente col movimento. Sta nelle cose.
Il
fatto che a questo movimento si possano aggregare in qualche caso
settori studenteschi o disoccupati (come spesso accade nei movimenti
reazionari di massa), non cambia la sua natura. Semmai accresce le
preoccupazioni, e misura una volta di più la crisi di egemonia del
movimento operaio.
NE'
CON LO STATO NE' COI FORCONI. PER UN'ALTERNATIVA PROLETARIA AL POTERE
DEI CAPITALISTI E DEI BANCHIERI
Il
PCL non sta né con lo Stato, né col Movimento 9 Dicembre. Non
abbiamo alcun pregiudizio a intervenire a sostegno di rivendicazioni
progressiste di strati impoveriti di piccola borghesia. L'abbiamo
fatto col movimento dei pastori sardi, l'abbiamo fatto un anno fa con
la lotta dei tassisti. E' parte della lotta per un blocco sociale
alternativo, entro una logica di classe. Ma altra cosa è porsi a
rimorchio di una dinamica reazionaria. Non siamo stati coi Forconi in
Sicilia, non stiamo oggi coi loro prosecutori.
Al
tempo stesso proprio quanto sta avvenendo pone una volta di più
l'esigenza e l'urgenza di una svolta anticapitalista del movimento
operaio. Abolire il debito pubblico verso le banche (con garanzie per
il piccolo risparmio), nazionalizzare le banche, senza indennizzo per
i grandi azionisti, e unificarle in un'unica banca pubblica sotto
controllo sociale, sono la condizione decisiva per liberare milioni
di famiglie dall'oppressione del capitale finanziario, dalla stretta
del credito, dal cappio di mutui usurai. Se il movimento operaio si
battesse per queste rivendicazioni potrebbe prendere la testa della
rabbia sociale e di rivolta di settori ampi di piccola borghesia,
disgregando il blocco sociale reazionario, e chiudendo lo spazio di
manovra della demagogia fascistoide. Ma una simile battaglia di massa
implica la lotta per un'alternativa di potere. Che spazzi via il
governo del capitale, i suoi partiti, il suo Stato. Solo una
Repubblica dei lavoratori può liberare assieme alla classe operaia
la maggioranza della società: è l'unica reale rivoluzione
possibile.
Il
PCL si batte e si batterà, in ogni movimento di classe o
progressivo, per questa prospettiva.
“Giunta militare” o governo dei lavoratori: queste parole d'ordine indicano simbolicamente due prospettive contrapposte, due opposte dinamiche di classe. Il bivio strategico tra rivoluzione e reazione percorre, in forme diverse, l'intero scenario italiano, in un quadro di massima crisi sociale, politica, istituzionale.
“Giunta militare” o governo dei lavoratori: queste parole d'ordine indicano simbolicamente due prospettive contrapposte, due opposte dinamiche di classe. Il bivio strategico tra rivoluzione e reazione percorre, in forme diverse, l'intero scenario italiano, in un quadro di massima crisi sociale, politica, istituzionale.