lunedì 31 gennaio 2011

La giunta Orsoni: ciò che la città non si merita

La delibera con cui la giunta ha presentato il piano di riconversione produttiva a Porto Marghera è eloquente sul piano delle finalità politiche che sostengono il governo della città. Dopo anni di propaganda e di retorica sulla “garanzia” del mantenimento del posto di lavoro, legato alla sensibilità per il recupero della chimica “pulita” e per la bonifica delle aree, ora si assiste, inequivocabilmente, alla vera partita, che si gioca sulla pelle dell'intera città oltre che dei lavoratori coinvolti.
L’ex sindaco, Paolo Costa, appare come l’eminenza grigia alle spalle dei suddetti cambiamenti e a tutto ciò che ne consegue, in termini di ruoli e di responsabilità oggettive. La posta in gioco è elevata ed improvvisamente certe maschere, indossate per anni, vengono meno. La città deve “aprirsi” completamente al logistico, ai servizi, al turismo e al commerciale e non c’è spazio per l’industria chimica e, pensiamo noi, fra qualche tempo, non troppo distante, nemmeno per l’industria metalmeccanica. Questo significa una sola cosa: migliaia di licenziamenti in città e ulteriore disperazione sociale, unita all’abbandono definitivo della sua vocazione produttiva.
Del resto, tutto stava a dimostrare quanto questo era prevedibile. Bene hanno fatto le diverse sigle sindacali Cgil Cisl Uil (sulle quali,però, ricadono colpe passate di un certo peso) ad accusare la banda di affaristi che in laguna ricerca le varie forme di speculazione, offerte dal desolante panorama delle diverse dimissioni produttive. Venezia ne offre parecchie.
Un territorio con una storia industriale secolare che si svende e che trasforma, dunque, tutto il suo tessuto politico e sociale.
Quali erano le promesse della giunta, nemmeno un anno fa su questi temi? Quali erano state le parole poste a garanzia per tutto ciò che si vive oggi? Da parte nostra, avevamo denunciato l’assoluta omogeneità dei “programmi” tra il sindaco attuale ed il contendente Brunetta. Ma non è questo il punto.
Il punto riguarda i presenti assetti economici generali e l’indirizzo che può prendere qualsiasi compagine politica, che intenda restare nelle compatibilità di un sistema capitalistico che esige sempre profitto, devastando ambiente e territorio e che sceglie nei suoi tempi e nei suoi modi il miglior business conveniente, svincolandolo dal bisogno reale della popolazione. Ieri con la chimica ed oggi col business del logistico-commerciale. Ieri producendo plastiche ed oggi lucrando sulle delocalizzazioni e adattando il territorio a ricevere merci prodotte a basso costo nelle periferie del mondo. Sia chiaro che mai, gli operai delle fabbriche hanno potuto dire la loro nei termini di una reale salvaguardia dell’ambiente, coniugata alle esigenze produttive. Semmai, questo si sarebbe potuto ottenere con ben altre prospettive politiche e lotte radicalmente più incisive ed estese anche ad altri settori.
La giunta ha continuato, senza alcuna soluzione di continuità, tutto il “lavoro” della precedente, con l’ulteriore presenza della “sinistra radicale”, per mezzo della delega al lavoro. Una delega triste, verrebbe da dire; un ruolo di certificazione assistita per casi sempre più frequenti di licenziamenti, precarizzazioni, casse integrazioni, prepensionamenti e quant’altro offre di meglio una città in “disuso”.
Intanto, la suddetta banda macina milioni. Al Lido si chiudono ospedali e si pianificano colate di cemento catastrofiche per allestire darsene, ad uso di miliardari e finanzieri d’arrembaggio. Le diverse isole della laguna vengono assegnate ai privati per il loro “rilancio”, diventandone, di fatto, una loro indiretta proprietà. La città si spopola sempre di più e che fine hanno fatto le diverse proposte di edilizia “popolare” (spacciate per tali ma dai costi esosissimi) ereditate dalla giunta Cacciari e materializzatesi, improvvisamente, con la proposta di cento alloggi da affittare, ma con l’onere costosissimo dei restauri da eseguire? La verità consiste nell’assecondare ed amministrare una città con vincoli e criteri legati ad un sistema che continua ad arricchire i soliti noti e persiste nello scaricare i costi della crisi verso le masse popolari, lavoratori, pensionati, immigrati e studenti. Una città che consegna il premio di “veneziano dell’anno” a Paolo Baratta, presidente della Biennale, e che tace sulle condizioni letteralmente disperate dei lavoratori dello stesso settore. Basta dare uno sguardo alla stessa Biennale, alla precarietà tornata dilagante tra i suoi operatori, all’Università, dove ancora gli addetti alle portinerie subiscono l’angosciante situazione di non veder risolta la loro questione e nei Musei Civici, dove si riparla di uno sciopero a ridosso del Carnevale, per rivendicare il minimo contrattuale stabilito dall’appalto di gestione dei diversi servizi.
Un quadro desolante e senza speranza, verrebbe da dire. Una realtà che, però, si candida a capitale mondiale della cultura nel 2019, dove a guadagnarne saranno ancora sempre gli stessi.
Occorre sottolineare un ultimo elemento, che conferisce il reale livello di civiltà raggiunto da questa città. Il fatto che, grazie ai proventi del Casinò (circa 98 miioni di euro nel 2010), si finanzino le grosse spese dell’amministrazione comunale (i soldi della legge speciale sembra non arrivino più copiosi come un tempo). Fa riflettere questo dato. Il gioco d’azzardo, perché di questo si tratta, copre anche le spese di una voce particolare del bilancio cittadino: l’assistenza sociale.
Come dire: siamo sempre più nelle mani di un sistema banditesco e truffaldino e dobbiamo anche ringraziarlo come emerito benefattore.