LA
VERITA' NEGATA DI UNA RESISTENZA TRADITA
Volantino
del PCL distribuito in occasione del prossimo 25 aprile.
Tra
il ‘43 e il ‘45, resistenza partigiana e sollevazione operaia
nelle fabbriche posero concretamente la possibilità di una
rivoluzione socialista in Italia. La “rossa primavera” delle
canzoni partigiane esprimeva la volontà di farla finita non solo con
la feroce occupazione nazista, ma con le classi dominanti che si
erano servite del fascismo. La disgregazione del regime, il panico
della borghesia italiana, i nuovi rapporti di forza nel Paese,
misuravano le potenzialità di una svolta rivoluzionaria che
liberasse l'Italia dal capitalismo.
IL
PRIMO COMPROMESSO STORICO: UN COLPO AL CUORE DELLA RESISTENZA
Ma
la resistenza fu tradita. Gli imperialismi vincitori della guerra si
erano accordati con la burocrazia stalinista dell'URSS per la
divisione delle zone di influenza. L'Italia doveva restare, per
volontà di Stalin, Roosevelt, Churchill, all'interno del campo
capitalistico. Il nuovo PCI di Palmiro Togliatti - in totale rottura
col PCdI di Gramsci- si fece esecutore fedele delle direttive di
Stalin. La svolta di Salerno sancì la subordinazione della
resistenza alla ricostruzione del capitalismo italiano. L'alleanza
del PCI con i partiti borghesi “democratici” e liberali, la
struttura paritetica dei CLN combinata col criterio dell'unanimità
delle decisioni, offrì alla borghesia italiana ciò che chiedeva: la
rinuncia preventiva a mettere in discussione il suo dominio. I
governi di “unità nazionale” dell'Italia liberata fecero il
resto: disarmo dei partigiani, ripristino dei vecchi prefetti,
restituzione delle fabbriche ai capitalisti. L'amnistia per gli
aguzzini fascisti firmata dal ministro di Grazia e Giustizia Palmiro
Togliatti per conto del governo De Gasperi completò il quadro. La
Costituzione del 1948 non fu affatto figlia della Resistenza, ma del
suo tradimento. Come disse Piero Calamandrei scambiò “una
rivoluzione promessa con una rivoluzione mancata”: tanti principi
solenni di giustizia sociale per mascherare e abbellire la continuità
dello sfruttamento capitalista. “Ma si garantì la democrazia!”
si obietta. Falso. L'insurrezione partigiana aveva rovesciato il
fascismo. Ma la “democrazia” del capitalismo è stata pagata a
caro prezzo dai lavoratori: le cariche della polizia contro gli
scioperi operai, i reparti confino e i licenziamenti politici per i
comunisti, la lunga pagina delle repressioni del dopoguerra. Il
tradimento di una rivoluzione spiana sempre la via alla reazione.
Anche dentro l'involucro di una democrazia borghese.
IL
SECONDO COMPROMESSO STORICO APRI' LA VIA ALLA SECONDA REPUBBLICA
A
partire dal '68 la classe operaia e le grandi masse giovanili che si
ribellarono ai padroni e al regime democristiano ripresero a modo
loro la domanda di liberazione della Resistenza. L'ascesa della
classe operaia, la ricomposizione attorno ad essa della popolazione
povera di tutta Italia, l'unità tra operai e studenti, assieme alla
crisi verticale del vecchio blocco di potere DC, riaprirono la
concreta possibilità di una svolta anticapitalista. Ma la domanda di
svolta fu nuovamente tradita. Il PCI di Berlinguer, in perfetta
tradizione togliattiana, subordinò la classe operaia a un secondo
compromesso storico con la DC. La burocrazia CGIL guidata da Lama
accompagnò la nuova unità nazionale con la svolta dei sacrifici
(EUR), che cancellava le rivendicazioni dell'autunno caldo e
predicava la “austerità” per gli operai. Il grande movimento di
massa che per sei anni aveva calcato le fabbriche, le scuole, le
piazze di tutta Italia, fu distrutto e disperso dalla delusione.
Disorientamento, passivizzazione, qualunquismo (“i partiti sono
tutti uguali”, “la politica è una cosa sporca”) cominciarono a
farsi largo in grandi settori di massa e a forgiare un nuovo senso
comune. Iniziò così quel lungo riflusso del movimento operaio che
preparò lo sbocco della Seconda Repubblica. Dopo il crollo
dell'URSS, la crisi distruttiva della DC fu capitalizzata non a
sinistra, ma a destra. Il gruppo dirigente del PCI che aveva tradito
prima la Resistenza e poi il 68, concluse la propria onorata carriera
sciogliendo il proprio partito per affrettare il proprio accesso al
governo. Al governo del capitalismo naturalmente, contro una classe
operaia che aveva preventivamente disarmato e disperso. Tutto ciò ha
aperto la via negli ultimi 20 anni ad una sistematica distruzione di
tutte le conquiste che l'autunno caldo aveva strappato, nelle
fabbriche e nella società, nell'alternanza pendolare tra
Centrosinistra e Berlusconi).
IL
SONNO DELLA SINISTRA GENERA RENZI
Anche
negli ultimi 20 anni la classe operaia ha cercato più volte, sia
pure da posizioni di maggiore debolezza, di reagire alle politiche
dominanti: la protesta radicale contro il governo Amato nel ‘92, lo
sciopero generale del ‘94 contro Berlusconi, la stagione dei
movimenti del 2001/2004 ancora contro Berlusconi. Ma ogni volta che
il movimento di massa ha rialzato la testa, le sue direzioni
gliel'hanno abbassata. Subordinandola ciclicamente all'eterna
riproposizione del Centrosinistra, ogni volta annunciato come
“nuovo”, ogni volta copia del precedente. A gestire e a coprire
questa politica non sono state solo le burocrazie sindacali, ma anche
il Partito della Rifondazione Comunista. Un partito nato formalmente
come “cuore dell'opposizione”, ma rapidamente convertitosi al
governo del capitalismo. Al punto da votare nel primo governo Prodi
l'avvio della precarizzazione del lavoro (Treu) e il record delle
privatizzazioni in Europa; e nel secondo governo Prodi, in cambio di
un ministero (Ferrero) e di un Presidente della Camera (Bertinotti),
la detassazione dei profitti dei capitalisti e le missioni di guerra.
Da qui un suicidio politico senza ritorno.
“RIFARE
LA SINISTRA”. QUALE?
C'è
da meravigliarsi se dopo tutto quanto è accaduto la “sinistra”
ha perso credibilità e riconoscibilità sociale presso masse sempre
più larghe? C'è da meravigliarsi se in assenza di riferimenti
credibili a sinistra e sullo sfondo della più grande crisi
capitalistica, masse consistenti di lavoratori finiscono col farsi
irretire dal renzismo, dal salvinismo, dal grillismo, forme diverse
di populismo reazionario anti operaio? Il fatto che oggi l'Italia sia
governata da un aspirante Bonaparte come Matteo Renzi, che progetta
la riforma elettorale e istituzionale più reazionaria della storia
repubblicana (peggio persino della legge Acerbo del 23) è il
peggiore insulto alla Resistenza. Il fatto che questo progetto
reazionario non solo non incontri un'adeguata opposizione di massa,
ma possa addirittura avvalersi del consenso drogato di parte del
popolo della sinistra allo sbando, misura il fallimento dei gruppi
dirigenti della sinistra italiana, l'enorme disastro da essi
prodotto. E' necessario “rifare la sinistra” si dice. Verissimo.
Ma non quella del passato, non quella che ha tradito, non quella che
ha svenduto ogni volta tutte le migliori potenzialità di svolta che
si sono affacciate nella storia, non quella che illude su un
possibile “compromesso col capitalismo” per candidarsi a
governarlo. C'è bisogno di costruire finalmente una sinistra
rivoluzionaria. Una sinistra anticapitalista che stia sempre e solo
dalla parte dei lavoratori. Una sinistra che riconduca ogni lotta e
rivendicazione immediata alla prospettiva di un governo dei
lavoratori quale unica vera alternativa. Il Partito Comunista dei
Lavoratori (PCL), l'unico che non ha mai tradito gli operai, è
impegnato ogni giorno in questa impresa. L'unica all'altezza delle
migliori aspirazioni partigiane.
PARTITO
COMUNISTA DEI LAVORATORI