giovedì 26 febbraio 2015

LA LEZIONE GRECA
Lezione greca26 Febbraio 2015

L'evoluzione della situazione greca offre indicazioni di inestimabile valore a tutte le avanguardie di classe disponibili a ragionare e a battersi per una soluzione anticapitalistica.
L'astro nascente di Syriza si è trasformato in stella cadente in meno di un mese.
La grande illusione di un rilancio riformistico in Europa ha subito battuto la testa contro il muro. I gruppi dirigenti di una sinistra italiana allo sbando che cercavano in Syriza la propria resurrezione hanno sbagliato ancora una volta i propri calcoli. Lo sforzo imperturbabile del quotidiano “Il manifesto” di continuare a presentare Tsipras, contro ogni evidenza, come il condottiero della vittoria, dimostra l'ipocrisia imbarazzante di un riformismo che non vuole rassegnarsi alla verità. O al fallimento dei propri investimenti editoriali.
I fatti hanno parlato con un linguaggio crudo, che non lascia spazio ad equivoci.
Tsipras aveva sperato di potersi ritagliare uno spazio di manovra tra capitale e lavoro. Puntava da un lato alla ristrutturazione negoziata del debito pubblico con gli Stati strozzini, presso i quali da tempo aveva voluto accreditarsi. Dall'altro ad una riduzione concordata dell'avanzo primario capace di consentirgli misure sociali immediate e tangibili per confermare l'impressione della “svolta”.

LA RESA AI CREDITORI

L'operazione è fallita. I creditori strozzini, cioè gli Stati imperialisti dell'Unione non hanno concesso a Tsipras neppure la maschera. Il tradimento delle promesse sociali è apparso clamoroso. Di più. Al tavolo da gioco il dinamico ministro delle Finanze Varkufakis non ha potuto nemmeno avanzare le proposte di compromesso inizialmente propagandate (riduzione del debito, conferenza europea sul debito, riduzione dell'avanzo primario dal 4,5% all'1,5%). Perchè persino quelle timide proposte negoziali erano irricevibili dagli Stati imperialisti. Al contrario sono stati gli Stati imperialisti a dettare le proprie richieste: continuità del Memorandum e del commissariamento della Grecia da parte della Troika; salvaguardia delle privatizzazioni rapina già realizzate o avviate; continuità della stretta sociale su sanità e pensioni; nessun innalzamento della soglia di esenzione fiscale per le famiglie più povere. Syriza salva l'”ambizione” a elevare il salario minimo, come eventualità futura, senza quantificazioni e indicazioni di data, e per di più solo se i creditori daranno via libera. La rinuncia codificata da parte del governo a qualsiasi “misura unilaterale” dà ai creditori strozzini un potere di veto totale. L'unica foglia di fico concessa a Tsipras è quella di chiamare il Memorandum “le misure in essere” e la Troika “le istituzioni”. La pretesa di Tsipras di aggrapparsi alla semantica per cantare vittoria è più penosa che il riconoscimento della sconfitta. La qualifica di “bertinottismo greco” si attaglia davvero alla perfezione, se non fosse che la tragedia greca lascia poco spazio al sorriso.
Ciò che è accaduto racchiude una formidabile lezione politica. Non c'è alcun reale spazio riformistico dentro la crisi capitalistica europea. L'illusione propagata a piene mani dai partiti della Sinistra Europea, Syriza in testa, circa un possibile compromesso dinamico progressivo dentro la camicia di forza dell'Unione Europea, si conferma come un volgare inganno per i lavoratori. Subordinare la loro volontà di cambiamento alle compatibilità del capitalismo europeo equivale al tradimento di quella volontà. Anche quando quella volontà ha dietro di sé la forza di una mobilitazione di anni, come nel caso greco. Anzi, quanto più la domanda popolare di svolta è radicale, perchè dettata dalla disperazione sociale e dalla generosità della lotta, tanto più la pretesa di subordinarla al capitale consuma un tradimento vergognoso. Tale è il tradimento compiuto da Syriza e Tsipras in Grecia. Senza alcuna attenuante.
Il cuore del tradimento non sta in un eccesso di arrendevolezza al tavolo negoziale con gli strozzini. Sta nell'aver accettato e perseguito quel tavolo. Sta nel fatto di aver perseguito l'accordo con gli Stati strozzini presentandolo come possibile canale di svolta per gli sfruttati. A quel tavolo negoziale il risultato era già scritto in partenza. E tutti i nuovi negoziati annunciati in primavera non faranno che confermarlo. La lezione è semplice: non si può “cambiare l'Europa” col consenso dei padroni d'Europa; non si può “cambiare la Grecia” col consenso dei banchieri e degli armatori greci. Solo una rottura radicale col capitalismo greco ed europeo può segnare una svolta vera. Solo un governo dei lavoratori può realizzare tale svolta. Fuori da questa prospettiva, contro questa prospettiva, c'è solo l'eterno ripetersi di una capitolazione obbligata. E un rischio enorme: quello di consegnare l'inevitabile disillusione popolare alle fauci naziste di Alba Dorata. Il fatto che i dirigenti di Alba Dorata abbiano detto dopo il 25 Gennaio “Syriza fallirà, poi arriveremo noi”, non rappresenta affatto un innocuo gesto provocatorio. Rappresenta un lucido disegno. I legami del nazismo greco coi corpi di polizia e le strutture militari già eredi della dittatura dei Colonnelli (1967), colorano quel disegno di tinte particolarmente inquietanti.
Il bivio di fondo è inequivocabile: o il movimento operaio greco darà la propria soluzione sul terreno rivoluzionario alla crisi del proprio paese oppure c'è il rischio drammatico che la soluzione, prima o poi, la dia la peggiore reazione contro il movimento operaio.

PER UN PROGRAMMA ANTICAPITALISTICO DI EMERGENZA

La necessità di una soluzione rivoluzionaria è peraltro suggerita dall'emergenza economico sociale. Che detta in forma chiarissima le misure anticapitaliste da realizzare.
E' necessario innanzitutto annullare il debito pubblico greco verso tutti gli strozzini imperialisti (UE, BCE, FMI, banche private). Un debito di 320 miliardi è impagabile. Accettare di pagarlo significa condannare il futuro di generazioni. Puntare a negoziare coi creditori la sua ristrutturazione significa esporsi come si vede a odiosi ricatti e inaccettabili contropartite. La Grecia paga ogni anno più di 7 miliardi di soli interessi sul debito. Siamo al punto che persino la ventilata tassa patrimoniale sulle grandi fortune (ad oggi rimossa) sarebbe chiamata a pagare il debito pubblico agli Stati imperialisti, invece che finanziare la redistribuzione sociale della ricchezza. Non c'è altra via che l'annullamento unilaterale del debito. La tesi diffusa dalla stampa borghese italiana secondo cui l'annullamento del debito greco significherebbe un colpo al portafoglio dei “cittadini italiani, tedeschi o francesi” è una volgare menzogna. I titoli greci nelle casse degli Stati strozzini sono solo il frutto della rapina da essi compiuta sulle tasche dei propri lavoratori (italiani, tedeschi, francesi), che hanno di fatto pagato l'acquisto di quei titoli, e al tempo stesso un nodo scorsoio al collo dei lavoratori greci. Se i lavoratori greci tagliano il cappio del debito forniscono un esempio ai lavoratori italiani, francesi, tedeschi, contro i banchieri di casa propria, normalmente detentori del debito pubblico nazionale. L'annullamento del debito pubblico greco sarebbe dunque un atto di solidarietà internazionale tra sfruttati dei diversi paesi contro i propri capitalisti e contro lo strozzinaggio imperialista.
In secondo luogo vanno nazionalizzate le banche greche (e le banche in Grecia dei paesi imperialisti), senza indennizzo per i grandi azionisti. Ogni giorno le banche greche rappresentano il canale di fuga di 300 milioni. Non fuggono i risparmi dei poveracci. Fuggono i capitali degli armatori, dei costruttori, dei capitalisti greci, già grandi evasori fiscali e affossatori ordinari del bilancio pubblico. Il paradosso è che parte degli “aiuti” degli Stati strozzini alla Grecia- pagati dai lavoratori europei- servono a ricapitalizzare le banche greche, cioè a riempire i buchi provocati dalla fuga dei capitalisti greci. Naturalmente questi “aiuti” vengono fatti pagare a loro volta ai lavoratori greci, chiamati a “ringraziare” con nuovi sacrifici il salvataggio dei propri banchieri. C'è un solo modo di stroncare tutto questo: espropriare le banche greche unificandole in una unica banca di Stato. E' l'unico modo di bloccare la fuga dei capitali, e di costruire oltretutto una vera anagrafe patrimoniale.
In terzo luogo è necessario espropriare le cento grandi famiglie del capitalismo greco, a partire dagli armatori. Gli armatori greci detengono il 20% della marina mercantile mondiale. Eppure la Costituzione greca (art 96) regala l'esenzione fiscale agli armatori. I quali concentrano nelle proprie mani le redini del capitalismo greco e una ricchezza immensa. Gli armatori minacciano di “portare altrove la propria flotta” nel caso si chieda loro di pagare le tasse. C'è un solo modo di replicare al ricatto: sequestrare la loro flotta, acquisirla allo Stato. Senza indennizzo ovviamente, visto che l'indennizzo è già stato loro pagato da mezzo secolo di esenzioni fiscali. L'esproprio degli armatori, dei grandi costruttori, dei capitalisti dell'industria alimentare e farmaceutica -combinato con la nazionalizzazione delle banche- consentirebbe di riorganizzare da cima a fondo l'economia greca ponendola sotto controllo dei lavoratori. E rappresenterebbe oltretutto l'unica misura capace di stroncare alla radice la corruzione.

PER UN GOVERNO DEI LAVORATORI E DELLA POPOLAZIONE
POVERA

Queste tre misure fra loro collegate sono indispensabili e urgenti per salvare la società greca.
Possono essere imposte solamente dalla forza rivoluzionaria della mobilitazione operaia e popolare. Possono essere realizzate solamente da un governo dei lavoratori e della popolazione povera di Grecia, basato sulla loro organizzazione e la loro forza.
Se solo Syriza e KKE lo volessero potrebbero formare in pochi giorni tale governo e realizzare immediatamente queste misure con un semplice voto parlamentare: rompendo col partito reazionario di ANEL, raccogliendo la volontà e le esigenze popolari, appoggiandosi sulla mobilitazione del popolo. Ma non vogliono. Syriza come si è visto si è votata all'accordo con gli strozzini. Il KKE non vuole battersi per il potere dei lavoratori, ma si limita a salvaguardare il proprio spazio. Gli uni e gli altri vocati a coltivare le proprie rendite politiche dentro la società borghese, o nel ruolo di governo (borghese) o nelle vesti di opposizione (di sua maestà).
La costruzione del partito della rivoluzione è all'ordine del giorno in Grecia. Il Partito operaio rivoluzionario greco (EEK) è impegnato nella costruzione di questo partito. I fatti dimostrano, giorno dopo giorno, che solo un partito rivoluzionario, capace di unificare sul proprio programma tutte le avanguardie di classe e di movimento, può candidarsi a dirigere i lavoratori e la popolazione povera di Grecia verso l'unico sbocco coerente: la conquista proletaria del potere, il rovesciamento del potere borghese, l'instaurazione del potere dei lavoratori e dei loro organismi democratici e di massa. Di certo un governo dei lavoratori greci, con la sua stessa esistenza e con le proprie misure rivoluzionarie, costituirebbe un esempio per i lavoratori di tutta Europa, e un fattore eccezionale di mobilitazione per gli Stati Uniti socialisti d'Europa.
Il PCL è a fianco del partito fratello EEK, nella lotta comune per la rivoluzione socialista.

Marco Ferrando,

portavoce del Partito Comunista dei Lavoratori