LA
LEZIONE GRECA
L'evoluzione
della situazione greca offre indicazioni di inestimabile valore a
tutte le avanguardie di classe disponibili a ragionare e a battersi
per una soluzione anticapitalistica.
L'astro
nascente di Syriza si è trasformato in stella cadente in meno di un
mese.
La
grande illusione di un rilancio riformistico in Europa ha subito
battuto la testa contro il muro. I gruppi dirigenti di una sinistra
italiana allo sbando che cercavano in Syriza la propria resurrezione
hanno sbagliato ancora una volta i propri calcoli. Lo sforzo
imperturbabile del quotidiano “Il manifesto” di continuare a
presentare Tsipras, contro ogni evidenza, come il condottiero della
vittoria, dimostra l'ipocrisia imbarazzante di un riformismo che non
vuole rassegnarsi alla verità. O al fallimento dei propri
investimenti editoriali.
I
fatti hanno parlato con un linguaggio crudo, che non lascia spazio ad
equivoci.
Tsipras
aveva sperato di potersi ritagliare uno spazio di manovra tra
capitale e lavoro. Puntava da un lato alla ristrutturazione negoziata
del debito pubblico con gli Stati strozzini, presso i quali da tempo
aveva voluto accreditarsi. Dall'altro ad una riduzione concordata
dell'avanzo primario capace di consentirgli misure sociali immediate
e tangibili per confermare l'impressione della “svolta”.
LA
RESA AI CREDITORI
L'operazione
è fallita. I creditori strozzini, cioè gli Stati imperialisti
dell'Unione non hanno concesso a Tsipras neppure la maschera. Il
tradimento delle promesse sociali è apparso clamoroso. Di più. Al
tavolo da gioco il dinamico ministro delle Finanze Varkufakis non ha
potuto nemmeno avanzare le proposte di compromesso inizialmente
propagandate (riduzione del debito, conferenza europea sul debito,
riduzione dell'avanzo primario dal 4,5% all'1,5%). Perchè persino
quelle timide proposte negoziali erano irricevibili dagli Stati
imperialisti. Al contrario sono stati gli Stati imperialisti a
dettare le proprie richieste: continuità del Memorandum e del
commissariamento della Grecia da parte della Troika; salvaguardia
delle privatizzazioni rapina già realizzate o avviate; continuità
della stretta sociale su sanità e pensioni; nessun innalzamento
della soglia di esenzione fiscale per le famiglie più povere. Syriza
salva l'”ambizione” a elevare il salario minimo, come eventualità
futura, senza quantificazioni e indicazioni di data, e per di più
solo se i creditori daranno via libera. La rinuncia codificata da
parte del governo a qualsiasi “misura unilaterale” dà ai
creditori strozzini un potere di veto totale. L'unica foglia di fico
concessa a Tsipras è quella di chiamare il Memorandum “le misure
in essere” e la Troika “le istituzioni”. La pretesa di Tsipras
di aggrapparsi alla semantica per cantare vittoria è più penosa che
il riconoscimento della sconfitta. La qualifica di “bertinottismo
greco” si attaglia davvero alla perfezione, se non fosse che la
tragedia greca lascia poco spazio al sorriso.
Ciò
che è accaduto racchiude una formidabile lezione politica. Non c'è
alcun reale spazio riformistico dentro la crisi capitalistica
europea. L'illusione propagata a piene mani dai partiti della
Sinistra Europea, Syriza in testa, circa un possibile compromesso
dinamico progressivo dentro la camicia di forza dell'Unione Europea,
si conferma come un volgare inganno per i lavoratori. Subordinare la
loro volontà di cambiamento alle compatibilità del capitalismo
europeo equivale al tradimento di quella volontà. Anche quando
quella volontà ha dietro di sé la forza di una mobilitazione di
anni, come nel caso greco. Anzi, quanto più la domanda popolare di
svolta è radicale, perchè dettata dalla disperazione sociale e
dalla generosità della lotta, tanto più la pretesa di subordinarla
al capitale consuma un tradimento vergognoso. Tale è il tradimento
compiuto da Syriza e Tsipras in Grecia. Senza alcuna attenuante.
Il
cuore del tradimento non sta in un eccesso di arrendevolezza al
tavolo negoziale con gli strozzini. Sta nell'aver accettato e
perseguito quel tavolo. Sta nel fatto di aver perseguito l'accordo
con gli Stati strozzini presentandolo come possibile canale di svolta
per gli sfruttati. A quel tavolo negoziale il risultato era già
scritto in partenza. E tutti i nuovi negoziati annunciati in
primavera non faranno che confermarlo. La lezione è semplice: non si
può “cambiare l'Europa” col consenso dei padroni d'Europa; non
si può “cambiare la Grecia” col consenso dei banchieri e degli
armatori greci. Solo una rottura radicale col capitalismo greco ed
europeo può segnare una svolta vera. Solo un governo dei lavoratori
può realizzare tale svolta. Fuori da questa prospettiva, contro
questa prospettiva, c'è solo l'eterno ripetersi di una capitolazione
obbligata. E un rischio enorme: quello di consegnare l'inevitabile
disillusione popolare alle fauci naziste di Alba Dorata. Il fatto che
i dirigenti di Alba Dorata abbiano detto dopo il 25 Gennaio “Syriza
fallirà, poi arriveremo noi”, non rappresenta affatto un innocuo
gesto provocatorio. Rappresenta un lucido disegno. I legami del
nazismo greco coi corpi di polizia e le strutture militari già eredi
della dittatura dei Colonnelli (1967), colorano quel disegno di tinte
particolarmente inquietanti.
Il
bivio di fondo è inequivocabile: o il movimento operaio greco darà
la propria soluzione sul terreno rivoluzionario alla crisi del
proprio paese oppure c'è il rischio drammatico che la soluzione,
prima o poi, la dia la peggiore reazione contro il movimento operaio.
PER
UN PROGRAMMA ANTICAPITALISTICO DI EMERGENZA
La
necessità di una soluzione rivoluzionaria è peraltro suggerita
dall'emergenza economico sociale. Che detta in forma chiarissima le
misure anticapitaliste da realizzare.
E'
necessario innanzitutto annullare il debito pubblico greco verso
tutti gli strozzini imperialisti (UE, BCE, FMI, banche private). Un
debito di 320 miliardi è impagabile. Accettare di pagarlo significa
condannare il futuro di generazioni. Puntare a negoziare coi
creditori la sua ristrutturazione significa esporsi come si vede a
odiosi ricatti e inaccettabili contropartite. La Grecia paga ogni
anno più di 7 miliardi di soli interessi sul debito. Siamo al punto
che persino la ventilata tassa patrimoniale sulle grandi fortune (ad
oggi rimossa) sarebbe chiamata a pagare il debito pubblico agli Stati
imperialisti, invece che finanziare la redistribuzione sociale della
ricchezza. Non c'è altra via che l'annullamento unilaterale del
debito. La tesi diffusa dalla stampa borghese italiana secondo cui
l'annullamento del debito greco significherebbe un colpo al
portafoglio dei “cittadini italiani, tedeschi o francesi” è una
volgare menzogna. I titoli greci nelle casse degli Stati strozzini
sono solo il frutto della rapina da essi compiuta sulle tasche dei
propri lavoratori (italiani, tedeschi, francesi), che hanno di fatto
pagato l'acquisto di quei titoli, e al tempo stesso un nodo scorsoio
al collo dei lavoratori greci. Se i lavoratori greci tagliano il
cappio del debito forniscono un esempio ai lavoratori italiani,
francesi, tedeschi, contro i banchieri di casa propria, normalmente
detentori del debito pubblico nazionale. L'annullamento del debito
pubblico greco sarebbe dunque un atto di solidarietà internazionale
tra sfruttati dei diversi paesi contro i propri capitalisti e contro
lo strozzinaggio imperialista.
In
secondo luogo vanno nazionalizzate le banche greche (e le banche in
Grecia dei paesi imperialisti), senza indennizzo per i grandi
azionisti. Ogni giorno le banche greche rappresentano il canale di
fuga di 300 milioni. Non fuggono i risparmi dei poveracci. Fuggono i
capitali degli armatori, dei costruttori, dei capitalisti greci, già
grandi evasori fiscali e affossatori ordinari del bilancio pubblico.
Il paradosso è che parte degli “aiuti” degli Stati strozzini
alla Grecia- pagati dai lavoratori europei- servono a ricapitalizzare
le banche greche, cioè a riempire i buchi provocati dalla fuga dei
capitalisti greci. Naturalmente questi “aiuti” vengono fatti
pagare a loro volta ai lavoratori greci, chiamati a “ringraziare”
con nuovi sacrifici il salvataggio dei propri banchieri. C'è un solo
modo di stroncare tutto questo: espropriare le banche greche
unificandole in una unica banca di Stato. E' l'unico modo di bloccare
la fuga dei capitali, e di costruire oltretutto una vera anagrafe
patrimoniale.
In
terzo luogo è necessario espropriare le cento grandi famiglie del
capitalismo greco, a partire dagli armatori. Gli armatori greci
detengono il 20% della marina mercantile mondiale. Eppure la
Costituzione greca (art 96) regala l'esenzione fiscale agli armatori.
I quali concentrano nelle proprie mani le redini del capitalismo
greco e una ricchezza immensa. Gli armatori minacciano di “portare
altrove la propria flotta” nel caso si chieda loro di pagare le
tasse. C'è un solo modo di replicare al ricatto: sequestrare la loro
flotta, acquisirla allo Stato. Senza indennizzo ovviamente, visto che
l'indennizzo è già stato loro pagato da mezzo secolo di esenzioni
fiscali. L'esproprio degli armatori, dei grandi costruttori, dei
capitalisti dell'industria alimentare e farmaceutica -combinato con
la nazionalizzazione delle banche- consentirebbe di riorganizzare da
cima a fondo l'economia greca ponendola sotto controllo dei
lavoratori. E rappresenterebbe oltretutto l'unica misura capace di
stroncare alla radice la corruzione.
PER
UN GOVERNO DEI LAVORATORI E DELLA POPOLAZIONE
POVERA
Queste
tre misure fra loro collegate sono indispensabili e urgenti per
salvare la società greca.
Possono
essere imposte solamente dalla forza rivoluzionaria della
mobilitazione operaia e popolare. Possono essere realizzate solamente
da un governo dei lavoratori e della popolazione povera di Grecia,
basato sulla loro organizzazione e la loro forza.
Se
solo Syriza e KKE lo volessero potrebbero formare in pochi giorni
tale governo e realizzare immediatamente queste misure con un
semplice voto parlamentare: rompendo col partito reazionario di ANEL,
raccogliendo la volontà e le esigenze popolari, appoggiandosi sulla
mobilitazione del popolo. Ma non vogliono. Syriza come si è visto si
è votata all'accordo con gli strozzini. Il KKE non vuole battersi
per il potere dei lavoratori, ma si limita a salvaguardare il proprio
spazio. Gli uni e gli altri vocati a coltivare le proprie rendite
politiche dentro la società borghese, o nel ruolo di governo
(borghese) o nelle vesti di opposizione (di sua maestà).
La
costruzione del partito della rivoluzione è all'ordine del giorno in
Grecia. Il Partito operaio rivoluzionario greco (EEK) è impegnato
nella costruzione di questo partito. I fatti dimostrano, giorno dopo
giorno, che solo un partito rivoluzionario, capace di unificare sul
proprio programma tutte le avanguardie di classe e di movimento, può
candidarsi a dirigere i lavoratori e la popolazione povera di Grecia
verso l'unico sbocco coerente: la conquista proletaria del potere, il
rovesciamento del potere borghese, l'instaurazione del potere dei
lavoratori e dei loro organismi democratici e di massa. Di certo un
governo dei lavoratori greci, con la sua stessa esistenza e con le
proprie misure rivoluzionarie, costituirebbe un esempio per i
lavoratori di tutta Europa, e un fattore eccezionale di mobilitazione
per gli Stati Uniti socialisti d'Europa.
Il
PCL è a fianco del partito fratello EEK, nella lotta comune per la
rivoluzione socialista.
Marco
Ferrando,
portavoce
del Partito Comunista dei Lavoratori