PRIME
CONSIDERAZIONI: LA VITTORIA DI RENZI E IL MOVIMENTO OPERAIO
27 Maggio 2014
L'affermazione
di Matteo Renzi è un caso unico in Europa. Nessun governo di un
paese imperialista della UE è riuscito a mantenere e tanto più ad
ampliare la propria base di consenso in questi anni di crisi. I
risultati elettorali in Francia, Spagna, Gran Bretagna, sono
emblematici. Si tratta allora di approssimare un primo inquadramento
dell'eccezione italiana. Ripromettendoci naturalmente uno studio più
accurato dei dati nei prossimi giorni.
IL
SUCCESSO DI UN POPULISMO DI GOVERNO
Renzi
ha catalizzato attorno a sé, sommandole l'una sull'altra, ragioni e
istanze molto diverse e contraddittorie tra loro. Chiunque isoli
questo o quell'altro fattore coma LA ragione del suo successo finisce
col non comprendere la sua complessità. Matteo Renzi ha incassato
la televendita delle 80 euro, messe a carico di chi le riceve ma
presentate come l'inizio della svolta; ha messo a frutto il profilo
di giovane “rottamatore” della “vecchia politica”; ha
capitalizzato l'immagine di diga “ democratica” antigrillina,
sospinta paradossalmente proprio dall'escalation reazionaria di
Grillo; ha incassato il ruolo di garante della governabilità
europeista, prosciugando il bacino elettorale del montismo, e
parallelamente del “cambiamento dell'Europa” (“Europa cambia
verso”); ha operato uno sfondamento nel vecchio blocco sociale del
centrodestra in crisi, in particolare al Nord, sfruttando a proprio
vantaggio lo sdoganamento ottenuto, in forme diverse, da Berlusconi e
Alfano. Il
40% è la risultante di questa sommatoria. Proprio per questo non è
SOLO la “vittoria italiana in controtendenza della governabilità
sul populismo”, come si sono affrettati a commentare i giornali
borghesi tricolori. E' ANCHE, in misura determinante, il suo opposto:
l'utilizzo (cinico) del populismo ai fini della governabilità
borghese. L'operazione 80 euro è un tassello decisivo della vittoria
renzista. L'eccezionalità del successo elettorale di Renzi in Europa
sta in questo: è l'unico capo di governo di un paese imperialista
della UE ad aver incorporato il populismo liberale come fattore di
contenimento del populismo reazionario e della sua ascesa. E' il
successo elettorale di un metodo bonapartista, inseparabile dalla
figura personale del piccolo (aspirante) Bonaparte. Non ha vinto il
governo, né il PD, se non di riflesso. Ha vinto Renzi. Ha vinto la
sua scalata fulminante ai vertici prima del PD e poi del governo.
L'audace defenestrazione di Letta ha conseguito nelle urne il
risultato atteso. Con viva soddisfazione di Renzi e della borghesia
italiana. Che ora sogna un orizzonte di stabilità politica. Il
successo elettorale dà oggi a Renzi una forza politica superiore.
Sul versante dei rapporti di forza parlamentari nella maggioranza di
governo (con un NCD ridimensionato, e una Scelta Civica scomparsa);
nelle relazioni interne al PD, a fronte di una “sinistra interna”
prima emarginata ed oggi annientata; nelle relazioni istituzionali
con un Berlusconi in crisi profonda di ruolo e di futuro; infine sul
terreno dell'offensiva sociale contro la classe operaia: dove lo
sfondamento realizzato nella precarizzazione selvaggia del lavoro
proseguirà lungo la linea tracciata, combinandosi col nuovo fronte
annunciato e minaccioso contro il pubblico impiego.
L'euforia
post elettorale della Borsa italiana, e l'incoraggiamento pubblico di
Confindustria, spingono in questa direzione, con un carico di nuova
fiducia. Il Presidente del Consiglio poche ore fa ha raccolto il
messaggio annunciando, in conferenza stampa, l'”avanti tutta”,
“senza più alibi e resistenze”. Il decollo è riuscito. Ora si
apre per Renzi una nuova stagione.
LA
RESPONSABILITA' DELLE DIREZIONI DEL MOVIMENTO OPERAIO
Le
direzioni politiche e sindacali della sinistra italiana portano una
responsabilità decisiva per la piega degli avvenimenti politici. Se
milioni di lavoratori e lavoratrici hanno abboccato alla truffa delle
80 euro , è anche e soprattutto in reazione alle politiche di
lacrime e sangue dei governi precedenti, che le sinistre hanno
concertato ( con Prodi) o avallato ( con Monti e Letta). Le stesse
politiche che in questi anni hanno aperto il varco al grillismo nella
classe operaia, spianano oggi la strada alla vittoria di Renzi..
.contro Grillo. Nell'immediato
pesa come un macigno la passività dei sindacati di massa di fronte a
Renzi. Lo spettacolo è avvilente. La burocrazia CGIL è totalmente
paralizzata dal cambio della guardia nel PD e dal patto antioperaio
siglato con Confindustria, CISL e UIL: per cui rinuncia ad ogni
iniziativa di massa, al di là delle “critiche” platoniche,
persino nel momento in cui Renzi la schiaffeggia ed umilia. Landini e
i vertici Fiom proseguono una spericolata relazione di amorosi sensi
con Matteo Renzi in esclusiva funzione anti Camusso: e per questo
rinunciano a qualunque iniziativa di lotta contro il governo persino
di fronte alla eternalizzazione dei contratti a termine e alla
proposta iper reazionaria di riforma elettorale e istituzionale.
Insomma, tutte le principali direzioni del movimento operaio
concorrono ad asfaltare la via del renzismo e della sua seduzione
truffaldina presso i lavoratori. Non
solo. Concorrono a tenere in piedi il blocco politico classicamente
reazionario. L'ascesa di Renzi certo rappresenta un fattore di crisi
di questo blocco, e comunque di suo contenimento o disarticolazione.
Ma attenzione. Il
centrodestra, pur scompaginato e minato politicamente dalla crisi del
collante berlusconiano, conserva una base sociale consistente (la
somma di FI e NCD non si discosta significativamente dal risultato
del PDL alle ultime politiche). Il M5S conosce una brusca battuta
d'arresto, contro le previsioni e ambizioni dei suoi capi, ed è
esposto al rischio di fibrillazioni interne e ad incognite di
prospettiva; ma resta tuttora dotato di una forte capacità
d'attrazione presso milioni di proletari (operai, precari,
disoccupati..) privi di riferimenti e difesa sociale, e per questo
alla ricerca di salvatori della Patria. Le sue potenzialità di
rilancio non sono affatto compromesse. Infine i disastri compiuti
dalle sinistre politiche e sindacali hanno consentito un insperato
spazio di recupero alla Lega più xenofoba e reazionaria di sempre:
che ha risolto la propria crisi di direzione ( Salvini) e usa non a
caso la campagna contro le “leggi Fornero” come arma di riscatto
della propria immagine e di penetrazione nelle fabbriche. Complessivamente,
dopo sette anni della più grande crisi sociale del dopoguerra,
grazie alla complicità o alla passività delle sinistre, le classi
dominanti volgono paradossalmente a proprio vantaggio la propria
crisi di consenso . Con la vittoria straordinaria di Matteo Renzi,
il progetto di soluzione borghese della crisi della seconda
Repubblica fa sicuramente un passo avanti.
IL
QUORUM DI TSIPRAS
Il
sottile quorum della lista Tsipras testimonia la sopravvivenza di una
(positiva) domanda di rappresentanza a sinistra, nel deserto prodotto
dai suoi gruppi dirigenti e dal loro fallimento. E' una domanda per
cui portiamo rispetto e attenzione. Ma quella domanda non può
trovare alcuna risposta reale, in termini di classe, nella lista
Tsipras. Nè nei salotti intellettuali liberal progressisti che hanno
promosso la lista, né nelle sinistre che si sono subordinate ad
essi. La fretta con cui Nichi Vendola ha oggi annunciato la volontà
della lista di ricercare il dialogo con Schulz è emblematica.
L'intera operazione Tsipras in Europa agisce in una logica di
pressione sul PSE, nella prospettiva di un' alleanza col PSE. Tanto
più è vero in Italia, dove è importante il peso di SEL, che certo
non abbandona la prospettiva di blocco col PD (con cui peraltro SEL e
PRC si sono alleate ovunque possibile nelle amministrative). Inoltre
la linea di Sel convive all'interno della lista con la rivendicazione
pubblica dell'alleanza politica con il M5S anche in sede europea (vedi articoli e interviste di Spinelli a Mattei), fuori da qualsiasi
discrimine di classe e persino democratico. E' la logica di una lista
civica, il cui futuro sarà la variabile dipendente degli accordi di
ceto politico tra i soci contraenti: ma che certo non ha e non può
avere nel proprio codice la costruzione di un futuro per il movimento
operaio. Cui è costitutivamente estranea.
PER
UN'INIZIATIVA UNITARIA INDIPENDENTE DEL MOVIMENTO OPERAIO. CONTRO IL
RENZISMO, PER UN'ALTERNATIVA DEI LAVORATORI.
Ma
questo è esattamente il punto. Il movimento operaio è oggi il
grande assente dello scenario politico italiano, proprio nel momento
in cui solo esso può capovolgere la piega degli avvenimenti . Non
c'è soluzione progressiva della crisi della Repubblica, sullo sfondo
della crisi capitalista, se la classe operaia non irrompe sulla scena
politica. L'avanzata clamorosa del renzismo è una conferma clamorosa
di questa verità. Come lo è stato e lo è il fenomeno grillino.
L'alternativa tra rivoluzione e reazione è riproposta dall'intero
scenario politico, nazionale ed europeo. Solo un'azione di massa
della classe operaia che unifichi le proprie lotte e si ponga alla
testa di milioni di sfruttati, può rovesciare i rapporti di forza,
frantumare lo specchio degli inganni populisti, spezzare il nuovo
bipolarismo Renzi /Grillo, scomporre il blocco sociale reazionario,
aprire dal basso uno scenario nuovo. Fuori da questa prospettiva, la
borghesia risolverà prima o poi ,in un modo o nell'altro, la propria
crisi politica contro i lavoratori. Renzi
ha il vento in poppa. Ma il vento in poppa non risolve le incognite
della rotta. Il piccolo Bonaparte ha fatto con successo il primo giro
di boa. Ma la navigazione non si annuncia tranquilla. Non sarà
semplice continuare a nutrire il proprio richiamo populista con
concessioni sociali, più o meno truccate. Renzi ha buttato sul
piatto della bilancia elettorale 10 miliardi di sgravio Irpef ( le 80
euro) senza disporre di coperture per il 2015, con un'audacia
avventurosa proporzionale alle sue ambizioni. E per di più ha
promesso nuove offerte a pensionati, incapienti.. . Di certo cercherà
di far pesare in sede UE il proprio successo politico per negoziare
uno spazio di manovra più ampio in Italia. Ma il quadro europeo
resta ancora pesantemente gravato dalla stagnazione capitalista ,
contro le facili illusioni di una ripresa economica lineare. Il
montare dei nazionalismi populisti, all'interno degli stessi paesi
imperialisti (Francia, Gran Bretagna, la stessa Germania) complica le
relazioni negoziali. Mentre la Confindustria italiana batte cassa, e
tutti i poteri che si sono raccolti attorno a Renzi, vogliono oggi
beneficiare della sua fortuna. I fuochi artificiali delle promesse
per tutti non sono infiniti. L'affannoso rilancio populista dei primi
80 giorni non è replicabile sino al 2018. Certo
il 40% dei voti è una enormità, paragonabile solo, come è stato
osservato,alla DC degli anni 50. Ma il piccolo particolare è che la
DC viaggiava sul treno del grande boom capitalista, disponeva risorse
pubbliche generose, poteva foraggiare un blocco sociale clientelare
relativamente stabile e molto vasto, e infine godeva di una solida
rendita politica di posizione, interna e internazionale. Nessuno di
quei fattori è oggi disponibile per Renzi, nel quadro della grande
crisi capitalista internazionale, della drammatica crisi europea,
della crisi politica e istituzionale italiana. Il suo blocco sociale
di riferimento è molto più fragile di quello della DC. E così il
suo 40%. Il
renzismo non è ancora dunque un regime consolidato, come alcune
analisi frettolose di queste ore tendono ad accreditare. Una
iniziativa indipendente del movimento operaio, su un proprio
programma di lotta, potrebbe incunearsi in tutte le contraddizioni di
quel 40% e indurle a precipitazione da un versante di classe.
Impedendo oltretutto in prospettiva che possa essere Grillo e il suo
progetto plebiscitario a capitalizzare in prospettiva un possibile
logoramento del renzismo. Le burocrazie sindacali diranno che la
forza del governo è tale che un'opposizione sarebbe velleitaria,
giustificando così la propria resa e nascondendo le proprie
responsabilità . I gruppi dirigenti della sinistre politiche saranno
impegnati nelle proprie alchimie, alla ricerca affannosa della
propria sopravvivenza o di una ricomposizione negoziale col PD.
All'opposto, come PCL poniamo e porremo l'esigenza di un'iniziativa
di lotta indipendente del movimento operaio, contro Renzi (e contro
il grillismo), per una soluzione operaia della crisi. Poniamo e
porremo la necessità dell'unità di lotta di tutte le sinistre
politiche e sindacali sul terreno dell'indipendenza di classe. Ma
lavorare a questo sbocco non significa solo impegnarsi nelle lotte e
nei movimenti. Non significa solo, com'è necessario, assumere la
classe operaia e le sue lotte come il riferimento centrale del
proprio intervento. Significa anche selezionare, formare, organizzare
la parte più cosciente e coraggiosa della classe operaia e dei
movimenti di lotta attorno a un programma anticapitalista e ad una
politica che gli corrisponda. Una politica che in ogni lotta
particolare sappia portare il senso di un progetto generale di
alternativa di potere, di un governo dei lavoratori, di una
Repubblica dei lavoratori. Per questo il bandolo della matassa resta
più che mai la costruzione del partito rivoluzionario. Lo sviluppo
del PCL è l'asse, più che mai, di questa costruzione.
Marco
Ferrando (Portavoce nazionale PCL)