COMPOSIZIONE ED EQUILIBRI DEL GOVERNO RENZI
ALCUNE PRIME CONSIDERAZIONI
23 Febbraio 2014
Il
governo Renzi non è “il rimpasto” del governo Letta.
Il
primo governo Letta nasceva come “governo del Presidente” nel
quadro della continuità dell'unità nazionale del governo Monti. Il
secondo governo Letta, dopo la rottura di Berlusconi, era anch'esso
patrocinato e assistito direttamente da Napolitano. La stessa
composizione ministeriale era in parte decisa da Napolitano, che di
fatto nominava “suoi” ministri (Saccomanni in primis) a garanzia
dell'interesse generale di sistema. La supplenza presidenziale era la
risultante della crisi politica degli equilibri borghesi.
Il nuovo governo Renzi ha un altro segno. Nasce come sottoprodotto dell'ascesa del renzismo a partire dalla conquista dei vertici del PD. Che a suo modo è un elemento di svolta dello scenario politico. Letta e Napolitano hanno subito nei due ultimi mesi la guerra lampo del rottamatore. Letta che aveva invano cercato un equilibrio con Renzi, ne è stato travolto. Napolitano che aveva cercato sino all'ultimo di salvare il “suo” governo Letta ha dovuto arrendersi alla fine a un rapporto di forze mutato. L'incarico a Renzi è la registrazione dell'arretramento di Napolitano e del mutamento degli equilibri politico/istituzionali. Il nuovo governo Renzi non è più il “governo del Presidente”. Ha il marchio dominante della nuova leaderschip del PD e delle sue autonome ambizioni.
Il nuovo governo Renzi ha un altro segno. Nasce come sottoprodotto dell'ascesa del renzismo a partire dalla conquista dei vertici del PD. Che a suo modo è un elemento di svolta dello scenario politico. Letta e Napolitano hanno subito nei due ultimi mesi la guerra lampo del rottamatore. Letta che aveva invano cercato un equilibrio con Renzi, ne è stato travolto. Napolitano che aveva cercato sino all'ultimo di salvare il “suo” governo Letta ha dovuto arrendersi alla fine a un rapporto di forze mutato. L'incarico a Renzi è la registrazione dell'arretramento di Napolitano e del mutamento degli equilibri politico/istituzionali. Il nuovo governo Renzi non è più il “governo del Presidente”. Ha il marchio dominante della nuova leaderschip del PD e delle sue autonome ambizioni.
UN
“GOVERNO DEL PREMIER” INCOMPIUTO
Tuttavia
il nuovo governo non è ancora il “governo del Premier” che Renzi
vorrebbe. Non ha la base d'appoggio dell'”investitura “
elettorale, che secondo la legge truffa iper maggioritaria concordata
con Berlusconi, darebbe al Presidente del Consiglio il controllo
della maggioranza del Parlamento e dei gruppi parlamentari. La
composizione del Parlamento resta immutata. La maggioranza politica
che sorregge il governo è ancora la maggioranza di coalizione tra PD
,NCD, forze minori. I gruppi parlamentari del PD sono ancora a
(vecchia) maggioranza “bersaniana”. La composizione del governo è
un riflesso di tutto questo. Il Rottamatore ha dovuto comporre un
equilibrio faticoso tra pressioni e interessi contraddittori, dentro
un rapporto di forze certo mutato ma non ancora risolto.
Renzi
ha dovuto lasciare a NCD, determinante per la maggioranza, i suoi tre
ministeri, pur a fronte di una riduzione complessiva del numero dei
ministri. Ha dovuto dare presenza e riconoscimento nel governo a
tutte le componenti del PD, determinanti nei gruppi parlamentari. Ha
dovuto trovare un compromesso delicato con Napolitano sui due
ministeri chiave del Tesoro e della “Giustizia”, che presidiano
rispettivamente le relazioni con la U.E. e con la Magistratura (nel
primo caso rinunciando a un proprio diretto controllo politico sul
ministero, ma al tempo stesso imponendo il siluramento di Saccomanni;
nel secondo rinunciando a un uomo immagine ma meno controllabile a
vantaggio di un ministro incolore del PD, più rilassante nei
rapporti con Berlusconi ). Inoltre ha dovuto registrare, al piede di
partenza, l' indisponibilità ad entrare nel governo di diversi
esponenti del suo mondo borghese di riferimento (gli eroi della
Leopolda Farinetti e Guerra, grandi mananger come Montezemolo, commis
di Stato come Moretti): tutti in attesa di incassare i risultati del
governo Renzi (cui plaudono), ma nessuno disponibile a buttarsi
personalmente in un'avventura rischiosa, volendo prima verificare in
ogni caso la solidità dell'impresa.
La
risultante d'insieme è la composizione di un governo borghese che da
un lato offre rappresentanza a poteri forti ( capitale finanziario,
Confindustria, Cooperative..), dall'altro presenta numerosi
ministri/e improvvisati/e che suscitano scetticismo negli stessi
ambienti borghesi ( “governo Beautiful” ha titolato Sole 24 Ore).
Peraltro sullo stesso versante di Confindustria, è significativa la
scelta allo “sviluppo economico” del ministro Guidi, avversaria
di Squinzi nel mondo confindustriale e vicina a Berlusconi
politicamente: più una scelta di Renzi, utile per i suoi equilibri e
spazi di manovra politico/ sociali, che non una rappresentanza
diretta in quanto tale di Confindustria. In realtà il grosso della
borghesia italiana promuove Renzi, lo incoraggia, lo spinge, ma
mantiene al tempo stesso un margine di riserva. Vuole metterlo alla
prova dei fatti . Vuole studiare il possibile punto di equilibrio tra
i propri interessi generali e il personalismo autocentrato del nuovo
leader: fonte di tante speranze borghesi, ma anche di qualche
misurata diffidenza.
LA
CONTRADDIZIONE FRA LE DUE MAGGIORANZE
Sul
piano politico più generale il governo Renzi dovrà misurarsi con la
contraddizione tra le “due maggioranze” che lo sorreggono: la
maggioranza politica vera e propria che gli voterà la fiducia (PD,
NCD, Scelta Civica) e il patto stretto con Berlusconi sulla riforma
elettorale e istituzionale . Alfano ha bisogno di un governo di
legislatura sino al 2018, per attendere il cadavere politico di
Berlusconi e disporre del tempo necessario per costruire il proprio
progetto. Per questo vuole anteporre il negoziato sulle riforme
istituzionali (dai tempi lunghi) al varo operativo della nuova legge
elettorale che potrebbe aprire la via ad elezioni anticipate. E in
più chiede una modifica della legge elettorale proposta sulle soglie
di sbarramento, per rafforzare il proprio peso contrattuale e spazio
di manovra. Berlusconi ha l'interesse esattamente opposto. Non può
attendere passivamente la propria morte politica; preme su Renzi per
la definizione tempestiva della legge elettorale, nella prospettiva
di un voto anticipato entro un anno; si oppone a ogni modifica del
patto sulla legge elettorale in funzione della demolizione politica
di Alfano. Questa contraddizione è potenzialmente esplosiva per la
navigazione e le prospettive del governo. Renzi ha stretto un patto
con Berlusconi contro Alfano, e un patto con Alfano contro
Berlusconi, offrendo a entrambi le proprie “garanzie”. Ma le
“garanzie” di Renzi, come Letta sa bene, non sono granitiche. E i
cerchi in ogni caso non si fanno quadrati.
LA
VOCAZIONE “BONAPARTISTA” DEL RENZISMO
Renzi
cercherà di sormontare le contraddizioni politiche della/e sua
maggioranza/e con il proprio slancio populista. Cercherà di
sottrarsi il più possibile al lavoro tradizionale di cucitura e
ricucitura delle mediazioni politiche quotidiane, per coltivare il
rapporto diretto con l'opinione pubblica interclassista, e fare di
esso la leva politica della propria forza. Anche da questo punto di
vista non siamo affatto alla “riedizione di Letta”. Renzi ha
concentrato nelle proprie mani e nelle mani del proprio staff di
fiducia ( Del Rio) una molteplicità di deleghe. Le userà nel modo
più attivo. Da ex Sindaco, tenderà a vivere e gestire il governo
come fosse la propria giunta comunale, i suoi ministri come i propri
assessori. Non coltiverà la concertazione, né sul terreno politico,
né sul terreno delle relazioni sociali e di classe. Da piccolo
Bonaparte in pectore ( più per vocazione che per condizione, ad
oggi) proverà ad elevarsi, in apparenza, al di sopra delle regole
tradizionali e prassi consolidate, per affermare la propria
iniziativa e le proprie scelte. Denuncerà le ”resistenze” e
“lungaggini” della burocrazia dello Stato anche con apparenti
contrapposizioni dirette. Cercherà di mascherare la politica di
sfondamento sociale, che la borghesia gli commissiona, con misure
populiste di ridimensionamento (reale o simbolico) dei “privilegi
dei politici” e dei “costi istituzionali”, in concorrenza
d'immagine con Grillo, e a tutto vantaggio della borghesia stessa.
Proverà persino quando possibile , e nella misura del possibile, a
fare qualche concessione sociale da dare in pasto all'elettorato di
sinistra e alle illusioni progressiste, per ammortizzare l'impatto
delle politiche d'austerità. La politica di Renzi potrà essere meno
lineare di quanto molti si attendono.
Ma
il populismo d'immagine non può vivere a lungo al di sopra delle
proprie condizioni materiali, politiche e sociali. In un modo o
nell'altro la realtà presenta sempre il conto. La profondità della
crisi capitalista, italiana ed europea, restringe lo spazio di
manovra di qualsiasi governo borghese. Una simulazione di equilibrio
tra i blocchi sociali è troppo costosa per le finanze statali, tanto
più alla vigilia delle forche caudine del fiscal compact . Renzi ha
a disposizione una montagna di parole e di pose, ma la sua cassa è
“vuota”. Mentre la borghesia che su di lui ha investito ( e che
lo finanza) si attende una nuova reale accelerazione della propria
offensiva contro il lavoro e l'incasso visibile di nuove risorse ( a
partire dal cuneo fiscale). Il quadro contraddittorio degli equilibri
politici e parlamentari porrà, a sua volta, nuove zavorre e
condizionamenti all'azione di Renzi.
La contraddizione tra “il governo del Sindaco” e la ristrettezza delle sue basi materiali segnerà il nuovo esecutivo. Ed esporrà il Renzismo a una stretta difficile.
La contraddizione tra “il governo del Sindaco” e la ristrettezza delle sue basi materiali segnerà il nuovo esecutivo. Ed esporrà il Renzismo a una stretta difficile.
IL
RENZISMO INTERROGA LA SINISTRA ITALIANA
Costruire
una opposizione sociale e politica di classe, unitaria radicale e di
massa, contro il governo Renzi e il suo progetto, è la prima
necessità che si pone al movimento operaio e a tutte le sinistre
politiche e sindacali. Ed è anche una possibilità reale.
La
situazione politica è ancora fluida. Il progetto reazionario di
Terza Repubblica che Renzi coltiva ha fatto un passo avanti, ma è
ancora incompiuto, e ha davanti a sé un cammino complesso. Questa
instabilità non durerà a lungo. Come questa fase transitoria si
chiude dipenderà unicamente dal rapporto di forza che si produrrà
sul terreno della lotta di classe.
La
ripresa di una vera opposizione di classe, sociale e politica, al
renzismo può risolvere a sinistra le contraddizioni politiche,
scompaginarne il disegno di Renzi, aprire dal basso uno scenario
nuovo e una nuova prospettiva per i lavoratori.
Senza questa svolta, le contraddizioni si chiuderanno sul versante opposto, quello di una stabilizzazione reazionaria ( quali che siano i passaggi e le forme): o in direzione di un vero Premierato Renzi, o in direzione di un ritorno di Berlusconi. Mentre sullo sfondo di un fallimento Renzi senza alternativa di classe si staglia anche il pericolo- tutt'altro che remoto- di una nuova avanzata del grillismo e del suo progetto plebiscitario.
Senza questa svolta, le contraddizioni si chiuderanno sul versante opposto, quello di una stabilizzazione reazionaria ( quali che siano i passaggi e le forme): o in direzione di un vero Premierato Renzi, o in direzione di un ritorno di Berlusconi. Mentre sullo sfondo di un fallimento Renzi senza alternativa di classe si staglia anche il pericolo- tutt'altro che remoto- di una nuova avanzata del grillismo e del suo progetto plebiscitario.
L'alternativa
tra rivoluzione e reazione che il terzo Congresso del PCL ha
individuato, si conferma dunque, in ogni caso, come il bivio centrale
di prospettiva. Che interroga e interrogherà tutta la sinistra
italiana.