LA MINISTRA GIANNINI
la consueta crociata contro gli insegnanti
13 Luglio 2014
Quando
Stefania Giannini, appena insediatasi al dicastero di Viale
Trastevere, parlò di importanti interventi nell'agenda del governo
sul mondo dell'Istruzione, c'era da aspettarsi un ennesimo ulteriore
capitolo dell’attacco alla nostra ormai devastata istruzione
pubblica.
Una
breve cronistoria dei passaggi con cui i governi, di centrosinistra e
centrodestra, si sono alternati nel tentativo di smontare,
privatizzare e infine distruggere la scuola pubblica ci mostra, in
quanto a contenuti, quanto segue:
-
la madre di tutte le riforme, la riforma Berlinguer del 1996,
introduce l'autonomia scolastica (1997). Entra in vigore nel 2000 con
la nascita del Fondo di Istituto, attraverso il quale con pochi
spiccioli i docenti vengono “invitati” a svolgere qualsiasi tipo
di attività funzionale all'insegnamento: € 17,50 lorde all'ora;
-
abolizione degli esami di riparazione a settembre (D'Onofrio 1994),
sostituiti col meccanismo dei debiti formativi e l'introduzione dei
corsi di recupero (IDEI), poi la reintroduzione degli esami di
riparazione, anticipati per la maggior parte delle scuole ad agosto
(Fioroni 2007), fino alla recentissima abolizione de facto dei corsi
di recupero causa mancanza di fondi;
-
riforma dell'esame di maturità (Berlinguer 1997), con l'introduzione
dell'esame di tutte le materie e di una commissione composta per metà
da commissari esterni e per metà da commissari interni (1997), poi
l’abolizione dei commissari esterni ad opera di Moratti (2001), e
ancora la reintroduzione dei commissari esterni (Fioroni 2007);
-
trasformazione del preside da “primus inter pares” in dirigente
(anche questa frutto della riforma Berlinguer del 1997) e quindi, di
fatto, in controparte dei docenti, con la correlativa abolizione
della figura del vicepreside e dei collaboratori del preside eletti
dal Collegio Docenti, e loro sostituzione con docenti nominati dal
dirigente;
-
riforma Moratti (2003) e la riforma Gelmini (2009), che con la scusa
del “riordino dei cicli” hanno soppresso ore di insegnamento e
intere materie. E' grazie a questi brillanti interventi normativi se
oggi, nell'era della cosiddetta globalizzazione, i giovani italiani
possono imparare la geografia solo da Gerry Scotti e da Carlo Conti,
a titolo d'esempio;
-
successivi, incessanti, non ancora completati ma inarrestabili
accorpamenti di classi di concorso: ti faccio insegnare anche cose
che non sai, purché mi tappi un buco e non mi costringi ad assumere;
-
successive, incessanti, non ancora completate ma inarrestabili
modificazioni dei criteri di reclutamento dei docenti, dalle SSIS
(Scuola di specializzazione all'insegnamento secondario, poi abolite
e poi reintrodotte sotto mentite spoglie) ai TFA (Tirocinio Formativo
Attivo), infernali carrozzoni la cui morale è: “dato che lavoro
non ce n'è, allora tu, caro neolaureato, studia, studia e ancora
studia, partecipa ad esami e concorsi, fai tirocini in continuazione
e aiutaci a spartirci qualche briciola di finanziamento UE, grazie”.
Tutte
le controriforme della scuola e dell’università degli ultimi
vent’anni, targate centrodestra o centrosinistra, rappresentano
solo la classica punta dell'iceberg. Ognuna di esse si porta dietro
centinaia, se non migliaia di decreti, di circolari applicative,
nonché di interpretazioni sempre più “creative” dei dirigenti
scolastici, che costringono i docenti ad una situazione di
instabilità perenne, di “in-certezza del diritto” totale: una
Babele di norme che hanno fatto lievitare le incombenze burocratiche
e il peso dell'organizzazione gerarchica, a scapito della didattica e
della libertà di insegnamento.
Ma
qual è, nel concreto, lo scopo di questa montagna di leggi e di
riforme? C'è un senso in questa sterminata produzione legislativa
che ha investito il mondo della scuola negli ultimi vent’anni?
Esiste un denominatore comune? Uno scopo?
La risposta è ovviamente sì: tutte queste leggi e leggine, riforme e riformine hanno in comune un unico obbiettivo, che è quello di tagliare posti di lavoro, bloccare il turn over, espellere i precari, aumentando di conseguenza i carichi per i dipendenti “sopravvissuti”, delegando a imprese ed enti di natura privatistica parti sempre più consistenti dell'azione (dis)educativa.
La risposta è ovviamente sì: tutte queste leggi e leggine, riforme e riformine hanno in comune un unico obbiettivo, che è quello di tagliare posti di lavoro, bloccare il turn over, espellere i precari, aumentando di conseguenza i carichi per i dipendenti “sopravvissuti”, delegando a imprese ed enti di natura privatistica parti sempre più consistenti dell'azione (dis)educativa.
In
questo senso la riforma Berlinguer del '96 e la correlata legge
sull'autonomia scolastica del '97 sono state la “madre di tutte le
riforme”. Al di là delle tanto sbandierate buone intenzioni,
l'autonomia ha significato il sacrificio del concetto di “servizio
di pubblica utilità” sull'altare della “logica del mercato”.
L'autonomia
ha messo in concorrenza fra loro gli istituti scolastici, finendo per
privilegiare il marketing rispetto al prodotto, ovvero le iniziative
con risonanza mediatica rispetto alla didattica. Il risultato è
stato quello di trasformare le scuole in “progettifici” e i
docenti in impiegati chiamati a realizzare il budget pianificato nel
Piano dell'Offerta Formativa.
Così
come Taylor e Ford riorganizzando il lavoro in fabbrica eliminarono
gli operai-artigiani di fine Ottocento, sostituendoli con degli
alienati esecutori di semplici gesti ripetitivi, e come tali
sostituibili in ogni momento, allo stesso modo il docente nell'era
dell'autonomia vede oggi restringersi ogni giorno di più la sua
libertà di insegnamento, incastrato fra le richieste del dirigente
manager, quelle della famiglia-cliente e sotto la pressione di
quell'esercito industriale di riserva che la disoccupazione
intellettuale sta producendo a ritmi sempre più
forsennati.
L'autorevole professore di una volta, magari un po' arrogante ma consapevole della propria professionalità, sta lasciando spazio a un impiegato timido e spaventato, al quale non resta più il tempo di aggiornarsi, ma solo quello di inventarsi qualche sotterfugio per sopravvivere.
L'autorevole professore di una volta, magari un po' arrogante ma consapevole della propria professionalità, sta lasciando spazio a un impiegato timido e spaventato, al quale non resta più il tempo di aggiornarsi, ma solo quello di inventarsi qualche sotterfugio per sopravvivere.
L’ORARIO
DI LAVORO, QUELLO VERO, E LA MERITOCRAZIA, QUELLA FINTA.
Che Sua Maestà Matteo Renzi, assegnando il dicastero dell'Istruzione a un ministro di Scelta Civica avesse firmato una formale dichiarazione di guerra al mondo della scuola lo avevano capito tutti. Tutti.... tranne gran parte degli insegnanti, purtroppo. Del resto si sa: Renzi è il Capo del PD, cioè del partito più votato dagli insegnanti italiani: doppio purtroppo.
Che Sua Maestà Matteo Renzi, assegnando il dicastero dell'Istruzione a un ministro di Scelta Civica avesse firmato una formale dichiarazione di guerra al mondo della scuola lo avevano capito tutti. Tutti.... tranne gran parte degli insegnanti, purtroppo. Del resto si sa: Renzi è il Capo del PD, cioè del partito più votato dagli insegnanti italiani: doppio purtroppo.
Nel
pacchetto-scuola presentato dal sottosegretario Reggi lo scopo finale
di quest'ennesima riforma appare più che mai chiaro a tutti quanti,
compresi i colleghi piddini: sopprimere il maggior numero possibile
di posti di lavoro, a partire dai precari, aumentando l'orario di
servizio a 36 ore e portando a termine la già sperimentata riduzione
delle scuole superiori a quattro anni.
Per
quel che riguarda l'orario di lavoro dei docenti è bene sgombrare
subito il campo da pericolosi equivoci che spesso, anche a sinistra,
insorgono.
“I
professori lavorano 18 ore la settimana e ancora si lamentano!”
Quante volte abbiamo dovuto ascoltare queste parole? Parole, in
alcuni casi, sincere e frutto di disinformazione. Altre volte,
invece, menzogne spudorate, usate per scopi ben precisi.
E allora chiariamo una volta per tutte. Le ore di insegnamento in classe NON rappresentano l'orario di lavoro di un insegnante, ma solo una parte del suo lavoro: sicuramente la più impegnativa (e quanto impegnativa!), ma non certo l'unica. Sostenere che un professore lavora 18 ore alla settimana sarebbe come dire che un calciatore professionista lavora 90 minuti alla settimana, o equivarrebbe a misurare il lavoro di un bancario con le ore da lui trascorse allo sportello, e solo con quelle.
E allora chiariamo una volta per tutte. Le ore di insegnamento in classe NON rappresentano l'orario di lavoro di un insegnante, ma solo una parte del suo lavoro: sicuramente la più impegnativa (e quanto impegnativa!), ma non certo l'unica. Sostenere che un professore lavora 18 ore alla settimana sarebbe come dire che un calciatore professionista lavora 90 minuti alla settimana, o equivarrebbe a misurare il lavoro di un bancario con le ore da lui trascorse allo sportello, e solo con quelle.
Dietro
a quelle 18 ore settimanali ce ne sono almeno altrettante spese in
riunioni collegiali, Collegi Docenti, Consigli di Classe ordinari e
straordinari, scrutini, riunioni per aree disciplinare,
programmazione didattica e relativa rendicontazione, redazione di
relazioni e programmi, aggiornamento, preparazione di test e compiti
in classe e relativa correzione, organizzazione di uscite didattiche,
di visite aziendali, contatti con aziende, organizzazione di stages,
e tutte le mille attività connesse alle varie commissioni delegate
per occuparsi di tutto quanto rientra del P.O.F. di Istituto.
Bene,
detto questo parliamo adesso delle ORE DI LEZIONE: le ore di lezione
degli insegnanti italiani (22 ore nella scuola primaria, 18 nella
secondaria inferiore e 18 nella secondaria superiore) sono in linea
con quelle dei docenti di tutta Europa, anzi: superano largamente la
media europea nella primaria (media europea 19,6) e nella secondaria
superiore (16,3) e la superiamo leggermente nella secondaria
inferiore (18,1) [fonte: Rapporto Europeo Eurydice 2012].
GLI
ATTACCHI AL SALARIO E ALL’ORARIO NEL NOME DELLA
MERITOCRAZIA.
Nella storia recente il più feroce attacco ai docenti, sul piano del salario, fu quello portato da Luigi Berlinguer, passato alla storia per il cosiddetto Concorsone (1999/2000).
Nella storia recente il più feroce attacco ai docenti, sul piano del salario, fu quello portato da Luigi Berlinguer, passato alla storia per il cosiddetto Concorsone (1999/2000).
Si
trattava in altre parole di questo: abolizione degli scatti di
anzianità (che per i docenti avvengono, o sarebbe meglio dire
avvenivano, ogni 6/8 anni) e loro sostituzione con dei premi
spettanti a quei professori che avessero superato un Concorsone,
volto a misurarne la preparazione.
All'indomani
dell'annuncio di tale riforma, i sindacati confederali CGIL, CISL e
UIL iniziarono a girare per le scuole d'Italia distribuendo dispense
con modelli di domande/risposte per il superamento del Concorsone e
prendendo prenotazioni per i corsi (a pagamento) da loro organizzati.
Fu,
in assoluto, una delle scene più vomitevoli che i lavoratori e le
lavoratrici dell'istruzione sono stati costretti ad esperire.
In
tempi più recenti Brunetta e Tremonti risolsero il problema scatti
di anzianità abolendoli, ovvero, per usare un linguaggio più
edulcorato, bloccandoli temporaneamente. Tale blocco, poi confermato
da tutti i successivi governi, unito al fatto che i docenti italiani
si ritrovano un contratto nazionale scaduto dal 2009, contribuisce a
consolidarne il record di docenti meno pagati del mondo.
Ma
evidentemente non è ancora abbastanza.
RENZI,
GIANNINI E REGGI: UNA VOLTA TOCCATO IL FONDO SI PUO’ ANCORA
SCAVARE.
E'
quanto devono essersi detti, rincuorandosi, i nostri attuali
governanti. Del resto, parliamoci chiaro: il fiscal compact impone
tagli devastanti e, se fossero confermate le indiscrezioni rilevate
da Wikileaks sull'accordo USA-UE in merito alla privatizzazione
integrale di servizi pubblici primari (sanità, istruzione,
trasporti), non deve stupire che si decida di affondare il bisturi là
dove i capitoli della spesa sono ancora i più importanti.
E
allora, se così deve essere, tutto fa brodo, compresa la solita
demagogia sulla scuola che costa tanto. Anche se l'Italia continua ad
essere uno degli ultimi Paesi al mondo per la spesa in istruzione
rispetto al PIL. Compresa la solita, logora demagogia sulla
meritocrazia. Anche se in tutto il comparto del pubblico impiego non
esiste un settore nel quale gli stipendi annui siano così
differenziati come in quello della scuola: è l'effetto di vent’anni
di autonomia scolastica e di Fondo di Istituto. Che poi questa
differenziazione sia stata un bene o un male è un altro paio di
maniche, ma resta il fatto che c'è, e pertanto invocare la
meritocrazia per differenziare i salari non vale neppure come scusa.
Ma
come ci insegna il vecchio Marx: “le idee della classe dominante
sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè la classe che è la
potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua
potenza spirituale dominante”.
E
quindi la classe dominante ha e avrà sempre i mezzi per convincere
l'opinione pubblica che i professori lavorano solo 18 ore alla
settimana e che bisogna premiare chi lavora di più.
CHE
FARE?
Una
lezione ci viene dal passato. Nel 2000 il Concorsone voluto dal
ministro targato DS Luigi Belringuer venne affossato dalla più
grande ed unitaria mobilitazione della categoria che si ricordi a
memoria d'uomo. Mobilitazione unitaria del tutto slegata dai
sindacati confederali, che anzi la avversarono inizialmente, e che
impose al governo la revoca del provvedimento. Una lezione ancora
attuale, non c'è che dire: i docenti possono contare solo su se
stessi, sulla solidarietà di classe, sulla loro capacità di
mobilitarsi.
La
favola del “governo amico” si è rivelata un volta di più per
quello che è: una favola, appunto.
Il
PCL alle favole non ci ha mai creduto.
La
risposta a questo ennesimo capitolo reazionario contro la scuola
dev’essere all’altezza dello scontro politico e sociale generale,
che nella scuola vede una delle sue trincee principali. Fin da subito
bisognerà impegnarsi per:
-
organizzare assemblee dei docenti, siano essi precari o di ruolo, a
prescindere dalla loro appartenenza sindacale, in tutte le scuole
-
convocare un’assemblea nazionale dei vari coordinamenti di docenti
in lotta per discutere una mobilitazione di tutto il mondo della
scuola che coinvolga il corpo studentesco e il personale non docente
-
organizzare e partecipare a tutte le prime iniziative di
controinformazione e di mobilitazione, a partire dalla manifestazione
del 15 luglio a Montecitorio.