LE
PRIME DIFFICOLTA' DEL RENZISMO.
PER UNA
SOLUZIONE ANTICAPITALISTICA DELLA CRISI.
9
Agosto 2014
La
recessione italiana presenta il conto a Renzi. Non si può fare il
populismo di governo coi fichi secchi. La truffa degli 80 euro può
servire una volta per prendere voti e mascherare le misure di
ulteriore precarizzazione del lavoro. Ma non serve a “rilanciare
l'economia”, né può essere più replicata.
Il
renzismo non ha certo consumato le proprie risorse politiche. Si
nutre ancora , in larga misura, di un relativo affidamento popolare.
Presidia un PD “conquistato” e plasmato in funzione del Capo. E'
sostenuto dalla Presidenza della Repubblica. Gode della complicità
berlusconiana. Prosegue la marcia del proprio disegno istituzionale,
districandosi fra le contraddizioni parlamentari. Si fa forte
dell'assenza di alternative politiche, e soprattutto di
un'opposizione sociale di massa.
Eppure
il fenomeno sembra aver esaurito, bruscamente, la fase della propria
ascesa travolgente. Il disincanto apre le prime brecce nel suo blocco
di consenso. Ampi settori del mondo del lavoro e della piccola
borghesia non vedono “il cambiamento” annunciato. La grande
stampa borghese , a maggio osannante, chiede “risultati” e “meno
propaganda”. Capitalisti emergenti sostenitori di Renzi della prima
ora dichiarano la propria insoddisfazione (Della Valle).
Confindustria e Confcommercio dichiarano scetticismo e chiedono
udienza. La materialità della crisi capitalista richiama tutti alla
realtà.
L'”uomo
solo al comando” è ancora saldamente in sella, ma non riscuote più
il plauso incantato che la borghesia tributava al “vincitore” del
25 maggio.
Si
profila un passaggio classico. O la spinta bonapartista supera le
proprie difficoltà, rafforzando il quel caso una tendenza di
“regime” (che cerca magari un'incoronazione popolare anticipata
nelle urne e un Parlamento a propria immagine e somiglianza); o
inciampa in esse, si sfrangia e regredisce, avviando la parabola del
proprio logoramento e della propria crisi.
L'autunno può essere una prima cartina di tornasole di questo bivio.
L'autunno può essere una prima cartina di tornasole di questo bivio.
LA
DISFATTA DELLE SINISTRE RIFORMISTE
Le
sinistre riformiste, politiche e sindacali, sono di fronte alla
disfatta di tutta la propria politica.
Aver
avallato, agli occhi dei lavoratori, la recita renzista del
“cambiamento” (Landini); aver inseguito l'impossibile
concertazione con un Bonaparte in pectore (Camusso); aver chiesto
invano il rilancio del vecchio centrosinistra (borghese) al suo
becchino populista (Vendola); aver rinunciato tutti- in nome di
queste ambizioni illusorie- ad ogni opposizione reale e di massa al
governo Renzi, persino sulla inaudita precarizzazione del lavoro(
decreto Poletti) , persino su un progetto istituzionale reazionario,
non hanno solo confermato la congenita subalternità delle sinistre
riformiste al quadro borghese: hanno anche condotto i suoi gruppi
dirigenti in un vicolo cieco.
Chi
sperava di essere chiamato, in varie vesti, alla corte del principe,
o è rimasto in anticamera (FIOM), o è stato umiliato (CGIL), o è
stato scisso (SEL). Mentre a pagare sono stati e sono i lavoratori,
abbandonati senza difese a una crisi sociale ancora più acuta e alla
minaccia di una Terza Repubblica ancor più reazionaria. Tanto più
oggi, le prime serie difficoltà del renzismo ripropongono l'urgenza
di una svolta di fondo.
Non
ci si può affidare a qualche denuncia epistolare delle politiche del
lavoro presso la Corte Europea di Giustizia se si rinuncia ad ogni
azione reale di mobilitazione contro quelle politiche, come fa la
CGIL.
Nè
si può realisticamente sperare di usare le difficoltà del renzismo
per provare a rilanciare uno schema concertativo di “interlocuzione
e confronto” che resta estraneo alla sua natura bonapartista e che
per di più non dispone, tanto più oggi, di una base materiale di
appoggio, con buona pace di Landini.
Nè
infine si può mercanteggiare il livello di “opposizione”
parlamentare a un governo anti operaio in base alle contropartite su
soglie elettorali e assessori regionali, come fa SEL.
E'
necessario davvero voltare pagina. E' necessario e urgente, per tutte
le sinistre, rompere definitivamente col Renzismo e col suo partito,
a livello nazionale e locale, contrapponendosi apertamente al governo
Renzi sul terreno dell'azione di massa. E' necessario che il
movimento operaio definisca un proprio programma autonomo e
alternativo per l'uscita dalla crisi; un piano d'azione unitaria,
radicale e di massa, capace di porlo al centro dello scontro; una
propria alternativa politica capace di realizzare quel programma.
L'alternativa
a questa prospettiva è o la stabilizzazione reazionaria del
renzismo, o una capitalizzazione a destra della sua crisi per opera
del progetto (ancor più reazionario) della Repubblica plebiscitaria-
senza partiti e sindacati- di Casaleggio e Grillo.
L'alternativa
fra rivoluzione o reazione è e sarà riproposta, in forme diverse,
da tutta la dinamica della crisi italiana.
LA
BANCAROTTA DELLE CLASSI DIRIGENTI
La
lotta contro il governo Renzi è inseparabile dalla lotta più
generale contro le classi dirigenti del Paese e la loro bancarotta.
Il
capitalismo e la sua crisi internazionale hanno trascinato l'economia
italiana in una depressione profonda, senza pari fra i grandi paesi
capitalistici europei. La nuova recessione è solo un capitolo di
questa condizione. Non hanno fallito le “politiche dominanti”.
Hanno fallito le classi dominanti e tutti i loro partiti.
Capitalisti
e banchieri, manager e faccendieri, hanno saccheggiato per 20 anni
lavoro e protezioni sociali attraverso comitati d'affari (di ogni
colore) chiamati “Governi del Paese”. Prima hanno predicato le
virtù dell'”austerità” (per i lavoratori) come condizione della
“crescita” (dei propri profitti). Ora invocano la priorità della
“crescita”( mancata) come condizione dell'”austerità” (il
famoso “rispetto dei patti europei e del rigore dei conti”). Ma
dietro le porte girevoli di parole vuote, si cela ieri come oggi il
solo interesse dei capitalisti. Dove per “crescita” si intende
nuova detassazione dei padroni (.. Irap) nuova precarietà del lavoro
(..Poletti), nuovo smantellamento dei contratti nazionali pubblici e
privati, nuova giostra di privatizzazioni e commesse pubbliche a
vantaggio di business e profitti (.. tipo Mose, Expo, Tav e via
dicendo). E per “necessario rigore dei conti” si intende tutto
ciò che serve per ingrassare la crescita dei profitti e onorare i
patti col capitale finanziario italiano ed europeo: nuovo taglio
traumatico sulle spese sociali ( 32 miliardi in 3 anni)- a partire da
ammortizzatori, istruzione , sanità - per finanziare detassazioni e
commesse per i padroni, per continuare a pagare 90 miliardi annui di
interesse sul debito alle banche (prevalentemente italiane) , per
contribuire al fondo salva banche europeo, per cercare di rispettare
il Fiscal Compact liberamente stipulato con gli altri governi
capitalistici dell'Unione (in cambio del loro impegno, se necessario,
a soccorrere le banche italiane).
Qual'è
la sostanza di tutto questo? Che un'intera società, in Italia e in
Europa, è chiamata a pagare il parassitismo dei capitalisti e del
capitalismo. Non è il fallimento di una “politica economica”,
come vorrebbero Camusso, Landini, Vendola e Tsipras. E' il fallimento
di una economia. Non è il fallimento di “una certa concezione
dell' Europa”, come balbetta la liberal progressista Barbara
Spinelli. E' il fallimento della Unione Europea dei capitalisti e dei
banchieri. Incapace di liberare qualsiasi spazio di progresso
sociale. Al punto che anche dove la cosiddetta “crescita”
(timidamente e provvisoriamente) avviene, avviene sulla pelle dei
salariati (liberalizzazione dei licenziamenti in Spagna, contratti a
zero ore in Gran Bretagna..).
La
verità è che l'unica alternativa alla crisi italiana (ed europea) è
anticapitalistica. Richiede un programma di emergenza che rovesci la
logica di classe dei capitalisti, partendo dalla logica opposta dei
salariati. Che è poi la logica di un' organizzazione finalmente
razionale della società.
UN PIANO OPERAIO PER USCIRE DALLA CRISI
L'EMERGENZA
DAL PUNTO DI VISTA DEI LAVORATORI
Un
piano operaio per uscire dalla crisi deve prevedere un insieme
combinato di misure e assi di intervento:
1)Blocco
dei licenziamenti. Le aziende che licenziano , che inquinano, che
ignorano diritti e sicurezza del lavoro, siano nazionalizzate, senza
indennizzo per i grandi azionisti, e poste sotto il controllo dei
lavoratori. A partire da Ilva, Thissen Krupp, Lucchini, Alitalia...
2)Il
lavoro che c'è sia distribuito fra tutti, attraverso una riduzione
generale dell'orario di lavoro a parità di paga (30 ore
settimanali). Tutte le leggi di precarizzazione del lavoro siano
abolite. Gli attuali precari vengano assunti e regolarizzati. Il
rapporto normale di lavoro sia a tempo pieno e indeterminato. I
disoccupati e i giovani in cerca di prima occupazione abbiano diritto
a un salario di almeno 1200 euro netti fino a che non trovino lavoro,
finanziato dalla soppressione dei trasferimenti pubblici alle imprese
private.
3)Si
promuova un grande piano di nuovo lavoro in opere sociali di pubblica
utilità sull'intero territorio nazionale: asili nido, riparazione e
sviluppo dell'edilizia scolastica e ospedaliera, bonifiche e
riassetto idrogeologico del territorio, riparazione della rete
idrica, sviluppo e riqualificazione del sistema ferroviario e dei
trasporti, estensione nazionale della sicurezza anti sismica... Si
accompagni questo piano con la nazionalizzazione della grande
industria edilizia e del cemento (oggi regno della peggiore
criminalità), sotto il controllo dei lavoratori.
4)Venga
ripristinato il sistema previdenziale a ripartizione, si estenda e
riqualifichi l'assistenza sanitaria e ospedaliera, si realizzi un
piano concentrato di investimento nell'istruzione pubblica, ad ogni
livello. Abolendo innanzitutto tutte le misure di austerità e di
tagli a servizi pubblici e prestazioni sociali degli ultimi decenni.
5)Si
finanzi il piano del lavoro e di protezione sociale con la tassazione
progressiva delle grandi ricchezze; con l'abolizione del debito
pubblico verso le banche; con la nazionalizzazione delle banche senza
indennizzo e sotto controllo dei lavoratori; con la concentrazione
delle banche in un'unica banca pubblica, sotto controllo sociale,
strumento decisivo di pianificazione economica; col rigetto e
cancellazione unilaterale di ogni impegno, accordo, trattato anti
operaio stipulato con la Unione Europea. La rottura e rigetto
dell'Unione Europea dei capitalisti e dei banchieri, contro ogni
illusione di una sua “riforma sociale e democratica nella
prospettiva degli Stati Uniti Socialisti di Europa, è il risvolto
naturale di questo programma.
Questo
non è un programma “illusorio”. E' l'unico programma che rifiuta
le illusioni. E' illusorio piuttosto pensare che possa essere
realizzato nel quadro del capitalismo, per generosa intercessione dei
suoi governi, magari sotto la pressione dei movimenti. Può essere
realizzato solamente da un governo dei lavoratori, basato sulla loro
organizzazione e la loro forza. Da un governo che rompa col
capitalismo, i suoi partiti , il suo Stato. Da un governo che solo la
forza di milioni di salariati può imporre.
SVILUPPARE TRA I LAVORATORI UNA COSCIENZA CLASSISTA E ANTICAPITALISTA
Questa
forza, oggettivamente, esiste. E' fatta di 16 milioni di lavoratori
salariati, precari, disoccupati. Può guidare e ricomporre attorno a
sé un blocco maggioritario della società italiana. Si tratta di
portare in ogni lotta immediata la coscienza politica di questa
forza, la necessità di unificarla, la necessità di porla al
servizio di un'alternativa di società e di potere. Agendo in ogni
lotta, anche la più limitata, nella logica di questa prospettiva
generale. Cercando di trasformare ogni lotta, nella misura del
possibile, in fattore di innesco e propagazione di una dinamica
unificante di ribellione. La proposta di occupazione delle aziende
che licenziano, del loro coordinamento nazionale, di una cassa
nazionale di resistenza, di comitati di lotta e di sciopero in grado
di dirigere mobilitazioni prolungate, muove in questa direzione. Così
come la proposta più complessiva e centrale di una vertenza generale
unificante di lavoratori, precari, disoccupati attorno a una
piattaforma rivendicativa di svolta, di una assemblea nazionale di
delegati eletti che la promuova, di uno sciopero generale prolungato
che la sostenga.
La
situazione della lotta di classe resta molto difficile sotto il peso
di sconfitte, delusioni, arretramenti subiti da parte della classe
operaia per responsabilità delle sue direzioni. Pesa in particolare
l'arretramento profondo della coscienza politica dei lavoratori. Ma
il quadro resta instabile e fluido. L'autunno che si avvicina sarà
la prima prova sociale del governo Renzi, sul versante di massa, a
partire dalla scuola. La lotta che si annuncia su scuola e università
potrebbe favorire processi di radicalizzazione, autorganizzazione di
massa, propagazione in altri settori. Rotture sociali possono aprirsi
parallelamente su altri fronti, nelle lotte operaie, nel pubblico
impiego, nei servizi (come fra i tranvieri a Dicembre). Non è
possibile avanzare previsioni su tempi e dinamiche di una ripresa di
massa. Ma tanto più è necessario che le avanguardie di lotta, nella
classe operaia e in ogni movimento, agiscano in una prospettiva
classista, unitaria, anticapitalista, quali portatrici di una
coscienza politica indipendente. Fuori da ogni logica di cittadinanza
“progressista” senza classe, o di puro “antagonismo”
autocentrato senza rivoluzione. Con la consapevolezza che la
costruzione di un'altra direzione del movimento operaio e dei
movimenti di lotta è condizione decisiva della loro vittoria.
Il
PCL vuole raggruppare e organizzare tutte le avanguardie di lotta che
condividono questa necessità. La costruzione del PCL, quale partito
comunista e rivoluzionario, è essenzialmente e innanzitutto questo.
Marco
Ferrando, portavoce nazionale del PCL