lunedì 28 luglio 2014

LO SCONTRO ALITALIA DI NUOVO SPARTIACQUE
27 Luglio 2014
AlitaliaLa vicenda Alitalia torna sul fronte della lotta di classe. Oggi come ieri con funzioni di laboratorio generale.


2008: IL SACCHEGGIO CAPITALISTICO DI ALITALIA, IN SALSA TRICOLORE

Nel 2008, lo scontro Alitalia svolse una funzione di spartiacque.
La compagnia fu svenduta a una cordata tricolore di capitalisti e banchieri con grande squillo di fanfare. Capitalisti e banchieri (a partire da Unicredit e Banca Intesa) chiesero e ottennero come condizione d'acquisto due semplici cose. Innanzitutto il trasferimento dell'enorme debito della vecchia compagnia sulle tasche dei contribuenti (cioè in larga parte dei lavoratori italiani), attraverso l'operazione “bad company”. Parallelamente, la cancellazione di 10000 posti di lavoro, con la copertura di una cassa in deroga straordinaria, e il drastico peggioramento delle condizioni di lavoro dei dipendenti sopravvissuti. Fu per alcuni aspetti una svolta. Per la prima volta si sancì il principio della derogabilità del contratto nazionale in caso di crisi aziendale. E lo si fece esattamente all'atto di apertura della grande crisi capitalistica internazionale e della profonda recessione italiana. Fu uno sfondamento pilota, che farà scuola negli anni successivi, a partire dalla FIAT, sino ad essere incorporato negli accordi di concertazione e nella legislazione sul lavoro.
Sei anni dopo, punto e a capo. Non solo non si è realizzato l'annunciato rilancio della compagnia, “grazie a privatizzazione e logica di mercato”, ma proprio la crisi capitalistica del mercato ha affondato la nuova compagnia: competizione compagnie low cost, concorrenza ferroviaria sulle tratte nazionali centrali a sua volta sospinta da liberalizzazioni e privatizzazioni, riduzione secca della domanda connessa alla crisi generale, concorrenza accresciuta di compagnie estere, europee ed asiatiche, anch'esse ristrutturate e alleggerite nei “costi”..
2014: IL NUOVO BANCHETTO DEI CAPITALISTI CONTRO I LAVORATORI DELLA COMPAGNIA
Da qui il nuovo capitolo del saccheggio capitalistico dell'Alitalia e dei suoi lavoratori. Il copione si ripete, ma in un quadro peggiorato.
I principali soci Alitalia (Intesa San paolo, Unicredit, Monte dei Paschi, Immsi di Colaninno, Atlantia di Benetton) non reggono la precipitazione del passivo della compagnia (569 milioni di perdite nel solo 2013). Le banche in particolare, strette dalla crisi generale e dai problemi di capitalizzazione, chiedono soccorso pubblico. Il governo Letta provvede con l'ingresso di Poste Italiane (a loro volta largamente privatizzate) nel capitale azionario dell'azienda, quale azionista di controllo: i risparmi pubblici, drenati dalle poste, vanno a soccorso delle banche. Ma l'apporto finanziario non è sufficiente. E' “necessario un coinvolgimento estero” determinante. Si fa avanti la compagnia araba Etihad. Tutti la salutano come “salvatrice” della compagnia e “ultima spiaggia” con lo stesso entusiasmo propagandistico con cui avevano salutato... i “salvatori” della CAI nel 2008. Ma i capitalisti arabi, come i capitalisti di ogni paese e bandiera, pongono condizioni. Guarda caso le stesse condizioni poste dai salvatori del 2008: abbattimento dei debiti pregressi, riduzione dei posti di lavoro, certezza della pace sociale.
Capitalisti e banchieri italiani non hanno certo difficoltà ad accettare. Salvo lo sgomitamento furioso fra banche e Poste sulle rispettive contribuzioni all'aumento di capitale (250 milioni) e su come spartirsi l'onere dei debiti. Ma i lavoratori?
Governo, banche, capitalisti italiani e arabi parlano su questo all'unisono. E usano l'identico linguaggio del 2008: “Per salvare e rilanciare la compagnia, occorre un sacrificio dei lavoratori”. Il sacrificio richiesto è meno esteso ma più pesante che nel 2008: migliaia di lavoratori espulsi dall'azienda senza la copertura di ammortizzatori, neppure ordinari. I lavoratori espulsi verrebbero consegnati (“ricollocati”) ad agenzie del lavoro, che si occuperebbero del loro “futuro”. Punto. E' il primo licenziamento di massa senza neppure la parvenza di un paracadute. E' la prima sperimentazione sul campo della riforma del mercato del lavoro intrapresa dal decreto Poletti e annunciata dal Yob Act. Un fatto enorme e un precedente devastante. In più i lavoratori sopravvissuti subirebbero una ulteriore riduzione secca del proprio stipendio, mentre migliaia di lavoratori cassaintegrati della vecchia Alitalia, già socialmente umiliati e declassati, vedono scadere la propria residua cassa integrazione..
LE SINISTRE BALBUZIENTI O COMPLICI. OGGI COME IERI.
Come nel 2008, le sinistre sindacali e politiche balbettano o sono complici.
Allora siglarono l'accordo capestro dei 10000 esuberi (CGIL, CISL, UIL) o si rifiutarono di intraprendere una lotta dura e radicale contro di esso giungendo a contrapporsi ad ogni processo di lotta a oltranza (SDL e, sul piano politico, il PRC).
Oggi ciò che resta delle sinistre politiche riformiste (SEL e PRC, in altre faccende impegnate) si limita a “preoccupazioni” platoniche, o si affida alla burocrazia CGIL. (Qualcuno ha udito la voce sul tema ..della lista Tsipras?)
La CGIL, ormai paralizzata su tutto il fronte, cerca di far quadrare il cerchio: dissente sugli esuberi senza ammortizzatori, ma accetta il taglio degli stipendi e un contratto nazionale umiliante. Nella sostanza copre l'accordo fra governo e capitalisti, cercando di salvarsi l'anima.
La CISL, com'è tradizione, loda l'accordo nel nome della “difesa del lavoro”(!), anche pensando al proprio ruolo di lobby nelle Poste.
La UIL protesta formalmente contro il taglio degli stipendi (a “tutela” simbolica di assistenti di volo e piloti, dove ha il grosso degli iscritti) ma sigla l'accordo micidiale sui licenziamenti (che riguardano prevalentemente il personale di terra).
Intanto fa il suo esordio il Testo unico di Rappresentanza sindacale.
L'accordo Alitalia è votato dal 26% dei lavoratori, la larga maggioranza non partecipa. Ma la CGIL assicura che l'”accordo è passato” perchè la maggioranza delle sigle l'ha siglato, e la maggioranza dei lavoratori non ha detto “no”. Il governo e i capitalisti plaudono alla responsabilità della CGIL. E' la migliore anticipazione della funzione concreta del testo unico. Se ve ne era bisogno.
NO ALL'ACCORDO ALITALIA, PER UN'ALTERNATIVA DI LOTTA
Come nel 2008, il PCL si oppone alla svendita sindacale e politica del lavoro in Alitalia. E a tutta la logica che sottende.
E' necessario innanzitutto respingere l'accordo. Una firma sotto quell'accordo, un avallo comunque espresso a quell'accordo, è un colpo ulteriore non solo ai lavoratori Alitalia, ma a tutto il movimento operaio.
Tutte le sinistre politiche e sindacali si pronuncino con chiarezza contro l'accordo e uniscano le proprie forze contro di esso. Si attivi finalmente una mobilitazione unitaria fra i lavoratori Alitalia e del trasporto aereo da parte di tutte le organizzazioni sindacali contrarie all'accordo, superando logiche settarie e divisioni di sigla. In ogni organizzazione sindacale di classe, e in ogni categoria del mondo del lavoro, si denunci la natura e la funzione pilota di questo accordo, attivando pronunciamenti, controinformazione, battaglia politica e di massa.
Certo, la situazione è più complicata che nel 2008. Pesa sui lavoratori della compagnia la dura sconfitta di allora. Pesa il deterioramento più generale dei rapporti di forza fra le classi di cui le direzioni politiche e sindacali del movimento operaio portano la responsabilità determinante. Ma proprio l'effetto domino che ogni sconfitta racchiude dimostra la drammatica necessità di reagire. Di spezzare la dinamica a spirale della discesa. Di preparare le condizioni di una svolta. Pena una nuova precipitazione all'indietro. Questo è il bivio che ogni terreno di scontro rilevante oggi pone. Questo è il nuovo bivio dello scontro Alitalia. Il ruolo delle avanguardie di lotta, ovunque collocate, è costruire questa consapevolezza fra i lavoratori.
Ma la reazione di lotta non basta. Nell'interesse stesso di questa lotta di resistenza, occorre indicare una soluzione alternativa alla crisi Alitalia. Che muova dalle ragioni del lavoro e del servizio pubblico, non dall'interesse e dalla logica dei capitalisti.
LA LOGICA DEI CAPITALISTI E QUELLA DEI LAVORATORI
O 1000 esuberi, o 15000 esuberi, questa è la scelta” dichiara testualmente Renzi. “Questa è la scelta” ripetono in coro, con diverse tonalità, tutti gli attori della partita. Insomma: “i licenziamenti sono obbligati, pochi o tanti scegliete voi, ma è la legge del mercato. Se non capitolate, Etihad se ne va, e voi siete tutti su una strada”. Questa è la logica comune, che punta alla conquista del senso comune. Ed è naturale. Perchè tutti gli attori della partita amministrano, con ruoli diversi, le leggi della società del capitale.
Quelle per cui il lavoro (il suo numero, la sua condizione, il suo costo..) è solo la variabile degli interessi dei capitalisti: dell'interesse o meno che hanno ad acquistarlo o a liquidarlo, del prezzo di mercato che offrono. In questa società il lavoro è solo una merce nel mondo delle merci: per i lavoratori (e i loro sindacati) si tratta semplicemente di scegliere, nelle condizioni date, i propri capitalisti acquirenti. E quando la crisi del mercato abbatte numeri e condizioni di acquisto, occorre accettare la spiacevole legge di natura. E rassegnarsi.
Una sinistra classista e anticapitalista deve esattamente rovesciare questa logica e l'organizzazione sociale che l'esprime. No. Non vi è nessuna necessità “naturale” dei licenziamenti. Il principio base di un'economia razionale deve essere la tutela del lavoro. Il lavoro che c'è può essere ripartito fra tutti, a parità di paga, in modo che nessuno sia privato del lavoro. I padroni che licenziano possono essere licenziati, senza alcun indennizzo a carico della collettività, ponendo le loro aziende sotto il controllo dei lavoratori. I servizi pubblici che sono stati smantellati negli ultimi 20 anni per essere svenduti ai capitalisti e abbandonati al loro saccheggio, possono essere ripubblicizzati e posti sotto controllo sociale, e dunque riorganizzati e rilanciati secondo l'interesse della società.
NAZIONALIZZARE LA COMPAGNIA E IL TRASPORTO AEREO, SOTTO IL CONTROLLO DEI LAVORATORI
Così è per il mondo dei trasporti e per lo stesso trasporto aereo.
Nessuna subordinazione al piano Renzi/Alitalia/Etihad! Nessun ricatto dev'essere accettato! La compagnia Alitalia va finalmente nazionalizzata senza alcun indennizzo per i suoi grandi azionisti, e posta sotto il controllo dei lavoratori. L'intero trasporto aereo va pubblicizzato, dentro un piano generale di riorganizzazione e razionalizzazione del sistema dei trasporti.
Solo questa soluzione può tutelare lavoro e lavoratori. Solo questa soluzione può rispondere all'interesse generale a un trasporto realmente efficiente, qualificato, razionale. Solo questa soluzione può abbattere oltretutto l'enorme volume di sprechi connessi al mercato del trasporto, alla sua concorrenza, frammentazione, gestione burocratica.
Di certo i lavoratori e i tecnici del trasporto aereo saprebbero amministrarlo infinitamente meglio, in termini di professionalità e di costi, di quanto non facciano gli azionisti privati parassiti che giocano a monopoli sulla pelle dei lavoratori; o i loro amministratori delegati dagli stipendi e liquidazioni d'oro, con il codazzo inesauribile di mangiatoie, sperperi, tangenti.
Certo. Battersi per questa soluzione significa contrapporsi alla società capitalista per una alternativa di società. Per un governo dei lavoratori, basato sulla loro organizzazione e sulla loro forza, che faccia finalmente pulizia.
Ma una sinistra degna di questo nome o è rivoluzionaria o non è. O collega le lotte immediate a una prospettiva generale, o si riduce (nel migliore dei casi) ad uno spazio d'immagine, per di più residuale. In ogni caso inutile per i lavoratori e gli sfruttati.


PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI