giovedì 17 luglio 2014

LA MINISTRA GIANNINI 

la consueta crociata contro gli insegnanti

13 Luglio 2014
Quando Stefania Giannini, appena insediatasi al dicastero di Viale Trastevere, parlò di importanti interventi nell'agenda del governo sul mondo dell'Istruzione, c'era da aspettarsi un ennesimo ulteriore capitolo dell’attacco alla nostra ormai devastata istruzione pubblica.
Una breve cronistoria dei passaggi con cui i governi, di centrosinistra e centrodestra, si sono alternati nel tentativo di smontare, privatizzare e infine distruggere la scuola pubblica ci mostra, in quanto a contenuti, quanto segue:
- la madre di tutte le riforme, la riforma Berlinguer del 1996, introduce l'autonomia scolastica (1997). Entra in vigore nel 2000 con la nascita del Fondo di Istituto, attraverso il quale con pochi spiccioli i docenti vengono “invitati” a svolgere qualsiasi tipo di attività funzionale all'insegnamento: € 17,50 lorde all'ora;
- abolizione degli esami di riparazione a settembre (D'Onofrio 1994), sostituiti col meccanismo dei debiti formativi e l'introduzione dei corsi di recupero (IDEI), poi la reintroduzione degli esami di riparazione, anticipati per la maggior parte delle scuole ad agosto (Fioroni 2007), fino alla recentissima abolizione de facto dei corsi di recupero causa mancanza di fondi;
- riforma dell'esame di maturità (Berlinguer 1997), con l'introduzione dell'esame di tutte le materie e di una commissione composta per metà da commissari esterni e per metà da commissari interni (1997), poi l’abolizione dei commissari esterni ad opera di Moratti (2001), e ancora la reintroduzione dei commissari esterni (Fioroni 2007);
- trasformazione del preside da “primus inter pares” in dirigente (anche questa frutto della riforma Berlinguer del 1997) e quindi, di fatto, in controparte dei docenti, con la correlativa abolizione della figura del vicepreside e dei collaboratori del preside eletti dal Collegio Docenti, e loro sostituzione con docenti nominati dal dirigente;
- riforma Moratti (2003) e la riforma Gelmini (2009), che con la scusa del “riordino dei cicli” hanno soppresso ore di insegnamento e intere materie. E' grazie a questi brillanti interventi normativi se oggi, nell'era della cosiddetta globalizzazione, i giovani italiani possono imparare la geografia solo da Gerry Scotti e da Carlo Conti, a titolo d'esempio;
- successivi, incessanti, non ancora completati ma inarrestabili accorpamenti di classi di concorso: ti faccio insegnare anche cose che non sai, purché mi tappi un buco e non mi costringi ad assumere;
- successive, incessanti, non ancora completate ma inarrestabili modificazioni dei criteri di reclutamento dei docenti, dalle SSIS (Scuola di specializzazione all'insegnamento secondario, poi abolite e poi reintrodotte sotto mentite spoglie) ai TFA (Tirocinio Formativo Attivo), infernali carrozzoni la cui morale è: “dato che lavoro non ce n'è, allora tu, caro neolaureato, studia, studia e ancora studia, partecipa ad esami e concorsi, fai tirocini in continuazione e aiutaci a spartirci qualche briciola di finanziamento UE, grazie”.
Tutte le controriforme della scuola e dell’università degli ultimi vent’anni, targate centrodestra o centrosinistra, rappresentano solo la classica punta dell'iceberg. Ognuna di esse si porta dietro centinaia, se non migliaia di decreti, di circolari applicative, nonché di interpretazioni sempre più “creative” dei dirigenti scolastici, che costringono i docenti ad una situazione di instabilità perenne, di “in-certezza del diritto” totale: una Babele di norme che hanno fatto lievitare le incombenze burocratiche e il peso dell'organizzazione gerarchica, a scapito della didattica e della libertà di insegnamento.
Ma qual è, nel concreto, lo scopo di questa montagna di leggi e di riforme? C'è un senso in questa sterminata produzione legislativa che ha investito il mondo della scuola negli ultimi vent’anni? Esiste un denominatore comune? Uno scopo?
La risposta è ovviamente sì: tutte queste leggi e leggine, riforme e riformine hanno in comune un unico obbiettivo, che è quello di tagliare posti di lavoro, bloccare il turn over, espellere i precari, aumentando di conseguenza i carichi per i dipendenti “sopravvissuti”, delegando a imprese ed enti di natura privatistica parti sempre più consistenti dell'azione (dis)educativa.
In questo senso la riforma Berlinguer del '96 e la correlata legge sull'autonomia scolastica del '97 sono state la “madre di tutte le riforme”. Al di là delle tanto sbandierate buone intenzioni, l'autonomia ha significato il sacrificio del concetto di “servizio di pubblica utilità” sull'altare della “logica del mercato”.
L'autonomia ha messo in concorrenza fra loro gli istituti scolastici, finendo per privilegiare il marketing rispetto al prodotto, ovvero le iniziative con risonanza mediatica rispetto alla didattica. Il risultato è stato quello di trasformare le scuole in “progettifici” e i docenti in impiegati chiamati a realizzare il budget pianificato nel Piano dell'Offerta Formativa.
Così come Taylor e Ford riorganizzando il lavoro in fabbrica eliminarono gli operai-artigiani di fine Ottocento, sostituendoli con degli alienati esecutori di semplici gesti ripetitivi, e come tali sostituibili in ogni momento, allo stesso modo il docente nell'era dell'autonomia vede oggi restringersi ogni giorno di più la sua libertà di insegnamento, incastrato fra le richieste del dirigente manager, quelle della famiglia-cliente e sotto la pressione di quell'esercito industriale di riserva che la disoccupazione intellettuale sta producendo a ritmi sempre più forsennati.
L'autorevole professore di una volta, magari un po' arrogante ma consapevole della propria professionalità, sta lasciando spazio a un impiegato timido e spaventato, al quale non resta più il tempo di aggiornarsi, ma solo quello di inventarsi qualche sotterfugio per sopravvivere.
L’ORARIO DI LAVORO, QUELLO VERO, E LA MERITOCRAZIA, QUELLA FINTA.

Che Sua Maestà Matteo Renzi, assegnando il dicastero dell'Istruzione a un ministro di Scelta Civica avesse firmato una formale dichiarazione di guerra al mondo della scuola lo avevano capito tutti. Tutti.... tranne gran parte degli insegnanti, purtroppo. Del resto si sa: Renzi è il Capo del PD, cioè del partito più votato dagli insegnanti italiani: doppio purtroppo.
Nel pacchetto-scuola presentato dal sottosegretario Reggi lo scopo finale di quest'ennesima riforma appare più che mai chiaro a tutti quanti, compresi i colleghi piddini: sopprimere il maggior numero possibile di posti di lavoro, a partire dai precari, aumentando l'orario di servizio a 36 ore e portando a termine la già sperimentata riduzione delle scuole superiori a quattro anni.
Per quel che riguarda l'orario di lavoro dei docenti è bene sgombrare subito il campo da pericolosi equivoci che spesso, anche a sinistra, insorgono.
I professori lavorano 18 ore la settimana e ancora si lamentano!” Quante volte abbiamo dovuto ascoltare queste parole? Parole, in alcuni casi, sincere e frutto di disinformazione. Altre volte, invece, menzogne spudorate, usate per scopi ben precisi.
E allora chiariamo una volta per tutte. Le ore di insegnamento in classe NON rappresentano l'orario di lavoro di un insegnante, ma solo una parte del suo lavoro: sicuramente la più impegnativa (e quanto impegnativa!), ma non certo l'unica. Sostenere che un professore lavora 18 ore alla settimana sarebbe come dire che un calciatore professionista lavora 90 minuti alla settimana, o equivarrebbe a misurare il lavoro di un bancario con le ore da lui trascorse allo sportello, e solo con quelle.
Dietro a quelle 18 ore settimanali ce ne sono almeno altrettante spese in riunioni collegiali, Collegi Docenti, Consigli di Classe ordinari e straordinari, scrutini, riunioni per aree disciplinare, programmazione didattica e relativa rendicontazione, redazione di relazioni e programmi, aggiornamento, preparazione di test e compiti in classe e relativa correzione, organizzazione di uscite didattiche, di visite aziendali, contatti con aziende, organizzazione di stages, e tutte le mille attività connesse alle varie commissioni delegate per occuparsi di tutto quanto rientra del P.O.F. di Istituto.
Bene, detto questo parliamo adesso delle ORE DI LEZIONE: le ore di lezione degli insegnanti italiani (22 ore nella scuola primaria, 18 nella secondaria inferiore e 18 nella secondaria superiore) sono in linea con quelle dei docenti di tutta Europa, anzi: superano largamente la media europea nella primaria (media europea 19,6) e nella secondaria superiore (16,3) e la superiamo leggermente nella secondaria inferiore (18,1) [fonte: Rapporto Europeo Eurydice 2012].
GLI ATTACCHI AL SALARIO E ALL’ORARIO NEL NOME DELLA MERITOCRAZIA.

Nella storia recente il più feroce attacco ai docenti, sul piano del salario, fu quello portato da Luigi Berlinguer, passato alla storia per il cosiddetto Concorsone (1999/2000).
Si trattava in altre parole di questo: abolizione degli scatti di anzianità (che per i docenti avvengono, o sarebbe meglio dire avvenivano, ogni 6/8 anni) e loro sostituzione con dei premi spettanti a quei professori che avessero superato un Concorsone, volto a misurarne la preparazione.
All'indomani dell'annuncio di tale riforma, i sindacati confederali CGIL, CISL e UIL iniziarono a girare per le scuole d'Italia distribuendo dispense con modelli di domande/risposte per il superamento del Concorsone e prendendo prenotazioni per i corsi (a pagamento) da loro organizzati.
Fu, in assoluto, una delle scene più vomitevoli che i lavoratori e le lavoratrici dell'istruzione sono stati costretti ad esperire.
In tempi più recenti Brunetta e Tremonti risolsero il problema scatti di anzianità abolendoli, ovvero, per usare un linguaggio più edulcorato, bloccandoli temporaneamente. Tale blocco, poi confermato da tutti i successivi governi, unito al fatto che i docenti italiani si ritrovano un contratto nazionale scaduto dal 2009, contribuisce a consolidarne il record di docenti meno pagati del mondo.
Ma evidentemente non è ancora abbastanza.
RENZI, GIANNINI E REGGI: UNA VOLTA TOCCATO IL FONDO SI PUO’ ANCORA SCAVARE.
E' quanto devono essersi detti, rincuorandosi, i nostri attuali governanti. Del resto, parliamoci chiaro: il fiscal compact impone tagli devastanti e, se fossero confermate le indiscrezioni rilevate da Wikileaks sull'accordo USA-UE in merito alla privatizzazione integrale di servizi pubblici primari (sanità, istruzione, trasporti), non deve stupire che si decida di affondare il bisturi là dove i capitoli della spesa sono ancora i più importanti.
E allora, se così deve essere, tutto fa brodo, compresa la solita demagogia sulla scuola che costa tanto. Anche se l'Italia continua ad essere uno degli ultimi Paesi al mondo per la spesa in istruzione rispetto al PIL. Compresa la solita, logora demagogia sulla meritocrazia. Anche se in tutto il comparto del pubblico impiego non esiste un settore nel quale gli stipendi annui siano così differenziati come in quello della scuola: è l'effetto di vent’anni di autonomia scolastica e di Fondo di Istituto. Che poi questa differenziazione sia stata un bene o un male è un altro paio di maniche, ma resta il fatto che c'è, e pertanto invocare la meritocrazia per differenziare i salari non vale neppure come scusa.
Ma come ci insegna il vecchio Marx: “le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante”.
E quindi la classe dominante ha e avrà sempre i mezzi per convincere l'opinione pubblica che i professori lavorano solo 18 ore alla settimana e che bisogna premiare chi lavora di più.
CHE FARE?
Una lezione ci viene dal passato. Nel 2000 il Concorsone voluto dal ministro targato DS Luigi Belringuer venne affossato dalla più grande ed unitaria mobilitazione della categoria che si ricordi a memoria d'uomo. Mobilitazione unitaria del tutto slegata dai sindacati confederali, che anzi la avversarono inizialmente, e che impose al governo la revoca del provvedimento. Una lezione ancora attuale, non c'è che dire: i docenti possono contare solo su se stessi, sulla solidarietà di classe, sulla loro capacità di mobilitarsi.
La favola del “governo amico” si è rivelata un volta di più per quello che è: una favola, appunto.
Il PCL alle favole non ci ha mai creduto.
La risposta a questo ennesimo capitolo reazionario contro la scuola dev’essere all’altezza dello scontro politico e sociale generale, che nella scuola vede una delle sue trincee principali. Fin da subito bisognerà impegnarsi per:
- organizzare assemblee dei docenti, siano essi precari o di ruolo, a prescindere dalla loro appartenenza sindacale, in tutte le scuole
- convocare un’assemblea nazionale dei vari coordinamenti di docenti in lotta per discutere una mobilitazione di tutto il mondo della scuola che coinvolga il corpo studentesco e il personale non docente
- organizzare e partecipare a tutte le prime iniziative di controinformazione e di mobilitazione, a partire dalla manifestazione del 15 luglio a Montecitorio.

Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione scuola e università