DA MAFIA CAPITALE ALLE GRANDI OPERE INUTILI
di Michele Terra
1
Aprile 2015
Le
vicende di Roma Mafia Capitale, così come altri piccoli-medi-grandi
scandali locali, hanno portato alla ribalta il ruolo non proprio
limpido di quello che fu il mondo delle cosiddette cooperative rosse,
che nel corso degli ultimi decenni ha conosciuto una radicale
modifica di senso, prospettive e valori.
Il
mondo antico
C'era
una volta, come in una bella favola per bambini, il movimento
cooperativo che nasceva da una costola del movimento dei lavoratori,
della terra così come delle fabbriche, per porsi sul terreno del
miglioramento immediato delle condizioni di vita del proletariato. E'
una storia lunga quella del movimento cooperativo in Italia, che
affonda le sue radici nella fine dell'800 – ma alcune forme più
primitive sono addirittura antecedenti – per aumentare la propria
consistenza nei decenni del '900, di pari passo all'avanzare delle
forme politiche e sindacali organizzate delle classi subalterne. Sono
due le grandi categorie della cooperazione: le coop di consumo, che
si pongono il problema di fornire ai soci beni di prima necessità –
in primo luogo cibo - a prezzi calmierati rispetto il c.d. libero
mercato; le coop di produzione-lavoro che associando lavoratori,
spesso con varie specializzazioni, servono beni e servizi. Accanto a
questi due tipi di coop si sviluppa il mutuo soccorso, con
l'obiettivo, dietro il pagamento di basse quote associative, di
garantire le prime forme di assistenza e previdenza sociale per i
lavoratori e le loro famiglie. Ma il movimento cooperativo non
rimarrà un fenomeno del mondo proletario e socialista; intuendone
l'importanza in termini di aggregazione e consenso sociale, anche i
cattolici, su iniziativa diretta della chiesa, si porrà sullo stesso
terreno: arrivano così le cooperative bianche, che in più di
un'occasione si porranno in contrapposizione ai “rossi”, a volte
diventando strumenti operativi di crumiraggio contro gli scioperanti.
L'immagine
del nuovo potere cooperativo
Il
Novecento – con la maiuscola – delle lotte di classe, della
battaglia del proletariato organizzato per il socialismo, per il
mondo delle cooperative rosse è davvero finito e si è trasformato
nel suo contrario esatto. Peraltro buona parte di questa mutazione
delle coop verso il mondo del profitto anticipa la fine politica del
PCI, in qualche misura ne è probabilmente anche agente attivo. E'
passato tanto tempo da quando nell'ultimo dopoguerra le coop erano
ancora strumento ed elemento propulsore del movimento operaio e dei
lavoratori. Vogliamo ricordare che nei primi anni '60 a presiedere la
Lega delle Cooperativa fu un certo Silvio Paolicchi, dirigente
nazionale del PCI e membro del Comitato Centrale, che, da comunista e
rivoluzionario coerente, poco tempo dopo aderirà al trotskismo
conseguente, rimanendone militante per il resto della vita. Oggi il
potere economico del mondo cooperativo che fu rosso svetta alto nel
cielo di Bologna e si specchia simbolicamente nel suo omologo potere
politico. Nel moderno – addirittura avveniristico quando fu
progettato - quartiere fieristico della città, la torre bianca della
Legacoop si riflette a poche decine di metri nella sua copia
ospitante la giunta e la presidenza della Regione Emilia-Romagna. La
stessa morfologia della città è stata in parte modificata dalla
megalomania edilizia dell'élite cooperativa. Appena fuori dal centro
storico troviamo Porta Europa, vero mostro architettonico, di
proprietà Unipol (assicurazione da sempre legata al PCI e al mondo
cooperativo, ora anche banca, che si è sviluppata e sostituita ai
vecchi mutui soccorso) che, oltre a contenere parte della direzione
del gruppo, ospita al suo interno uno dei ristoranti più esclusivi
della città: a coperto sono circa 150 euro bevande escluse. Poco
distante si lancia verso l'infinito la torre Unipol, il grattacielo
più alto della regione, ben visibile da chi attraversi l'autostrada.
Nella periferia opposta si trova il palazzone di vetro del famigerato
CCC: Consorzio della Cooperative Costruttrici, i signori del mattone
rosso, l'equivalente cooperativo dei volgarmente noti palazzinari. I
vecchi e storici insegnamenti sono stati appresi senza fatica e senza
remore dalla dirigenza cooperativa e dai suoi grandi manager che,
forse, in gioventù furono rossi e progressisti. Pecunia non olet
potrebbe essere il titolo di un convegno della Legacoop o il motto di
una campagna pubblicitaria del CCC. Non c'è schifezza o vergogna
italiana degli ultimi anni in cui le grandi e medie coop non siano
coinvolte: dalla Tav in Val di Susa all'ampliamento dell'aeroporto
militare Nato di Vicenza; dallo sventramento delle vie del centro
storico bolognese per le opere stradali e murarie dell'originale tram
su gomma di produzione Fiat (una grande opera “casualmente”
bipartisan: agli Agnelli e Marchionne i mezzi, alle coop i cantieri),
per arrivare all'Expo milanese, e così via.
Gli affari sono affari e non si guarda in faccia a niente e a nessuno. Qualche mese fa è stato fondato il nuovo giornale, cartaceo e online, La Croce Quotidiano, di chiara matrice integralista cattolica, diretto dall'ex deputato Pd Mario Adinolfi. La nuova testata dichiaratamente omofoba e reazionaria nel momento del lancio ha trovato tra i suoi inserzionisti di punta l'assicurazione on line Dialogo, del gruppo Unipol. Le condizioni dei lavoratori delle coop sono andate via via peggiorando allineandosi a quelle di mercato. Cosi per anni ai soci lavoratori veniva trattenuta una quota di stipendio per pagare la propria quota sociale e solo in anni recenti sono stati riconosciuti loro i diritti sindacali, che inizialmente venivano loro negati in quanto – astrattamente e teoricamente – cooperatori e quindi padroni di sé stessi. Mentre negli ultimi tempi è emerso con forza, grazie all'intervento del sindacalismo di base – in primis il SI.Cobas – presso i lavoratori in gran parte migranti lo scandalo delle coop di facchinaggio della logistica. Una situazione di supersfruttamento tale da mettere in imbarazzo ad un certo punto la stessa Legacoop che ha cominciato parlare di cooperative spurie. Ad osservatori attenti nulla di ciò meraviglia. Il ministro del Lavoro Poletti, uomo dell'ex PCI e proveniente dai vertici del mondo cooperativo, è il padre del nuovo Jobs act e le sue nuove proposte di lavoro non retribuito per gli studenti nel periodo estivo dimostrano più di tutto la logica lavorista e iper sfruttatrice che muove il personaggio, sicuro retaggio dell'ambiente di provenienza.
Gli affari sono affari e non si guarda in faccia a niente e a nessuno. Qualche mese fa è stato fondato il nuovo giornale, cartaceo e online, La Croce Quotidiano, di chiara matrice integralista cattolica, diretto dall'ex deputato Pd Mario Adinolfi. La nuova testata dichiaratamente omofoba e reazionaria nel momento del lancio ha trovato tra i suoi inserzionisti di punta l'assicurazione on line Dialogo, del gruppo Unipol. Le condizioni dei lavoratori delle coop sono andate via via peggiorando allineandosi a quelle di mercato. Cosi per anni ai soci lavoratori veniva trattenuta una quota di stipendio per pagare la propria quota sociale e solo in anni recenti sono stati riconosciuti loro i diritti sindacali, che inizialmente venivano loro negati in quanto – astrattamente e teoricamente – cooperatori e quindi padroni di sé stessi. Mentre negli ultimi tempi è emerso con forza, grazie all'intervento del sindacalismo di base – in primis il SI.Cobas – presso i lavoratori in gran parte migranti lo scandalo delle coop di facchinaggio della logistica. Una situazione di supersfruttamento tale da mettere in imbarazzo ad un certo punto la stessa Legacoop che ha cominciato parlare di cooperative spurie. Ad osservatori attenti nulla di ciò meraviglia. Il ministro del Lavoro Poletti, uomo dell'ex PCI e proveniente dai vertici del mondo cooperativo, è il padre del nuovo Jobs act e le sue nuove proposte di lavoro non retribuito per gli studenti nel periodo estivo dimostrano più di tutto la logica lavorista e iper sfruttatrice che muove il personaggio, sicuro retaggio dell'ambiente di provenienza.
Finalmente
come tutti
Del
vecchio spirito cooperativo resta ormai poco. Certo nelle Coop legate
alla grande distribuzione le condizioni di lavoro e contrattuali sono
ancora migliori (o forse meno peggio) degli omologhi delle catene di
discount; certo anche lo smercio dei prodotti alimentari – e non
solo – a marchio Coop mantiene certe attenzioni assenti in altre
catene, ma questo avviene anche grazie ancora ad una certa
partecipazione e sorveglianza dei soci consumatori che comunque
rimangono il marchio distintivo di questo mondo. Ma tristemente basta
entrare in un supermercato o ipermercato coop e poi andare in un
discount per vedere ad occhio nudo quale sia la differenza di classe
o di ceto fra i clienti. Intanto rispetto ai soci consumatori o
lavoratori i dirigenti sono veri e propri manager, come tali vengono
pagati, come tali agiscono nei confronti dei loro sottoposti e come
tali trattano alla pari con i loro omologhi dell'imprenditoria e del
padronato. All'omologazione politica totale degli esponenti dell'ex
PCI è corrisposta un'analoga operazione della dirigenza cooperativa.
Finalmente la tanta normalità ambita dai dirigenti della sinistra
storica italiana è avvenuta, in una sorta di mutazione
neodemocristiana, si può dire che ce l'abbiano fatta, per dirla con
Nenni sono entrati nella stanza dei bottoni, ma sono riusciti ad
andare oltre: anche loro rubano e sfruttano, sono corrotti e
corruttori. La foto della cena di Poletti e Buzzi insieme ad Alemanno
e ad altri personaggi di dubbia moralità è paradigmatica,
dovrebbero stamparla sulle tessere del Pd di quei signori che vanno a
cena – per mille euro a coperto – con Renzi per finanziare il
partito. Le stesse facce e storie che stanno al governo mostrano le
alleanze e i blocchi del potere economico: Poletti per le Coop al
lavoro, Federica Guidi per Confindustria allo sviluppo economico,
Lupi (seppur recentemente trombato) alle infrastrutture, quindi alle
grandi opere, per conto dell'imprenditoria cattolica, in primis
Compagnia delle Opere. Alla tavola imbandita dei nemici di classe si
è aggiunto un posto: quello dei grandi manager cooperativi. I
comunisti rivoluzionari sapranno come porsi il problema di
sbaragliare la cricca di Poletti e soci. Oggi la coop sono loro, ma
non è detto che sia per sempre.