LA
“COALIZIONE SOCIALE” DI MAURIZIO LANDINI:
FRONTE UNICO DI LOTTA O
SPECCHIETTO RIFORMISTA PER ALLODOLE?
15
Marzo 2015
Maurizio
Landini e la FIOM hanno promosso l'iniziativa della coalizione
sociale: “una iniziativa rivolta a unire tutti i lavoratori e i
soggetti colpiti contro l'alleanza fra Governo e Confindustria”.
Messa così, chi potrebbe essere in disaccordo? Da anni il PCL
rivendica l'esigenza del più vasto fronte unico di classe contro
governo e padronato. L'avvento del governo Renzi, il suo progetto
reazionario bonapartista, il salto dell'offensiva dominante contro
lavoro e diritti, rendono ancor più necessaria e urgente la
costruzione del fronte di classe di tutte le sinistre politiche,
sindacali, associative, di movimento. Gli ammiccamenti verso il
renzismo da parte dei vertici FIOM nei primi sei mesi del governo
Renzi avevano rappresentato una enormità, che ha provocato danni,
paralizzato lotte, confuso coscienze. Il fatto che l'aggressione
frontale da parte di Renzi ai lavoratori e al sindacato abbia
successivamente costretto Landini a collocarsi all'opposizione del
renzismo, è in sé positivo. La “coalizione sociale”
antigovernativa vuole formalizzare e consolidare, dopo le lotte
d'autunno, questa ricollocazione? Ben venga.
Ma
non è tutto oro ciò che brilla.
In
primo luogo una coalizione sociale ha senso se è un fronte unico
d'azione. E l'azione unitaria deve essere tanto radicale quanto
radicale è l'offensiva del governo. Così non è stato e non è. La
scelta di CGIL e FIOM al piede di partenza dell'autunno di opporsi
all'attacco all'articolo 18 fu naturalmente positiva. Ma il bilancio
dell'opposizione è stato disastroso. Nessuna svolta radicale delle
forme di lotta. Rinuncia all'occupazione delle fabbriche persino
nelle condizioni più favorevoli (AST Terni). Assenza di una reale
piattaforma di lotta unificante del movimento. Convocazione di uno
sciopero generale (12 Dicembre) non per dare continuità alla lotta
ma per chiuderla con un atto simbolico. Il risultato è sotto gli
occhi di tutti. Il governo ha proseguito la sua strada come un rullo
compressore senza incontrare resistenza, se non verbale. Il
licenziamento arbitrario per nuovi assunti è passato, persino nella
forma del licenziamento collettivo. Una sconfitta pesante. Sia in sé,
sia per gli effetti sul morale delle masse. Il fatto che i generali
della campagna d'autunno (Camusso e Landini) non traggano alcun
bilancio del proprio operato conferma e aggrava le loro
responsabilità. Basta l'invenzione della “coalizione sociale”
per rimuoverle? Ma soprattutto: coalizione sociale per cosa? Non
basta elencare diritti e ragioni, se non si indica e promuove con
chiarezza una svolta generale nell'azione di lotta. Convegni,
incontri, manifestazioni, seppur in sé positive, non spostano di una
virgola i rapporti di forza reali fra le classi sul piano generale e
nei luoghi di lavoro. Nè li sposta una proiezione di cartello del
sindacato verso l'associazionismo civico (Libera, Emergency, Arci).
Non c'è surrogato possibile della necessaria azione di
lotta-continuativa, concentrata, radicale- di milioni di lavoratori,
lavoratrici, precari, disoccupati. La battaglia democratica contro i
progetti istituzionali reazionari del governo è importantissima. Ma
solo la mobilitazione centrale della classe può darle forza d'urto e
prospettiva. Aprire un confronto unitario sulle condizioni e premesse
di una vera svolta di lotta è e resta la prima necessità. Senza
svolta reale di mobilitazione la “coalizione sociale” diventa la
copertura di una ritirata e di una sconfitta.
In
secondo luogo, si pone un nodo politico.
Landini
precisa che la “coalizione sociale” non è né un partito, né
una lista elettorale. Ma parallelamente abbondano i riferimenti a
Syriza, Podemos, o alle origini del partito laburista. Poichè a
pensar male ci si azzecca, mettiamola così: Maurizio Landini prende
tempo per vedere se entrerà la carta di una sua possibile
successione ai vertici della CGIL, riservandosi in caso contrario un
proprio investimento politico. L'ambiguità voluta di oggi copre un'
incertezza di futuro. Comprensibile e legittimo. Tuttavia, al netto
di questa considerazione, ci permettiamo due osservazioni.
La
prima, minore, è che le fortune di Syriza e Podemos sono dovute non
ad alchimie politiche ma alla radicalizzazione sociale di massa che
ha percorso Grecia e Spagna negli anni di crisi: una radicalizzazione
sociale che ha cercato e trovato l'espressione elettorale in sinistre
non compromesse nelle politiche di austerità. In Italia abbiamo una
situazione capovolta: da un lato sinistre politiche suicidatesi con
le politiche dei sacrifici e dall'altro pesante arretramento dei
livelli di mobilitazione di massa. Renzismo e Grillismo ne sono
l'effetto. Non c'è scorciatoia e trovata “politica” che possa
aggirare questa realtà. Pensare di forgiare in laboratorio una
sinistra politico/ elettorale di successo senza una svolta di lotta
di milioni di proletari e di giovani significa coltivare l'ennesima
illusione.
La
seconda osservazione è sostanziale. Quale soggetto politico di
rappresentanza? Non saremo certo noi a negare l'assenza in Italia di
una rappresentanza politica maggioritaria del movimento operaio e
degli sfruttati, e dunque di una direzione politica delle loro lotte.
Ma l'assenza di questa rappresentanza non è forse il prodotto
cumulativo del fallimento pregresso di tutte le forme ed esperienze
di “compromesso riformatore” col centrosinistra e il capitalismo
italiano? Riproporre in forme diverse quel canovaccio fallito non può
essere la risposta al fallimento. Si indica il faro di Syriza, si
promuovono brigate Kalimera in terra greca, si presenta Tsipras come
la nuova terra promessa e leva di riscatto della sinistra italiana.
Ma paradossalmente lo si fa nel momento stesso in cui la realtà si
vendica della finzione. Nel momento stesso in cui la pretesa di
Syriza di “un compromesso riformatore” con gli Stati
(imperialisti) strozzini si conclude nella resa obbligata ai
creditori, nella cancellazione di fatto delle solenne promesse
elettorali, nel tradimento delle aspettative di cambiamento. C'è in
questa sequenza la lezione profonda dei fatti, che hanno la testa
dura: non c'è uno spazio reale riformista nella crisi capitalistica
europea e nella camicia di forza dell'Unione. Una sinistra che voglia
ricomporsi attorno a questa illusione fallita non avrà davanti a sé
alcun futuro storico. Persino se avesse un immediato futuro politico.
La
costruzione del partito di classe rivoluzionario è e resterà la
bussola del nostro lavoro. In ogni fronte unico di lotta, in ogni
battaglia di massa, in ogni occasione di incontro, confronto,
manifestazione. 28 Marzo incluso.
PARTITO
COMUNISTA DEI LAVORATORI